UN VECCHIO PAESE

Fotografie di Lorenzo Barbieri Hermitte

 

 

È ora di dire quel che si prova e non quel che si deve.

Quando avevo tre anni la mia famiglia si è trasferita a Londra, dove sono cresciuto e ho studiato. In Italia tornavo per le vacanze e nella mia immaginazione è sempre stata il luogo del sole, della festa e della naturalezza.
Il progetto è nato quando mi sono trasferito in Italia per lavoro e ho deciso di approfondire un tema che m’interessava: la presenza incisiva e numerosa della popolazione anziana. Il volto tradizionale del paese mi ha sempre affascinato, i barbieri storici con le giacchette blu, i vecchi pizzaioli, le suore anziane e i pensionati eleganti che passeggiano per strada con i berretti in testa e le pellicce sulle spalle. E ho cominciato a fotografarli, a raccogliere le loro immagini.
Ho deciso di approfondire la ricerca alla fine del 2018 prima a Roma e poi a Milano, dove mi sono trasferito nel febbraio del 2019. Nel primo periodo ho abitato dai miei nonni in un appartamento nel centro storico. Hanno entrambi quasi novant’anni e questo rende il tema del progetto ancora più significativo per me. Li avevo davanti agli occhi ogni giorno e avvertivo con maggiore intensità il loro valore intangibile, il pensiero che non ci saranno per sempre. In generale la presenza e l’influenza sfuggente di questa generazione mi suscitano un sentimento molto personale, avverto l’importanza storica degli anziani in Italia, li sento come capsule erose dal tempo e sommerse dalla velocità con cui sta cambiando ogni cosa, come linfe vitali che stanno tornando alle loro radici. E nella raccolta del materiale la figura di mio nonno Alberto è stata una guida, una specie di accompagnatore in questo mondo che mi affascina. Lui, nelle sue immagini nel progetto, ha assunto via via la funzione del narratore. La parabola del nuotatore nel Po è quindi una sua riflessione che chiude il progetto.
Non avrei mai immaginato l’importanza che l’età elevata della popolazione avrebbe avuto un anno dopo, nel 2020, e che senza saperlo mi ero accostato a un tema così sensibile in Italia, a qualcosa più grande di me. Se penso alla città in cui mi sono trasferito solo un anno fa, vedo Milano come un luogo vibrante, energico e frenetico, una città in rapido sviluppo che guarda avanti senza incertezze; ora la situazione non potrebbe essere più diversa.
Oggi è il 27 aprile e fuori c’è il sole, un sole che sembra brillare più che mai dall’interno del seminterrato nel Milanese dove abito adesso. Il calore crescente della primavera che mi ha sempre rassicurato e reso felice adesso sembra soffocante e carico di una sensazione d’incertezza.
Uscire di casa per fare la spesa significa percorrere strade deserte, incontrare i posti di blocco aggressivi delle forze dell’ordine, i carri funebri diretti da e verso il cimitero di Lambrate e le file infinite di acquirenti depressi che aspettano il loro turno fuori dal supermercato.
La situazione estrema mi spinge a coltivare questo progetto, a riconoscere e rendere un omaggio alla presenza di queste figure nella società contemporanea italiana.
Il titolo del progetto è nato in inglese, la lingua in cui penso principalmente. Era Old country e l’ho tradotto Vecchio paese. Quando ho scoperto il fotolibro di Paul Strand e Cesare Zavattini pubblicato nel 1955 con il titolo Un paese, ho sentito il bisogno di rendere omaggio a questo classico del racconto fotografico, aggiungendo l’articolo Un. Il dialogo tra il passato e il presente nel paese contadino di Luzzara e nella Pianura Padana negli anni cinquanta del novecento, nel mio progetto si estende a tutto il paese Italia nel 2000.
Le parole che accompagnano ogni immagine le ho tratte dal King Lear di William Shakespeare, che contiene una riflessione profonda sulla vecchiaia e sulla fine del potere dell’uomo su se stesso e sul mondo.

 

 

 

 

 

 

Figlia mia, confesso d’essere vecchio

Chi sa dirmi chi sono

A voi ho dato tutto

Com’è capricciosa la vecchiaia

Vecchi miei occhi

Ragazzo, mi guardi dall’alto in basso

Abbi più di quanto mostri, parla meno di quanto sai

Avrò pazienza

È un amore che impoverisce il fiato, che rende incapace la parola

Finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’ vuol dire che il peggio può ancora venire

Le belle acconciature e le pellicce nascondono all’occhio più indagante

Rideremo delle farfalle dorate

L’arte del bisogno è strana e può rendere preziose cose vili

E così vivremo, pregheremo, canteremo e ci racconteremo antiche storie

Il mio amore pesa molto di più della mia lingua

Il principe delle tenebre è un gentiluomo

Io faccio quello che intendo ancora prima di dirlo

Quando si nasce si piange perché ci si ritrova in questo palcoscenico di matti

Ma da niente non verrà fuori niente

Non siamo più noi stessi se la natura, sentendosi oppressa, fa soffrire la mente insieme al corpo

Vanno e vengono così, come la marea sotto la luna

 

Non avresti dovuto essere vecchio prima d’essere saggio

Sono le stelle, le stelle sopra di noi a governare la nostra condizione

Soffiate venti e rompetevi le guance!

Vivere è come nuotare in un fiume, l’ho fatto tanto da ragazzo nel Po. Si nuota portandosi sulle spalle uno zaino, dentro c’è quello che abbiamo ricevuto e quello che abbiamo fatto. Poi si arriva alla foce e in quel momento bisogna essere certi di averlo passato a qualcun altro dietro, e poi lasciarsi andare in mare aperto…