Fotografie di Alessandro Gandolfi
Rubrica Fuoriperimetro
La sera del 13 gennaio 2012 la Costa Concordia, con 4229 persone a bordo, colpisce un basso fondale davanti all’Isola del Giglio. Tre ore dopo la nave da crociera è adagiata su un lato a pochi metri dalla costa: è il più grande transatlantico mai naufragato al mondo e la tragedia porta con sé 32 vite. Cos’è rimasto di quell’evento, dieci anni dopo? Oggi la Costa Concordia non esiste più, il suo nome è stato cancellato dal registro navale italiano. Simbolo di un dramma, il relitto è stato raddrizzato, smantellato e in gran parte riciclato: migliaia di tonnellate di acciaio oggi le ritroviamo nelle fondamenta di ponti e palazzi italiani. Ma della Concordia rimangono tracce di memoria ovunque. Oggetti che raccontano la vita a bordo, le storie dei sopravvissuti, la paura della morte e la gioia della salvezza. Il libro, 96 pagine in formato 20×27 centimetri, 35 euro, è in italiano e inglese ed è edito da Seipersei.
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E’ stato trovato che galleggiava nelle acque antistanti il cantiere, raccolto e conservato da un privato come una reliquia. E’ il modello ufficiale più grande della Costa Concordia, realizzato in plastica e legno, e ne esistono solo due copie al mondo: questa, che era presente sulla nave ed era stata data per dispersa, e quella di proprietà di Costa Crociere che per aiutare i soccorsi, nel gennaio del 2012, la mise a disposizione della Protezione Civile. La Concordia era ai tempi l’ammiraglia della flotta Costa e il modellino rende l’idea del gigante che era: lunga 290 metri e larga 35,5, la nave aveva una stazza di 114.500 tonnellate e poteva arrivare a una velocità massima di 23 nodi. I ponti erano 17, le cabine totali 1500 e poteva ospitare, fra turisti e membri dell’equipaggio, poco meno di 5mila persone. Ma all’Inaugurazione di Civitavecchia del 7 luglio del 2006, con madrina la modella Eva Herzigova, all’atto del battesimo ufficiale la tradizionale bottiglia di champagne lanciata contro la fiancata della nave non si ruppe: nella tradizione marinara è un pessimo presagio. Come su tutte le motonavi turistiche anche a bordo della Concordia venivano venduti modellini lunghi circa 20 centimetri a una cifra di 29 euro. Dopo il naufragio la Costa ha smesso di produrli ma in seguito all’incidente si è sviluppata una vera e propria caccia al cimelio, soprattutto sulle aste online. Dove questo e altri tipi di modellini, oltre ad altri oggetti presenti sulla Concordia (tessere magnetiche, programmi di viaggio, fiches del casinò etc) sono stati venduti anche a diverse centinaia di euro.
Manrico Giampedroni è stato l’ultimo uomo vivo uscito dalla Concordia. Rimase intrappolato oltre 30 ore all’interno della nave, con una frattura alla gamba sinistra e un trauma cranico, prima di essere trovato dai vigili del fuoco. Quel giorno indossava l’uniforme invernale con i gradi di commissario capo di bordo, e la manica sinistra l’ha successivamente conservata per ricordo (l’altra è diventata un ex-voto, posto nel santuario di Nostra Signora del Mirteto a Ortonovo). Oggi Giampedroni è in pensione, ha 65 anni e vive ad Ameglia, in provincia della Spezia. Ma quel 13 gennaio 2012 era a bordo in qualità di hotel director e quando la nave colpì lo scoglio all’Isola del Giglio lui si trovava in plancia di comando, invitato dal comandante Schettino. Giampedroni iniziò a soccorrere i passeggeri e a coordinare gli aiuti, e rimase sulla nave fino alla fine: “a mezzanotte, con la Concordia già inclinata – racconta oggi – mentre camminavo su una paratia una porta si aprì improvvisamente, precipitai nel vuoto e mi ruppi una gamba. Rimasi per un po’ di tempo immerso nell’acqua gelata, poi riuscii a spostarmi sulle gambe di un tavolo del ristorante Milano. Lì passai la mia prima notte, e pensai di morire come era successo vent’anni prima a mio cugino Lido, perito a bordo della Moby Prince. Ci vollero però tutto il giorno e parte della notte successive prima che mi trovassero: erano le tre del mattino del 15 gennaio 2012”.
Una buona parte della nave Concordia era dedicata al divertimento, anche per i più piccini. A bordo c’erano piscine, vasche idromassaggio, scivoli ma anche un campo polisportivo, un cinema 4D, un simulatore di Formula Uno e un miniclub con un’ampia sala giochi dotata di videogames e giostre per i bambini, dalle quali proviene questo cavallino in plastica. Tra le 32 vittime ci fu anche una bambina di 6 anni, Dayana Arlotti, di Rimini: il suo corpo venne ritrovato cinque settimane dopo il naufragio, sul ponte 4, morta affogata insieme al padre.
L’orologio originale che il comandante Francesco Schettino indossava la tragica notte del 13 gennaio 2012. Questo TAG Heuer Grand Carrera si danneggiò poco prima che la Costa Concordia si abbattesse sul lato destro di fronte all’Isola del Giglio. “Mio fratello mi spiegò che in quel momento si trovava sul lato di dritta, al ponte 3, quando l’inclinazione crescente della nave iniziò a trasformare i pavimenti del ponte in vere e proprie pareti. Mi disse anche che scivolando, urtò violentemente il polso contro il corrimano”. A raccontare è Giulia Schettino, sorella del comandante, che continua: “L’orologio segnava circa la mezzanotte e 14 minuti del giorno 13 – continua la donna – e come emerso durante il processo in effetti la nave si abbattè improvvisamente pochi istanti dopo, alla mezzanotte e 17 minuti, inabissando l’intero lato di dritta della Concordia”. Francesco Schettino ricorda di essersi accorto solo nella mattinata seguente che nel suo orologio entrava acqua, e che dunque si era danneggiato il sistema di chiusura stagna. “L’acqua – continua la sorella – è entrata probabilmente durante i minuti più tragici di quella notte, quando dal tetto dell’ultima scialuppa mio fratello mi ha raccontato di avere più volte immerso il braccio in mare per aiutare a salire a bordo chi era caduto in acqua”. Per diverso tempo l’orologio è rimasto fermo all’ora esatta del naufragio e ancora oggi è gelosamente conservato nella casa di Francesco Schettino a Meta (Napoli), con le lancette in quella esatta posizione.
Il tabernacolo dorato che conservava le ostie consacrate e presente nella cappella della Costa Concordia è stato recuperato dai Vigili del Fuoco pochi giorni dopo il naufragio, durante le ispezioni avvenute all’interno della nave in cerca di sopravvissuti. Affidato a don Lorenzo Pasquotti, allora parroco della chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano a Giglio Porto, il tabernacolo è da allora esposto in una teca all’interno della chiesa insieme ad altri oggetti recuperati dalla nave, in memoria della tragedia che nel gennaio del 2012 sconvolse l’isola.
“Poi la nave è andata giù di colpo. Quelli che stavano cercando di raggiungere l’altro lato per prendere le scialuppe sono rimasti in trappola. In quel momento è arrivato il vicesindaco, aveva delle corde. Insieme abbiamo cominciato a tirare su le persone incastrate lungo i corridoi diventati mortali tunnel verticali, ne abbiamo salvate una decina”. Il coraggioso vicesindaco del Giglio che salì a bordo della Concordia è Mario Pellegrini mentre a parlare al quotidiano La Repubblica, pochi giorni dopo il naufragio, è il medico Sandro Cinquini. Alcune di quelle corde servite a salvare tante persone sono esposti oggi alla chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano, a Giglio Porto.
Federico Ebli non aveva ancora compiuto due anni la sera del 13 gennaio 2021. La mamma Mary, tornati in stanza, lo mette a letto con la tutina di Snoopy e dell’uccellino Woodstock. Quella tutina bianca e rossa Mary l’ha tenuta nei cassetti per quasi dieci anni: “sapevo che era lì e mi bastava così, a memoria di quella notte” racconta oggi. “Federico l’aveva addosso quando dal lettino in cui dormiva lo abbiamo portato dove non sapevamo cosa sarebbe successo: ci attendeva la salvezza o la morte? Marco, mio marito, dal balcone della stanza aveva visto la terraferma. Dove siamo? Nessuno ci aiuta? C’è buio e la nave è davvero troppo inclinata. Dicono che quando c’è pericolo non bisogna fare da sé eppure decidiamo di provare a scendere alle scialuppe da soli. Prendiamo Federico dal lettino. Intanto partono i fischi di abbandono nave, alcune persone anziane sono già fuori con il giubbotto di salvataggio, lo mettiamo anche noi e scendiamo le scale. “Le scale, le scale” dice sorridendo Federico, che nel frattempo si è svegliato. Saliamo su una scialuppa, il personale urla in varie lingue, non si riesce a disarmarla. La barca tocca l’acqua, sento scossoni, urla, ancora scossoni. Ma in pochi minuti siamo sulla banchina del Giglio e Federico corre a piedi nudi sull’asfalto. Siamo vivi”.
Molti giubbotti salvarono la vita a chi li indossava, come la moglie di Francis Servel, un francese di 71 anni che pur non sapendo nuotare cedette il suo alla compagna (gettatosi in mare, lui però non raggiunse mai la riva). Sandor Feher invece, un violinista ungherese, morì intrappolato nella Concordia proprio dopo avere aiutare alcuni bambini a indossare il giubbotto salvagente. Alcuni giubbotti sono stati conservati come cimeli nelle case dei gigliesi, altri (oltre tremila) rimasti accatastati in un deposito di Talamone, all’Argentario, e altri ancora ritrovati molti mesi dopo a distanza di chilometri: nel febbraio 2013 ad esempio uno fu rinvenuto all’Isola d’Elba, nove mesi dopo un altro fu raccolto in una spiaggia della Maddalena, in Sardegna, mentre nell’aprile del 2014 un altro ancora è apparso su una spiaggia dell’isola di Salina, in Sicilia.
Poco prima dell’impatto con gli scogli al largo dell’Isola del Giglio, molti dei passeggeri erano già al casinò della nave. Quello della Concordia era un casinò enorme e luccicante, pieno di slot machine, roulette, tavoli da blackjack e da poker, ai quali ovviamente si poteva giocare solo con le fiches cambiate a bordo. Molti di quei colorati gettoni esistono ancora e chi li possiede ha provato fin dalle settimane successive al naufragio a metterli in vendita su internet a prezzi che hanno raggiunto diverse anche centinaia di euro.
“Today” è il programma in due fogli che a bordo della Concordia viene consegnato in camera ogni sera precedente. Il 13 gennaio 2012 è un venerdì, si prevedono mare mosso, cielo nuvoloso e una temperatura fra i 7 e i 12 gradi. Il sole sorge alle 7.41 e tramonta alle 17.02. Sulla sinistra ci sono i numeri di telefono in caso di emergenza. Nella sezione “Il Comandante Francesco Schettino comunica” si legge che “…alle 21.30 ci troveremo ad attraversare il canale che separa l’Argentario dall’Isola del Giglio, che sarà ben visibile a sinistra nave a una distanza di 5 miglia”. Questi due fogli rimarranno nella tasca di Marco Ebli, che si salverà salendo su una scialuppa insieme alla moglie Mary e al figlioletto Federico.
Alle 21 del 13 gennaio 2012, salite il giorno stesso sulla Costa Concordia, Antonella Cipriani e la cognata Nicla cenano al Ristorante Milano. “Sto per chiudermi la porta della cabina alle spalle ma mi trattengo” scriverà Antonella nel suo libro “Più lontano dal mare” (Vertigo Edizioni): “ho l’impressione che mi manchi qualcosa, rientro in cabina e tiro fuori dal cassetto la pochette nuova che la mia amica Caterina mi ha regalato. E’ vuota, e anche se in mare non c’è segnale vi infilo dentro il cellulare. Qualcosa ci devo pur mettere. Solo due ore dopo avrei scoperto quanto sarebbe stata importante questa mia frivolezza”.
Quando Caterina Pellegrini si è vista arrivare un pacco dalla Spagna non ha pensato subito alla tragica notte di due mesi prima. Conteneva un modellino della Sagrada Família e un biglietto di ringraziamento a firma Jaume Farrè Busquets. Caterina ha capito e si è commossa. “Avevo già la casa piena, ci saranno state 35 persone”, racconta oggi: “stavo andando a letto quando ho visto entrare mio marito con un bambino in braccio, sembrava un piccolo Gesù”. Era la famiglia di Jaume: lui, la moglie Elena, due bambini piccoli e il nonno al seguito, tutti saliti sulla Concordia a Barcellona, dove vivono. Caterina li ha ospitati nella camera da letto “e il nonno è stato tutta la notte davanti al camino, a scaldarsi, a pensare a sua moglie ferita e portata via con l’elicottero”. Dentro alla scatola anche una lettera datata 20 febbraio 2012 a firma di Ismael Alvarez Serrano, sindaco del comune di Pallejà (Barcellona): “i nostri concittadini – c’era scritto – non dimenticheranno mai come vi siete comportati e il grande aiuto che hanno ricevuto da voi in quei momenti così difficili”.
Curato dallo chef italiano Ettore Bocchia, il menù realizzato in occasione del battesimo della Costa Concordia (avvenuto il 7 luglio 2006 a Civitavecchia) prevedeva tartara di tonno con pinoli tostati, cavatelli, lombata di vitello e, per dolce, un aspic di fragoline e cioccolato bianco. Il viaggio inaugurale andò bene ma dopo il naufragio molti si ricordarono che durante il varo, avvenuto il 2 settembre 2005 ai moli di Fincantieri a Sestri Ponente, la bottiglia di champagne che tradizionalmente viene lanciata contro la fiancata della nave non si ruppe.
Han Gi-deok e sua moglie hanno soffiato per ore in un fischietto come questo, attaccato ai loro giubbotti di salvataggio. Il 29enne, un insegnante coreano, insieme alla neo compagna (sulla Costa Concordia erano in viaggio di nozze) sono rimasti bloccati un giorno e mezzo dentro la nave, e quando li hanno ritrovati erano chiusi nella loro cabina numero 303. “Erano lì, sani e salvi, e non riusciamo a capire come sia stato possibile” commentò allora un soccorritore: “chissà, forse tornare nella stanza è stata la decisione più giusta. Non sappiamo come sarebbe andata a finire ma così facendo si sono salvati la vita”.
La campana nautica è un po’ l’anima della nave, quella che dal ponte di comando con i suoi rintocchi continua ancora oggi – nonostante l’elettronica – a segnare tappe importanti della vita a bordo: l’inaugurazione, i cambi di comando, le nascite e i decessi, l’arrivo di un alto ufficiale, i capodanni, gli incendi. E quando la nave viene dismessa è tradizione che la campana venga conservata dall’armatore in un luogo sicuro. La campana della Concordia però, pochi giorni dopo il naufragio, nonostante il relitto fosse controllato giorno e notte, è stata rubata. Un episodio che l’allora capo della protezione civile italiana, Franco Gabrielli, definì “una delle pagine meno gloriose della storia del recupero”. Questa è una copia identica fatta realizzare da Silvio Bartolotti, proprietario della ditta italiana Micoperi, che insieme alla Titan riuscì nell’impresa di raddrizzare il relitto.