Fotografie di Giuseppe Valerio Scandiffio
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Fino ad un anno fa la felicità non si misurava in metri quadri. Improvvisamente, da quando il Covid ci è esploso addosso, abbiamo riscoperto quei pochi metri quadri abbandonati o sconosciuti delle nostre case. Qui si tratta di fortuna, eredità o fato, beninteso. Stiamo parlando dei balconi.
I balconi di Milano non sono come quelli di Napoli o Palermo dove invece sono propaggini organiche alla casa, una protuberanza tra il privato e il pubblico, tra il salotto e la via, dove si intessono conversazioni, si calano panieri con le corde, si ricamano pettegolezzi e si stendono i panni assieme al compare del balcone di fronte.
A Milano i balconi sono sempre stati spazi non vissuti, un vezzo architettonico, un fregio urbanistico. Sempre vuoti. Fino ad un anno fa.
Poi timidamente si sono animati: un libro letto al sole, l’acqua alle piante o semplicemente una boccata d’aria incredibilmente profumata.
Chi durante il lockdown ha scoperto di possedere un balcone ha capito di essere un privilegiato.
Ha scoperto che tra le mura di casa e la città, tra le videochiamate e la solitudine, esiste uno spazio intermedio, fatto di prossimità, spesso snobbato per il suo essere appunto medio, né troppo lontano, né troppo vicino.
Eppure a molti ha salvato la vita.
Testo: Francesco G. Raganato
Valentina e Giuseppe
“Da ballerina professionista la chiusura dei teatri di posa è stata una tragedia. Vivendo in un monolacale con il mio compagno ho dovuto sfruttare al meglio il piccolo balcone per poter allenarmi costantemente”.
Saluen
“Siamo cresciuti in un contesto che ci ha permesso di dare per scontate molte cose. La pandemia ci ha dato modo di riflettere su quello che abbiamo e su cosa ci manca. Abbiamo dovuto adattarci e costruire dei nuovi rapporti con i nostri spazi.”
Sarah & Iana
Rosalba & Domenico
Marco & Alim
Giovanni & Daniela
“Tra febbraio e marzo 2020, quando ho visto le immagini dei camion militari che portavano via i corpi dei morti per il Covid19 a Bergamo, in quel momento ho pensato che questo virus entrava nella storia della nostra società e nelle nostre vite. In quel periodo mi sembrava un pensiero esagerato ma nel giro di poco tempo mi sono arreso alla realtà: questo virus cambierà le nostre vite a livello lavorativo, economico e psicologico. Poi ho pensato agli anni passati, al pericolo di un conflitto nucleare al terrorismo e alle crisi ecologiche che spesso devastano il nostro pianeta. E invece un virus, cioè un’entità visibile solo al microscopio, ha messo il mondo KO. Non me lo aspettavo anche se i precedenti non mancano come la mucca pazza, l’aviaria e la Sars. La paura della morte (pensiero che ho avuto) è tremenda perché ho 60 anni e un virus del genere (così veloce e aggressivo) potrebbe colpire. Non so cosa sia scattato in me e nella compagna con cui vivo a Milano, ma insieme abbiamo deciso innanzitutto di prenderla calma. Lasciarsi coinvolgere da ansie e da paure varie avrebbe fatto il gioco del virus e comunque non è una soluzione. È prevalso in me lo spirito di sopravvivenza: ce la farò, ce la faremo, ne usciremo tutti. Il fatto di rinunciare alle proprie abitudini, il dover cambiar vita distanziandosi dagli altri, tutto sommato non mi è costato molto ma capisco che ciò che vale per me non può valere per gli altri. Isolarsi e non avere più la vita sociale che avevo prima del virus è una rinuncia difficile, soprattutto quando arriva per combattere un virus e, senza dubbio, a volte pesa parecchio a me e alla mia compagna. Ma abbiamo rispettato le regole, siamo stati prudenti, siamo qui e riusciamo ad andare avanti.
Non ho avuto problemi ad affrontare fasi di solitudine o una vita a due più stretta che in passato. Prima del virus ero una persona di compagnia, mi piaceva socializzare ma so anche vivere con poche cose, senza dover per forza frequentare locali o persone. Questo è un comportamento che ho imparato anni fa, quando ero più giovane e lavoravo sulle navi perché ho un passato da marinaio e timoniere. Uno degli aspetti principali di quel lavoro è il seguente: saper gestire la solitudine quando lavori su una nave. Non lo dico per vantarmi, non sono certo un “Lupo di Mare”, ma in quegli anni ho fatto diverse traversate in Oceano Atlantico da est a ovest e dall’equatore sino all’estremo nord al limite con il circolo polare. Giorni e giorni dove vedi solo il blu del cielo e il blu del mare e, a parte i rapporti di lavoro con i colleghi, ad un certo punto sei solo con te stesso. C’è il silenzio, c’è la pace del mare calmo ma anche le ansie quando devi affrontare mare forza 6 o forza 7 con onde alte come un palazzo. Ero giovane e i colleghi più anziani mi hanno insegnato a non farmi prendere dalle ansie e dalle paure, un comportamento che comunque era già in me. Oggi tutto questo mi è servito molto.
Il vaccino è il primo passo verso una rinascita ma penso che ciò che stiamo vivendo può diventare un periodo di grandi trasformazioni in tanti ambiti della vita. Innanzitutto che tipo di vita vogliamo, perché dubito che la situazione tornerà ad essere come era prima, perché l’azione del virus è andata ad intaccare vari aspetti del nostro vivere modificandoli alla radice.
Non posso fare a meno di pensare che abbiamo perso una generazione di anziani, testimoni del nostro passato. Penso ai bambini, agli adolescenti e agli studenti che vivono questo isolamento come un enorme buco nelle loro vite. Penso ai lavoratori di tutti i settori, come coloro che lavorano nella sanità, e ai drammi che stanno vivendo. Ma penso anche alle parole di un grande personaggio come Albert Einstein quando diceva: “Non possiamo pretendere che le cose cambino se facciamo sempre le stesse cose”. Chissà, forse è da qui che può cominciare la nostra rinascita.”
Claudio
Marta
“Le case di ringhiera sono state la salvezza per molti milanesi. Qui abbiamo internet in commune, I muri sottili e mangiamo spesso insieme. Durante il primo lockdown vivevamo praticamente insieme: aprivi la porta e vedevi face amiche.”
Gaia
Guardavo ogni mattina la mia gatta andare in giro senza problemi: provavo una forte invidia per la sua libertà. Per fortuna il mio piccolo spazio all’aria aperta ha compensato la mia invidia.
Jacopo e Paola
“I primi momenti del lockdown sono stati complessi per i bambini: la casa non è piccola, ma gli spazi sono ristretti dopo un pò di tempo che li vivi. Poi i bimbi hanno scoperto il balcone e un nuovo mondo si è aperto davanti ai loro occhi.”
Ilaria
“Durante il lockdown ho imparato a leggere i tarocchi, sono stati un ottimo modo per socializzare a distanza”.
Michela
“Ho vissuto il balcone come spazio esterno per condividere con la città l’isolamento.”
Gabriella