Fotografie di Mario Zanaria
Un progetto di: Greta Cappelletti e Mario Zanaria
Testo: Greta Cappelletti
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“Ah! Lavori in teatro! Cosa fai?”
“L’autrice”
“L’attrice?”
“No, zia. Autrice”
“Cioè?”
“La drammaturga”
Silenzio.
“La che?”
“La… sceneggiatrice”
Silenzio.
“Quindi fai le scenografie?”
Buio.
Dopo la notizia della chiusura dei teatri, i lavoratori scendevano in piazza, impotenti, funerei, e io pensavo a questo scambio con mia zia. Ero davanti a un teatro per dire che sì, c’ero anch’io, ma ero davanti a un teatro anche per proteggere un lavoro che mia zia non aveva ancora capito.
Intendiamoci, non voglio sminuire mia zia che, per la cronaca, fa un ottimo brasato al sugo, ma negli anni, insieme a diversi colleghi, mi sono imbattuta spesso in scambi sullo stile, quegli scambi dove il teatro diventa una struttura sfocata e l’attore l’unico ruolo assimilato mentre il resto è nebbia crescente, macchina del fumo.
I teatri sarebbero stati chiusi a breve, di nuovo e chissà per quanto, io sentivo il disperato bisogno di chiarire alla zia una volta per tutte il mio lavoro, ricostruendo pezzo dopo pezzo la macchina teatrale, quella delle insegne ancora accese, del brusio seguito dal silenzio in sala, del controllo biglietti all’ingresso, dei cellulari spenti e delle luci che, lente, si abbassano.
Prima di un buio finale, preparerei per la zia un racconto il più possibile esaustivo.
Inizierebbe così:
“Creo il motore di quello che vedi”
Greta Cappelletti, drammaturga
“Se gli attori ti fanno ridere o piangere è grazie a me”
Magdalena Barile, drammaturga
Lo strumento principale per il mio mestiere direi che è la mia testa che, a passeggio o sotto la doccia, cova possibilità e proposte.
C’è una frase molto bella di uno sceneggiatore di cui non ricordo il nome che dice “L’autore è quello che organizza un party pieno di invitati, lui è il festeggiato ma è l’unico che non si diverte”. Ecco, questo è il mestiere dell’autore. Aggiungo che se sei un autore di teatro ti rompono che la festa non è abbastanza divertente, troppo lunga, troppo corta… e, attenzione, se la festa riesce non è mai merito tuo, ma sempre o dell’attore o del regista.
“Sono quella che vedi sul palco”
Valentina Violo, attrice
Tua zia immagino sappia chi sono gli attori… quelli che, in sostanza, vedi sul palco. Probabilmente la zia non conosce il lavoro che sta alla base e che per ognuno è diverso. Per me inizia tutto dal corpo, solo così posso costruire un personaggio. Più in generale, direi che l’attore deve essere allenato con il fisico, la voce, essere a proprio agio con sé stesso e godere di salute, possibilmente anche mentale.
“Mi alleno, sudo e trascendo”
Alice Raffaelli, danzatrice
Quello che mi piace è che il movimento è un linguaggio universale e quando danzo chi mi guarda può interpretare ciò che vede come vuole, con grande libertà.
Il lavoro del danzatore può essere individuale o collettivo. Il primo riguarda sia la mente che il corpo ed è la ricerca personale, si nutre non solo del lavoro sul corpo ma anche di osservazione del corpo nel quotidiano o degli altri corpi per strada, dalla lettura, arte visiva… tutti stimoli che confluiscono nel creare l’identità di un danzatore.
Il secondo si svolge in sala per le produzioni, le prove di uno spettacolo dove si mette a disposizione la propria ricerca individuale per la visione di un coreografo.
“Fingo rimanendo reale senza essere falso”
Alberto Boubakar Malanchino, attore
La prima attitudine di un attore dovrebbe essere quella di osservare, devi essere capace di osservare e di giocare con estrema serietà. Per questo i bambini sono gli attori più bravi, perché loro giocano veramente, sanno divertirsi. In ogni caso, quando penso al lavoro dell’attore penso sempre a qualcosa che… non è mai chiuso, finito, perché la recitazione è un dare e avere costante con le tue esperienze di vita. É un lavoro che può arrivare a rincoglionirti davvero.
“Creo le atmosfere di uno spettacolo”
Giacomo Marettelli Priorelli, tecnico luci
Per me è sempre stato un lavoro di squadra, quasi di supporto, dove si aiuta chi va in scena. Facevo l’attore in una piccola compagnia, ma c’era poca manodopera quindi ti impiegavi per fare anche altro, sistemare una quinta oppure un faro… poi ho scoperto che mi piaceva e ho studiato quello. È un lavoro che si compone di diverse fasi: la prima è di progettazione e sperimentazione delle luci, poi si va in prova e si definisce quello che funziona, scremandolo da quello che non funziona. E poi, si precisa un disegno luci finale, i miei tempi di lavoro variano di fase in fase, posso stare in teatro dalle sette alle dodici ore al giorno.
“Progetto e realizzo la parte materiale e visiva di uno spettacolo.”
Lucia Menegazzo, scenografa, attrezzista
Il mio lavoro è servire la visione del regista. Il regista è quello che decide in che direzione va lo spettacolo. Ad esempio “Romeo e Giulietta”, se il regista vuole un’ambientazione storica del 1600 allora realizzo un’ambientazione che serve quella visione specifica, se immagina Shakespeare nello spazio, ecco che proporrò astronavi, edifici futuristici e così via! In ogni caso c’è sempre un gusto personale nel proporre, io preferisco le scene non cariche, non amo diciamo lo “stile Visconti”, la meticolosità della verosimiglianza storica e la precisione di oggetti e costumi, mi piace di più catturare l’essenza di un personaggio o di un’ambientazione. L’allestimento che più mi è piaciuto è stato a zero possibilità produttive, ma la compagnia lavorava con un cuore e impegno… capita quando uno entra nel mestiere di perdere quell’entusiasmo. Poi, solo di entusiasmo non si mangia ma… è bello tornare lì ogni tanto, ne abbiamo bisogno.
“Io rappresento cose, situazioni, persone”
Anahì Traversi, attrice
Per ogni spettacolo ho come una specie di segreto. Mi piace tenere delle cose che sono mie: un’immagine, un frammento letterario… qualcosa che magari non ha niente a che fare con lo spettacolo ma ha un potere misterioso su di me, mi attiva, mi smuove. Quando si è in crisi sull’essere attore, quando ci si chiede perché lo si fa, io penso sempre a un pezzo del libro “Franny e Zooey” di Salinger che dice, in sostanza: “Tu pensa sempre che la vecchia Signora di Seymour c’è”… la signora di Seymour è quello spettatore che è sempre lì, a guardarti.
“Sono una persona disposta a giocare per raccontare storie.”
Francesco Aricò, attore
Studio, preparazione, tempo. Serve tempo perché la recitazione non è una cosa lasciata al caso, anche quando lo sembra. Per restituire la vita in scena ci vuole stratificazione, pazienza. Stratificazione perché è un lavoro composto da più fasi: lo studio di chi è il personaggio, che situazione c’è, il vissuto, i desideri, le circostanze di tempo, cosa fa, come lo fa, lo spazio… quindi, per strati, assumi e depositi. La cosa che mi piace di più è che recitare ti dà la possibilità di tornare su situazioni e studiarle, capire perché uno ha detto o fatto una cosa e ripercorrerla… questa cosa non puoi farla nella vita, magari si potesse.
“Costruisco le cose che stanno sul palco”
Cecilia Sacchi, scenografa realizzatrice
Mi piace la concretezza, non siamo più abituati a costruire cose. Quando vedo una bicicletta, io voglio capire i meccanismi che la compongono, studiarne il funzionamento.
La prima tappa del mio lavoro è ricevere i disegni dallo scenografo bozzettista e dopo i disegni tecnici esecutivi con tutte le misure per la realizzazione. I miei materiali preferiti sono il legno, la creta. Non sopporto il polistirolo, se lo lavori a caldo puzza, mentre a freddo si attaccano i pallini. Però, è molto pratico e costa poco, quindi è il più usato insieme al legno. Le cose si possono fare complicate se per esempio hai un’opera o un musical da mettere in scena, e magari hai un’intera città adattata alla scatola da palcoscenico da costruire.
“Io sono il comandate della nave”
Camilla Brison, regista
Fare regia è coordinare tutte le cose pratiche e tutte le persone che devono farle tenendo presente un obbiettivo artistico. Trasformare, insomma, un’idea in tante cose piccole concrete: fare telefonate, trovare un bicchiere, tagliare un pezzo di frase, far fare memoria a qualcuno che ha difficoltà, cambiare punto di vista di un attore su qualcosa che deve dire, illuminare, mettere d’accordo o disaccordo un sacco di persone tra di loro… avere la visione d’insieme. Quando non lavori a un progetto coltivi il tuo gusto. Poi a volte ti fai venire delle idee perché semplicemente ti annoi e hai bisogno di esaltarti. Quando non stai lavorando ti chiedi su cosa vorresti lavorare.
“Ricerco lo spettacolo giusto per ogni situazione”
Giulia Brescia, organizzatrice teatrale
Guardo anche duecento spettacoli in un anno e trovo soluzioni pratiche. Non amo le forme di spettacolo datate, penso che abbiamo un gran bisogno di storie nuove e che il pubblico abbia necessità di trovarsi nelle storie proposte. La curiosità è la chiave di questo mestiere e si lega alla ricerca. Se voglio uno spettacolo provo ad averlo, poi mi domando come arrivare al pubblico a livello comunicativo. Perché una persona dovrebbe venire in quel teatro o a vedere quello spettacolo? Non può essere solo un titolo in cartellone, lo spettacolo va accompagnato in un percorso: creo un dibattito, intercetto associazioni, organizzo incontri, è un processo continuo. Se aderisci a un progetto di questo tipo è diverso: il pubblico diventa critico. Un altro concetto dovrebbe essere l’onestà: avere forza e coraggio nel proporre spettacoli, il pubblico è più importante di ogni strategia di piccolo scambio tra teatri.
“Io decido cosa farti vedere”
Rossella Corna, tecnico luci
Per me progettare un disegno luci è creare bellezza. La fase iniziale di progettazione è sempre suscettibile di modifiche, che possono essere dettate dalle scelte artistiche oppure che derivano da mancanza di mezzi, budget, tempi di montaggio o dalla stessa infrastruttura che ospita lo spettacolo. Il tecnico è in dialogo con gli attori sul palco, con l’azione teatrale vera e propria, qualcuno magari ha bisogno di un movimento in più e allora studi una luce per quello, una proposta di luci non deve essere limitante per chi vive il palcoscenico. Una volta definito il disegno si passa al montaggio. Un montaggio luci richiede dalle tre alle otto ore, dipende cosa stai montando. Ma il mio momento preferito è l’andata in scena. Sento l’ansia anch’io, come qualsiasi persona sul palcoscenico, è un’ansia diversa ma il momento di ricezione del pubblico è sempre adrenalinico.
“Cucio e vesto gli attori per farli diventare personaggi”
Diana Ferri, sarta
Mi piace andare in tournée con spettacoli. É dura, perché si sta lontani da casa anche per molto tempo e la compagnia diventa una specie di famiglia. Il backstage di un teatro è sempre casa, lo riconosci, al contrario della città che è sempre diversa! Entro in teatro molto presto perchè bisogna fare la lavatrici e riparare ciò che si è rovinato la sera precedente. Poi allestisco i vari camerini e i cambi che vanno fatti in palco: tutto ha un ordine specifico, tutto ha dietro un perché, tutto è il risultato di un lungo dialogo con attore e regista. Lo spettacolo più complesso per me è stato un musical con quindici attori e un sacco di doppi ruoli, quasi tutti i performer dell’ensamble si cambiavano dalle dieci alle venti volte ciascuno, i cambi sono di trenta quaranta secondi e non c’è tempo per l’imprevisto. Sei al buio, il pubblico bisbiglia, hai le scene che ti passano sopra per i cambi, il direttore di scena che ti dice “Muoviti!”. Bisogna avere sangue freddo! Quando finisce lo spettacolo io sgattaiolo fuori e mi metto all’entrata, mi piace vedere le facce del pubblico che esce dopo uno spettacolo.
“Faccio le musiche”
Federica Furlani, sound designer
Ogni spettacolo che fai è diverso quindi anche le musiche lo sono. Lavoro molto con rumori, elettronica, archi e ogni volta devo pensare a un genere diverso. Spesso entro subito nel processo creativo, quando ancora si sta finendo il testo oppure a testo appena concluso, io leggo e penso cosa possono interpretare gli elementi musicali, creo delle bozze musicali, o cerco riferimenti già editi. Sono presente a una parte delle prove, guardo, ascolto, poi sistemo. È un continuo sistemare e proporre. Ci sono periodi in cui compongo tutto il giorno per una produzione. Comunque, a me piace il silenzio, l’ascolto per me è molto impegnativo, quando ascolto qualcosa il cervello si attiva e inizia a capire la melodia, sezionare gli strumenti e…non mi rilasso.
“Rubo frasi perchè la gente che ascolto per caso è più brava di me”
Renato Sarti, autore, regista, attore
La più bella definizione di che cos’è il teatro me l’ha suggerita la mamma di Bebo Storti: “Come mangio bevo e dormo così vado a teatro”. Il punto è che spesso da pubblico non ci si rende conto della complessità della macchina teatrale. Da giovane mi sono occupato di di burattini, di clown. Ho fatto il macchinista, il direttore di scena, ho lavorato nel mondo della lirica. Vedevo le prove di Strehler, al Piccolo Teatro e alla Scala. Per molti anni ho lavorato all’Elfo, che era una autentica palestra di teatro e mi sono reso conto della complessità della macchina. Non solo sul palco ma pensiamo anche al direttore di sala, alla cassiera che crea rapporti quasi personali con gli spettatori. Pensiamo ai trasportatori che dopo ogni replica con i camion portano di notte le scene sulla piazza del giorno dopo. Io amo tutti i ruoli e il Teatro della Cooperativa, che ho aperto nel 2002 nel quartiere di Niguarda, mi ha permesso di essere drammaturgo, con la sua dimensione intima, attore, che vive l’ebrezza del contatto con il pubblico e regista, che coordina tutta la macchina. Io sono per un teatro popolare, di parola in cui l’attore (tragico o comico), deve far capire cosa accade nella società e nella vita di tutti i giorni. Quello che succede sui tram, nelle scuole, nelle trattorie, dove puoi instaurare rapporti con persone che a volte sono autentiche fonti. Alcuni loro pensieri o frasi poi inserisco negli spettacoli. E quando riesco a creare un corto circuito fra l’esterno e quello che avviene sul palco allora ho la sensazione di aver centrato l’obiettivo: che è una assunzione di responsabilità nei confronti della comunità alla quale appartengo e verso la quale mi sento in dovere di offrire qualcosa che la coinvolga, con la ragione e con le emozioni.
“I personaggi non vengono vestiti da casa, li vesto io”
Gianluca Sbicca, costumista
Un modo per parlare del mio lavoro è pensare a un bel massacro. Hai orari folli. Devi seguire sia produzione costumi e prove in teatro. Inizi alle 9 e puoi stare fino a mezzanotte: la mattina sei laboratorio per i costumi e il pomeriggio segui le prove per capire se quello che hai concepito funziona o meno, se ci sono modifiche da fare. Se segui più produzioni in contemporanea tutto questo va al quadrato o al cubo. Io creo un oggetto, il mio apporto è uno strumento di lavoro per l’attore, non è un abbellimento, è un aiuto per la realizzazione del personaggio che interpreta. Il testo è fondamentale ma non è prevaricante per me, Io vengo da un teatro di regia, il regista è come un pasticcere che ha in mente la realizzazione finale di una torta, io sono un ingrediente tra molti. È tutto un bilanciamento, nessun mestiere deve prevaricare l’altro. Ascolto più che posso gli attori che devono essere a proprio agio in scena ma bisogna stare attenti perché, attenzione, io non sono lì per farti bello, io sono lì per farti giusto.
“Metto insieme in maniera armonica i contrasti”
Giampiero Solari, regista
C’è stato un anno dove ero il direttore artistico di una trasmissione televisiva con Panariello, una trasmissione che faceva dodici milioni di spettatori a sera, e allo stesso tempo firmavo la regia di “Caccia ai topi”, un testo con due attori in scena, uno spettacolo teatrale dove potevano entrare non più di novanta persone a replica. La regia è questo, se vuoi: usare da zero a tutti i mezzi possibili per creare il tuo racconto, e puoi aver bisogno di un garage come del Colosseo, di una semplice lampadina o di una scena in 3d, dipende da cosa racconti. I mezzi tecnici devono relazionarsi tra loro in armonia, insieme a tutti gli esseri che si muovono sul palco. Ed è proprio questo gioco armonico d’insieme a creare il tuo racconto, che deve arrivare a tutti, dall’intellettuale alla persona più semplice.
“Pigio i tasti e nessuno mi vede”
Matteo Giacotto, tecnico luci
Quando penso a una situazione tecnica teatrale penso alla parola ‘controllo’. In senso positivo, un controllo attivo. È quello il bello. Come un autore che ascolta le battute scritte da lui e dette da un attore, per un tecnico il bello è modificare in tempo reale la scena. Studi molto sul campo, nel teatro. A me piace il teatro come struttura e mi piace viverlo più da tecnico che da artista (io nasco come attore). L’attore vive solo dei lati del teatro il tecnico, invece, vive il sopra, il sotto, la graticcia, tutti i livelli possibili… e poi, il dietro: a me piace un casino stare dietro le cose, nelle regie dei teatri sei sempre sommerso di tasti, dietro tutto, hai grandi responsabilità ma nessuno ti vede.
“Io servo a far dire: Ah, non ci avevo pensato!”
Massimiliano Speziani, attore
La figura dell’attore è simile a quella del messaggero che nell’antica Grecia si staccava dal coro e portava la parola di altri, raccontava di mondi che non si vedevano, antefatti e risoluzioni e univa il mondo del pubblico a quello della scena. L’attore attiva, accende una lampadina per cui dopo tutti possono guardarsi e domandarsi qualcosa, il teatro serve a questo, a far dire “Ah non ci avevo pensato!”. Parlo del dialogo con lo spettatore perché è lui quello che crea. Io non credo che esista il personaggio concretamente. Esiste nell’illusione di ognuno, nella ricostruzione che lo spettatore fa. Non posso realizzare una cosa che immagino, una cosa che non c’è. Io non so cos’è il personaggio, nasce dal testimone, lo spettatore, che vede questa cosa. Io non posso consegnare tutto ‘ecco, tieni, questo è il personaggio e tu lo devi vedere così’. Non costruisco la psicologia… la psicologia riguarda l’emotività, le cose nascoste, noi non conosciamo noi stessi figurati se conosciamo il personaggio.
“Do la possibilità di avere uno spazio idoneo e bello”
Marco Pirola, macchinista
Le figure tecniche di un teatro sono tante ma direi che quelle storiche sono: macchinista ed elettricista. Da quando è nato il mondo c’è questa diatriba tra loro: se metto un oggetto in questa posizione, in quanto macchinista presumo che venga illuminato mentre l’elettricista dal canto suo dice “Se la luce è in quel punto, lì deve esserci l’oggetto”, è tipo se è prima nato l’uovo o la gallina, e non se ne esce se non volendosi bene.
Ci sono differenti tipologie di macchinista: quello di palcoscenico e il costruttore. Il costruttore realizza le scenografie, si tratta sempre di costruzioni con delle particolarità specifiche per il teatro: devono essere leggere, trasportabili (quindi che si possano smontare e rimontare rapidamente) e resistenti (si presume che uno spettacolo abbia successo). Il macchinista di palcoscenico, invece, è il tecnico che si occupa di montare la scenografia nei diversi teatri.
“Sono lo strumento per raccontare una storia”
Sara Bertelà, attrice
Il mio è un mestiere semplice, molto vicino a quello di una mamma o di una nonna che racconta una storia a un figlio o a un nipote. L’attore è un tramite, crea un ponte tra le parole scritte e ferme sulle pagine, le mette in movimento e le regala a un pubblico, portando luce su fatti, possibilità, emozioni. Quando ero al liceo avevo visto il Riccardo III di Shakespeare con Albertazzi, mentre tornavo a casa mi sentivo ancora immersa nella storia, mi sentivo diversa. E ho pensato “Ma questo dell’attore è un mestiere pazzesco!” perchè semina delle idee, sensazioni, parole nuove che prima non avevi. Una cosa che amo molto è che il senso di questo mestiere lo si trova andando: se l’attore è un funambolo, la storia è un filo e si trova l’equilibrio sempre al passo successivo.
“Passo lunghi periodi al chiuso e altri su dei treni”
Alice Spisa, attrice
La giornata dell’attrice si divide in due eventualità: l’attrice che sta lavorando e l’attrice che non sta lavorando. L’attrice che lavora è in giro a far spettacoli o prove. Prende il treno perde una coincidenza (mi sento di consigliare: mai più di due cambi perché uno lo perderai di sicuro), oppure va in macchina se è molto fortunata. E si va alla tappa successiva (se sei in tournée). Arrivi al teatro, dopo che i tecnici si sono fatti le loro quindici ore di montaggio, arrivi che è tutto pronto, con memoria del testo e in uno stato psico fisico accettabile per salire sul palco. E, prima dello spettacolo, molto importante: devi trovare il ristorante dove andrai a mangiare a fine replica. C’è di solito un attore appassionato della tematica che propone un posto ma di solito non incontra l’unanimità, quello che propone la pizza e quello che non vuole (io per esempio non mangio la pizza)… è un momento sempre difficile, delicato e l’armonia del gruppo è la cosa più importante.
“Comunico attraverso le parole di altri”
Ida Marinelli, attrice
Se mi chiedessero: tu cosa vorresti essere? Io vorrei essere un attore che ogni volta cambia e nel cambiare diventa irriconoscibile.
Ma quello che a me è piaciuto all’inizio era: poter comunicare con qualcuno, molto semplicemente, perché credevo che attraverso alcuni autori io potessi dire meglio ciò che pensavo. E con alcuni autori mi son trovata davvero molto bene! Alan Bennet, ad esempio. Quello mi interessa: comunicare. Anche perchè io faccio un po’ di fatica a esibirmi, cioè non ho quella spinta lì subito, non ho quella molla iniziale, arriva solo in un secondo momento. Prima c’è lo studio e io non amo l’improvvisazione, le cose abbozzate, le toppe al lavoro che non si è fatto. Bisogna provare, provare, provare.
E divento ossessiva: studio la parte, approfondisco leggendo in merito all’argomento, osservo la gente, lavoro con il registratore, catturo i modi delle persone che incontro per strada. A volte devi imparare cose che non ti saresti mai sognato di imparare! Ma poi, questo è solo il mio di mestiere, per costruire uno spettacolo la relazione tra attore e tutte le altre competenze è fondamentale e molto serrata, ognuno cerca nel proprio campo e si mettono insieme, lo studio coinvolge tutti. Quello che mi piace è che si crea come un piccolo mondo. Bisogna provare per arrivare a qualcosa di cui tu sia realmente soddisfatto ma non solo tu, anche il tuo collega, il regista e via dicendo. E, come si dice nel film “Il gusto degli altri” la cosa più difficile è sottostare al gusto degli altri mantenendo la propria identità!
Silenzio.
Lungo il Naviglio Pavese, uno studio fotografico.
Nelle prime luci del mattino, entra un attore. Poi un macchinista, un tecnico audio e luci, una danzatrice, un direttore di scena, una drammaturga, una sarta, un costumista, una scenografa-attrezzista, due registi…
Il fotografo fa un cenno, si sistemano le luci, il fondale. I lavoratori del teatro entrano in scena.
Scatto. “Raccontami cosa fai”. Scatto.
La zia guarda questo teatro e non chiede più niente.
Buio.
(ringraziamenti)
Elena Benvenuto (Assistente Foto)
Martina Manghi (Supporto Styling)
Roberta Paparella
Teacup Milano