Fotografie di Ayoub Medhoun
La mia vita è una storia intessuta di cicatrici, un patto stretto con l’ospedale che ha segnato il mio percorso. Già a soli 6 mesi di vita ho avuto il mio primo incontro con l’ospedale e nei successivi anni ho dovuto varcarne le porte molto spesso.
Ogni volta un misto di emozioni mi ha avvolto: la tensione nell’aria, l’odore di disinfettante e la consapevolezza del rischio che si cela dietro ogni intervento. È una sensazione di vulnerabilità che si fa strada dentro di me, la solitudine mi abbraccia, nonostante gli sforzi del personale medico di alleviare ogni preoccupazione.
Nel freddo della stanza chirurgica, la pelle si ricopre di brividi protetta solamente da un leggero camice.
Poi, l’anestesia avvolge il mondo in un abbraccio scuro, la stanza svanisce, lasciando solo il buio. Al risveglio,il soffitto diventa l’unico punto di riferimento, una tela in cui dipingere i sogni incerti della coscienza addormentata.
Il dolore, un’eco lontana che cresce in intensità, riporta alla realtà.
Il suono delle macchine accompagna il battito del cuore, una sinfonia meccanica che riverbera nelle pareti. Le luci del corridoio filtrano come fari lontani, segnando il confine tra l’incertezza e la promessa di cure.Lamenti soffocati di altri pazienti si mescolano al silenzio, mentre gli infermieri passano delicatamente tra le ombre, controllando con premura ogni dettaglio.
I giorni e le ore perdono il loro significato, sospesi in un’eternità fatta di attese e speranze. La solitudine si fa compagna silenziosa, una presenza costante nelle lunghe notti d’ospedale.
Questo progetto fotografico cattura l’essenza di quello che ho imparato ad accettare grazie a queste avventure in ospedale, l’opera d’arte che vive sulla mia pelle.