Fotografie di Cloro
Testo di Francesco G. Raganato
Perimetro ROMA
ISSUE #01
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Il contrasto in fotografia è il rapporto o differenza tra il punto più luminoso e il punto più scuro dell’immagine.
È una levetta un po’ infida che i fotografi digitali conoscono bene: più vai in là, più la foto sbiadisce. Più vieni in qua, più la foto prende corpo, tridimensionalità.
Ma bisogna stare attenti, è un attimo che si bruciano le luci e si appiattiscono le ombre.
Tecnicismi. Forse.
In realtà nel contrasto, proprio dentro, cioè tra la luce e il buio, c’è tutto. Ci sono i grigi, i mezzitoni, le sfumature che raccontano ciò che noi viviamo, siamo, amiamo e odiamo.
Il contrasto è come il blues. Ha due regolette, sempre quelle, non si scappa, eppure quante canzoni ci hanno scritto, quante foto ci hanno scattato, tra il bianco e il nero. Sempre tristi, anche se triste non è l’aggettivo più adatto a definire il blues. Malinconico forse è meglio, ma non totalmente esaustivo.
Ecco perché dosare il contrasto è un esercizio di scrittura sopraffino: se non sposta lo sguardo, di sicuro muove l’umore.
Di ogni città in cui regna l’improvvisazione si dice: è una città piena di contrasti. Roma come Buenos Aires, come Hong Kong, come Calcutta, come Brasilia. Probabilmente anche Oslo ha i suoi contrasti, ma di sicuro non saltano all’occhio.
A Roma il livello di improvvisazione richiesto è altissimo, altrimenti non sopravvivi, la città te se magna. Improvvisare – e questo i bluesmen lo sanno bene – non vuol dire mettere note a casaccio. Vuol dire intanto padroneggiare le regole della città, conoscere a menadito tutte le insidie dei suoi anfratti più remoti, vuol dire riuscire ad arrivare da un punto A ad un punto B non da vincitore, ma indenne.
Solo una volta che impari a fare tutto questo puoi permetterti di improvvisare. Se no soccombi.
L’improvvisazione la fanno i solisti. A un certo punto uno si stacca dal sound della band, fa due passi avanti, si prende il palco e improvvisa. È un atto individualista ovviamente, quello che c’è intorno potrebbe anche smettere di suonare o di esistere. Tanto ormai il “giro” è chiaro, la struttura quella è. Chi improvvisa suona da solo e per se stesso. L’assolo è quanto di più vicino al concetto di alienazione.
Ecco, Il blues in queste foto è Roma, i romani i solisti alienati.
Ognuno, più o meno scafato, improvvisa la sua linea melodica. Ognuno attraversa e vive una sua città, la disegna. Ognuno vorrebbe una Roma diversa, più così e meno cosà, più bianca o più nera. Ognuno si rapporta all’altro in maniera individualista, a una domanda controbatte con un’altra domanda, mai con una risposta. E così avanti, ad libitum.
Ma insomma com’è ‘sta Roma oggi?
Per dirla come Vittorio Gassman-Bruno Cortona ne Il Sorpasso: “…pare ‘na cosa de niente e invece
c’è tutto: la solitudine, l’incomunicabilità, poi quell’altra cosa, quella che va di moda oggi… la… l’alienazione, come nei film di Antonioni. Hai visto L’eclisse? Io c’ho dormito, ‘na bella pennichella… Bel regista Antonioni!”.
Ecco il romano, nonostante viva l’alienazione su di sé, la disarma con una battuta cinica, sorniona e feroce allo stesso tempo. E quest’attitudine ce l’hai solo se a Roma ci sei nato, non si impara né si acquista.
Bruno Cortona nel frattempo è invecchiato male, non guida più la sua Lancia Aurelia B24 convertibile, probabilmente è appollaiato su una finestra di una palazzina di via dell’Acqua Bullicante, e ancora non molla.
Ha visto di tutto – pure du’ papi! – eppure non ha perso il graffio dissacrante, che di fronte all’imprevisto non gli salva l’anima, ma gli salva la pelle.
Quel graffio, quel tocco, quel modo di prendere la vita a mozzichi non te lo insegna nessuno. O ce l’hai o non ce l’hai. Come il blues.