Visual Thinkers – Intervista a Sara Emma Cervo
a cura di Angelica Cantù Rajnoldi
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Quali sono le sfide e gli obiettivi della figura di una photo-editor? Quali sono state le soddisfazioni e le difficoltà del tuo percorso? La difficoltà più grande, sicuramente, ottenere il lavoro: nelle redazioni a occuparci delle immagini siamo sempre molto pochi e averlo è già una soddisfazione! Nella routine, invece, è trovare l’immagine giusta che sia in linea con l’articolo oppure il fotografo che sappia interpretare il brief creativo quando si tratta di realizzare un servizio.
Da interna a diverse realtà quali Cosmopolitan, Gioia, Playboy, Dry, L’Officiel, Vanity Fair, in che direzione pensi stia andando l’immagine? Quali pensi siano le tematiche calde che più l’attraversano? L’immagine si evolve come tutte le arti ed è giusto che sia così: il rinnovamento è alla base e oggi, anche nello scorrere Instagram, trovi sempre meno foto ritocco, un ritorno alla pellicola e alla realtà. E inclusione, tanta inclusione!
Qual’è l’immagine o il progetto che più di recente ti ha colpita? (Se vuoi, rispondi con un’immagine). Più che progetti citerei due fotografe. La prima è Maria Clara Macrì, l’ho incontrata da poco, avevo visto il documentario prodotto da Sky e diretto da Francesco Raganato sul suo lavoro che seguivo da un po’: farmi dire di persona come nascono i suoi scatti è stato altro. Lei e le storie dietro il libro In her room sono materiale per la sceneggiatura di un film.
Julie Poli, è l’altra. Ucraina, sarà in mostra dal 27 gennaio alla National Academy of the Arts di Oslo con 4:59. Il titolo dell’esposizione si riferisce al minuto prima dell’invasione russa, ovvero le 5:00 del mattino del 24 febbraio 2022. Il progetto, dove non ci sono immagini di guerra, è comunque una metafora: le immagini hanno un compito ed è quello di modellare le nostre identità, raccontare della questione di genere e parlare della dissidenza politica.
Hai mai pensato di diventare tu stessa fotografa? Se sì, cosa fotograferesti e perché? Sinceramente mai. Negli anni dell’università ho partecipato a dei corsi, ma tanto per sapere come funzionasse una reflex. Certo, alcune nozioni mi sono servite per quello che faccio oggi, ma io adoro vedere le foto altrui, studiarne i progetti, andare per mostre, collezionare foto vintage comprate da eBay. E no, non arriverò (ahimè!) mai a essere come Lee Shulman con il suo The Anonymous Project, o Thomas Sauvin con il suo Beijing Silvermine, per citarne due…
Ma sì li ho spudoratamente copiati.
Riassumi l’anno 2022 in un’immagine? Ahimè mi vengono in mente le foto di guerra. Gli scatti di Lindsay Addario e il suo reportage per il New York Times sulle madri surrogate. O il lavoro di Salwan Georges per il Washington Post: un treno che parte, una moglie che piange e un marito che resta per combattere l’invasore.