A CURA DI presenta Damiano Gullì

Fotografie di Simon
Intervista di Fabrizio Meris
Rubrica: A CURA DI

Perimetro presenta A CURA DI, una nuova rubrica che incontra e conosce i curatori : i loro progetti, le loro visioni, i work in progress. Uno sguardo a 360 gradi sul contemporaneo, una bussola per orientarci tra immagini e immaginazione, presente e futuro delle arti visive.

Il primo incontro è dedicato a DAMIANO GULLÌ

COSA RICORDI DEI TUOI ANNI DI FORMAZIONE?

Già a 16-17 anni visitavo mostre e compulsavo con grande curiosità – e in maniera un po’ bulimica – cataloghi, libri e riviste di settore, in particolare “Flash Art”, che ha rappresentato la mia prima vera formazione sul contemporaneo stretto. Il mio percorso di studi è stato una naturale evoluzione di questa attitudine: Lettere moderne con indirizzo Storia dell’Arte Contemporanea, a Parma, in un ambiente in cui era già forte l’approccio interdisciplinare, dall’arte al design alla moda alla fotografia. E poi il Master in Organizzazione e Comunicazioni delle Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Brera, vera porta d’accesso al mondo del lavoro e prima occasione concreta di avvicinarmi a questo sistema così affascinante, sfidante e complesso che è l’arte contemporanea.

A QUALI FIGURE GUARDAVI COME PUNTI DI RIFERIMENTO?

 

Come non dimenticare una folgorazione: la Biennale di Venezia del 1999 curata da Harald Szeemann, un maestro e un modello, dallo sguardo sull’arte sempre imprevedibile, con una visione mai scontata in grado di offrire una mostra ricca, densa, stratificata e davvero “aperta”. Non a caso il titolo era dAPERTutto, che, già intrinsecamente, manifestava una dichiarazione di intenti.

COME È INCOMINCIATO IL TUO PERCORSO LAVORATIVO? 

 

Il Master che ho frequentato prevedeva uno stage in una istituzione culturale e io ho scelto Triennale Milano perché mi ha sempre colpito quel dinamico attraversamento delle discipline che, per storia e missione, costituisce il DNA di Triennale stessa fin dalla sua fondazione. Ho iniziato occupandomi di comunicazione. Sono assolutamente convinto che questi due percorsi – curatoriale e di comunicazione – siano legati a doppio filo. L’esperienza in comunicazione è stata fondamentale, per esempio, per capire come impostare correttamente un testo, anche nell’ottica di una sua destinazione a pubblici che non fossero specificamente composti da addetti ai lavori. Il lavoro di curatela è, fuor di dubbio, anche un lavoro di comunicazione e relazionale.

I TUOI INTERESSI ED ASPETTATIVE SONO CAMBIATE O EVOLUTE NEGLI ANNI?

 

Dal 2007 al 2018 mi sono occupato più specificatamente di quello che era la prima versione del Museo del Design Italiano e già lì mi sono avvicinato alla curatela, alla stesura di testi e alla redazione di cataloghi. A seguire gli incarichi come Assistant to the Design Curator e, successivamente, la curatela di tutto il Public Program di Triennale fino alla mia attuale posizione. In parallelo, dal 2009, sono anche iniziate le collaborazioni con diverse testate, “Flash Art”, “Artribune”, “Inventario” e, da circa un anno, “Interni”. Interessi e aspettative in certi casi sono cambiati, in altri hanno trovato una continuità rispetto a un passato più o meno recente. In generale sono sempre proiettato verso nuovi progetti e sempre pronto a farmene sorprendere.

E ALL’INTERNO DI UN’ISTITUZIONE, QUALE È IL GOAL CHE TI PREFIGGI?

 

L’obiettivo è lavorare nel rispetto degli indirizzi culturali dell’istituzione, facendo convivere, da una parte, uno sguardo sul mondo, data la vocazione internazionale di Triennale, e, dall’altra, una specifica attenzione alla scena artistica italiana, con l’obiettivo di promuoverla e valorizzarla. In questo senso Triennale ha avviato da alcuni anni un percorso che ha visto coinvolti in talk e progetti espositivi artiste e artisti italiani di diverse generazioni – da Corrado Levi e Lisa Ponti a Marcello Maloberti, da Anna Franceschini a Lorenzo Vitturi e Alice Ronchi, da Francesco Vezzoli a Nico Vascellari –, tutti caratterizzati dalla capacità di muoversi con disinvoltura e talento tra diverse discipline. Un approccio analogo a quello di tutti i grandi protagonisti che hanno fatto la storia di Triennale.

L’UNDICI DI FEBBRAIO ’24 TERMINA LA TUA PRIMA IMPORTANTE MOSTRA IN TRIENNALE A MILANO E DEDICATA ALLA PITTURA, “PITTURA ITALIANO OGGI”. CE NE PUOI PARLARE BREVEMENTE? 

 

È stata un’esperienza intensa, decisamente arricchente. La mostra presenta il lavoro di 120 artisti e artiste, nati tra il 1960 e gli anni duemila, ciascuno rappresentato con un’opera realizzata tra il 2020 e il 2023, un pretesto narrativo per raccontare l’oggi attraverso la lente della pittura. Per Triennale è stata una vera sfida e posso tranquillamente affermare che l’obiettivo è stato raggiunto. La nostra istituzione da sempre si propone come luogo per lo scambio e il dialogo sulle discipline e le grandi tematiche del nostro tempo. Proprio con questa volontà, anche la mostra nasce per aprire un dibattito.

COSA HAI IMPARATO DA QUESTA ESPERIENZA? 

 

Vedere che tanti professionisti e tante testate tornano a parlare oggi di arte, pittura, sistemi espositivi da punti di vista diversi, anche con toni accesi e approcci divisivi, trovo sia straordinario all’interno di una scena in cui spesso si evidenzia la mancanza di critica e confronto.

IN CHE MODO TI ASSICURI CHE UNA MOSTRA SIA ACCESSIBILE E COINVOLGENTE PER UN PUBBLICO VARIEGATO, COMPRESI COLORO CHE POTREBBERO NON AVERE UNA CONOSCENZA APPROFONDITA DELL’ARTE E DEL DESIGN?

 

L’attenzione al pubblico, anzi “ai” pubblici, è fondamentale, dai più giovani a quelli speciali. La Presidenza e la Direzione di Triennale con tutto il Comitato scientifico stanno portando avanti una serie di azioni mirate al raggiungimento di questi pubblici all’insegna di parole quali accessibilità e inclusività. Questo comporta un ripensamento – fisico e/o concettuale – dell’istituzione stessa, dalla sua struttura alle offerte culturali, siano esse mostre, progetti Education o incontri del Public Program. E naturalmente molti visitatori si avvicinano ad artisti e opere esposti magari per la prima volta. Proprio a questi pubblici bisogna parlare. Con proposte mirate e accessibili. E con la capacità di intercettarne gli interessi.

COSA VUOLE DIRE PER TE LA PAROLA “COMUNITÀ”?

 

“Comunità” ha uno spettro molto ampio di significati. È la comunità degli artisti e degli addetti ai lavori e dei professionisti dei più svariati ambiti con cui ci si confronta costantemente per i progetti espositivi e per il Public Program, come anche tutti i visitatori di Triennale, dai professionisti, appunto, alle famiglie e appassionati, di cui parlavamo prima. Proprio per questo riprendo il discorso che “Comunità” è una parola chiave per Triennale, sempre più attiva per essere il luogo di riferimento per pubblici ampi, trasversali e che trovano nel Palazzo dell’Arte un luogo di aggregazione, di condivisione di esperienze, da vivere, non solo da visitare.

TRE BUONE LETTURE PER DECIFRARE L’OGGI?

 

Dysphoria Mundi di Paul B. Preciado, Chthulucene di Donna Haraway, Memestetica di Valentina Tanni.

 

C’È UN CURATORE DI CUI STIMI IL LAVORO E CHE TI PIACEREBBE INTERVISTARE?

 

E qui si ritorna ad Harald Szeemann…

Si ringrazia per la collaborazioni Triennale Milano.