Fotografie di Gio Blonde
Mia madre mi ripeteva come una favola “Il Mito di Er” di Platone, ovvero che prima di nascere l’anima di ciascuno di noi sceglie un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve una sorta di guida/compagno, un daimon, che è unico per ognuno di noi. Ma una volta nati ci dimentichiamo di tutto ciò e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ci ricorda il contenuto della nostra immagine, è lui quindi il portatore del nostro destino.
La parola dáimōn ha origine dal greco e significa infatti messaggero divino, spirito guida che sta in una sorta di terra di mezzo la stessa in cui risiede l’anima, e fa da tramite tra Dio e l’uomo.
Per Aristotele, il daimon simboleggiava virtù e saggezza, l’essenza più illuminata dell’essere umano, dentro al quale si nasconde il proprio potenziale.
E’ sempre mamma che m’ha tramesso ogni odore di sacralità . E questo ha creato tra me e lei ( e tra me e il mio Matrix ) un legame particolare, quasi benedetto, che porto dentro e ancora ricerco. Quando dico non “c’è fotografia senza trauma” è un po’ questo credo: è il mio rebirthing personale che con la fotografia provo a rivivere: ogni mancanza, ogni amore, ogni lutto. Paura e desiderio .
Se penso alle stanze di casa a G. sono intrise di sacralità : madonne, crocifissi, rosari, candele, quadri, libri sacri. Ogni racconto ed ogni viaggio ha creato in me uno stato di estasi E paura.
Per sacralità non intendo una condizione spirituale, mi riferisco a potenze e poteri che l’uomo sente di avere come superiori a sé, e perciò sono come dire altre e oltre a quelle umane . Mia madre ne aveva. Io ne ho, quando fotografo soggetti altrettanto divini. Come i miei Daemon
Ho sempre temuto il sacro come ne sono sempre stata attratta . Crea in me una sorta di estasi, dimentico ogni altro pensiero; produce uno stato di vera beatitudine.Ogni Madonna incontrata. Ogni daemon fotografato.
È l’unico modo che conosco (ad ora) per ricordare mia madre, sentirla. E mettere gratitudine a questa cicatrice d’infinita nostalgia.