Fotografie di Alessandro Treves
Ho girato Mathare come un cane che fiuta cercando qualcosa che ha perso,
la fame mia e dei miei compagni è quello che mi ha guidato
cercando in punta di piedi di creare un piccolo diario del quotidiano
di un uomo bianco che si immerge in un mondo non suo e in cui ti ricordi costantemente di essere altro
di essere un muzungo ai loro occhi
che tradotto è un colonizzatore bianco
Ogni passo che muovi è sotto gli occhi di tutti, li senti
ma non li senti pesanti, li senti vogliosi
di chiederti
di domandarti
che ci fai li per prima cosa
Io mi sono fatto guidare dalla mia fame di scoprire qualcosa che non so,
qualcosa che è lontano da me geograficamente ma che ho sentito profondamente vicino
nell’attaccamento alla vita e nella profonda gratitudine giornaliera
in un posto in cui nulla è scontato questa gratitudine viene esercitata con forza è contagiosa per questo da Mathare non vuoi andartene.
Grazie a Kennedy e Pepe per essermi stati accanto nella mia fame.