Fotografie di Letizia Toscano
Milano ti dà, Milano ti toglie – la nuova rubrica in cui Pier Costantini e Letizia Toscano, incontrano e raccontano alcuni personaggi di Milano. Oggi incontriamo Federica Sala.
Milano, ancora Milano, perché Milano?
Milano accompagna i racconti pronti ad essere condivisi, i successi pronti ad essere raggiunti, ma anche le cadute vorticose per terra e per quelle non si è mai davvero pronti.
A Milano trovi tutto e spesso sei triste perché ti senti vuoto, Milano è sempre accesa e poi arriva un giorno in cui la vorresti spegnere. Le feste, le mostre, le cene, i pranzi di lavoro e le inaugurazioni.
Milano è anche il silenzio di camminate al Parco la mattina presto o lo scoprire nuove strade mentre cammini senza Google Maps.
È una città che mi ha offerto fin dal primo giorno un sacco di opportunità, sfide e turbamenti; quindi, è una città che vive e cresce (così sembra) in simbiosi con te, nel bene e nel male. Non è però un matrimonio, anzi, quando la simbiosi finisce e vuoi lasciarla, mi piace Milano, perché non se la prende, rimane lì a guardarti andar via o mentre diventi grande.
La mia testa è sempre almeno sei mesi avanti, sempre.
Infatti di lavoro faccio la producer. Anzi, preciso: io sono una producer anche se non fosse il mio lavoro. Ho infatti trovato un mestiere che mi permette esattamente di mettere in pratica le cose che faccio già naturalmente e che mi vengono bene: organizzare, mettere in contatto persone tra loro, creare dei gruppi di lavoro, delle squadre che funzionino, partecipare a battaglie perse per farsi alzare i budget per i progetti, ma soprattutto non avere MAI un giorno uguale all’altro. Milano è perfetta per questo stato d’animo, come un treno dopo l’altro su cui puoi salire e mille bagagli fatti e disfatti tra un viaggio e l’altro.
Per non ammalarsi come tanti di stress e seppellirsi sotto trapunte di pensieri esistenziali, la mia testa a un certo punto della mia permanenza a Milano, ha deciso di dedicarsi a qualcosa che prima di tutto ha aiutato me: la terapia.
Ho iniziato ad andare come cliente da una counselor nel 2010, anno di svolte e cambiamenti in tutti i campi come spesso avviene. Non cambia una cosa alla volta, ma tutte (male) e insieme.
Mi ha fatto così bene che ho deciso di diventare anche io counselor, aggiungendo agli studi universitari del passato un master in Counseling a Mediazione Corporea e integrando la più grande rivelazione che la mia testa abbia potuto contenere: la Biodanza.
E ora parliamo di dove sono le mie mani: le mani realizzano quello che la testa ha studiato a lungo e cercano di dare sempre più spazio a un grande cambiamento, una mia personale rivoluzione: diventare insegnante di Biodanza, una pratica settimanale che mi ha letteralmente rimessa al mondo.
Seguo il corso di preparazione per diventare insegnante presso il Centro LA CORDATA in via Zumbini, zona Milano Sud/Ovest ovviamente, ed è per questo che è diventato uno dei posti a cui sono molto legata.
Cuore, testa e mani in realtà sono sempre insieme, integrati nella mia danza continua per trovare equilibrio e mantenerlo, perché ognuno di loro abbia il giusto spazio nella mia vita.
*COS’E’ LA BIODANZA
La Biodanza nasce in Cile negli anni Sessanta grazie agli studi e alle sperimentazioni di Rolando Toro, psicologo e antropologo che nel 1965 inizia a sperimentare l’uso della danza con pazienti in cura psichiatrica.
Nel 1966 Toro estese la sua ricerca al di fuori dell’ambito clinico e strutturò un modello teorico e una metodologia basati sull’associazione “musica-movimento-emozione” con l’obiettivo di creare risposte psicofisiche emotive e specifiche, immediate, in grado di indurre cambiamenti per il benessere dell’individuo. La Biodanza, quindi, è un sistema di integrazione umana, rinnovamento organico, rieducazione affettiva e riapprendimento delle funzioni originarie della vita. Fondamentale è la musica, il movimento (non inteso come coreografie, ma libero, nello spazio) e del gruppo, con situazioni di incontro.
La radice filosofica della Biodanza è il “principio biocentrico” che mette la “vita” al centro dell’universo, implicando una rivoluzione di quello che viene considerato l’attuale paradigma della civiltà moderna, cioè l’antropocentrismo, l’uomo al centro.
Anche recenti ricerche all’Università La Sapienza di Roma hanno dimostrato come – a seguito di un corso settimanale di Biodanza per circa nove mesi – i partecipanti avrebbero manifestato un significativo benessere psicologico, della diminuzione dello stress e della alessitimia, ovvero l’incapacità di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni.
Quale sogno hai realizzato qui e quale vuoi realizzare?
L’ho già anticipato perché sono frettolosa in generale, ma il sogno che ho realizzato a Milano è stato quello di fare il lavoro dei miei sogni, ovvero intervistare band e cantanti, dj e produttori per confezionare interviste per programmi tv che parlavano di quello: la musica.
Gli anni ad All Music sono stati meravigliosi, ho girato il mondo in tempi in cui i social non esistevano e la TV aveva ancora il potere di farti regalare i biglietti aerei per andare in giro per l’Europa in una crew di 4 persone e in cambio bastava recitare come un mantra la magica frase: “poi vi mettiamo nei titoli di coda”…
Ho intervistato tantissima gente, ho tradotto centinaia e centinaia di parole per renderle sottotitoli che poi andavano in montaggio e poi in tv.
Alla fine, la cosa che mi è sempre piaciuta fare è parlare con le persone e conoscerle meglio, capire quello che hanno da dire e come lo esprimono.
Il sogno che voglio realizzare è quello di avere sempre più persone che frequenteranno i miei corsi di Biodanza, ma anche continuare a fare il lavoro che faccio, soprattutto continuare a farlo dove sono ora e con le persone che ho accanto ora. Creare reti di contatti, lavorare in maniera sana con persone sane. Questa è la mia danza “yin” e “yang” quotidiana.
Chiudi gli occhi: qual è il ricordo che ti lega qui?
Se chiudo gli occhi ricordo un pomeriggio di inverno del 2006, primo contratto in mano e io che giravo tra Papiniano, Solari e Tolstoj per cercare una stanza con la gioia di chi sa che sta realizzando un sogno e il terrore di chi dentro sa che è fragile come un soffione al vento e spera che nessuno se ne accorga.
Ieri, oggi e domani: i pro e i contro di essere (diventata) una milanese
Ieri era la prima volta, quindi tutto nuovo, tutto estremamente entusiasmante.
Oggi c’è la consapevolezza di avere 17 anni in più, stravissuti (cit.) un lockdown di mezzo e la voglia, onestamente, di tenere Milano come base, ma andare altrove.
Domani c’è altro, sono sicura, anche se un piede forse qui lo terrò sempre, ma il pro di essere diventata milanese è che se anche poi te ne vai, resterai comunque sempre “una di Milano”.