Fotografie di Pier Costantini
in collaborazione con scomodo magazine
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Questi mesi di pandemia hanno cristallizzato Milano per lungo tempo, trasformandola in una città nuova e diversa, fatta di silenzi, serrande abbassate, strade deserte e finestre illuminate. I riders sono stati tra i pochi che hanno continuato ad abitare e possedere le vie, senza mai smettere di sfrecciare in bici da una parte all’altra del territorio meneghino, hanno costituito il tessuto connettivo della città, permettendo a molte attività di non fermarsi. Spesso le tutele per loro sono mancate, ma a non mancare mai è stata la loro necessità di continuare a lavorare. L’individuo e la sua identità sono così costantemente nascosti dietro uno zaino colorato che esibisce un’etichetta di subalternità, e porta spesso a scordarsi di riflettere guardando oltre l’orizzonte dello stereotipo.
Mohamed Diallo, 26 anni
“Tutti gli italiani confondono sempre il mio cognome con il colore giallo, l’altra sera sono uscito con una ragazza che continuava a scherzarci, ma comunque non mi dà fastidio, capisco che la pronuncia per voi sia difficile come lo è per me quella italiana. Quando sono arrivato qui ho dovuto fare la scuola di italiano due anni per riuscire a parlare anche solo il minimo indispensabile. Sono contento di averlo fatto comunque, mi trovo qui in Italia per restare il più a lungo possibile e conoscere la lingua è essenziale per ambientarsi.”
Nataniel, 23 anni
“Ho iniziato a fare il rider circa un anno fa, dopo aver visto un annuncio online, nel complesso mi sto trovando abbastanza bene anche se soffro molto il freddo in questo periodo, ma nel corso della giornata pedalando ci si fa meno caso.”
Youssouf Bah, 26 anni
“Lavoravo nella cucina di un ristorante a Menaggio fino all’arrivo dell’emergenza sanitaria, poi con la chiusura ho iniziato a fare il rider per continuare a mantenermi nell’attesa di poter tornare al mio mestiere. Sogno di diventare cuoco, possibilmente pizzaiolo. Mi manca lavorare in cucina. Ieri sera tornando a casa dopo una giornata di consegne ho perso il telefono sul binario della stazione e fermandomi a cercarlo non sono riuscito a salire sull’ultimo treno, quindi sono rimasto sveglio in stazione tutta la notte e oggi sono venuto comunque a lavorare, altrimenti avrei perso tutta la paga della giornata.”
Zahid Ali, 40 anni
“La cosa che preferisco da quando faccio il rider è poter pregare in ogni momento in cui devo farlo, mentre nella maggior parte degli altri mestieri non era fattibile. Ad esempio quando lavoravo in fabbrica era impossibile star dietro a tutte le preghiere delle ore centrali della giornata. Ora uso un’app molto comoda, ogni volta che suona trasmette il canto del muezzin e mi ricorda che è il momento della preghiera, e sono felice di potermi concedere di scendere dalla bici per qualche minuto e fermarmi a farlo.”
Abdul Wahab, 42 anni
“C’è troppa gente ora che fa questo lavoro, io ho iniziato solo da due settimane e sto facendo fatica ad inserirmi perché i lavoratori di questo settore sono davvero molti adesso. Purtroppo qui non sto trovando altri lavori perché l’italiano non lo parlo per niente, e anche se parlo inglese perfettamente questo non sembra essere sufficiente per ritagliarsi uno spazio nel mondo del lavoro italiano. In Pakistan facevo il sarto di abiti da uomo, ero innamorato del mio mestiere.”
Afridi Salman, 27 anni
“Diversi amici hanno iniziato a fare i rider e a parlarmi molto bene del lavoro, allora ho deciso di provare anche io per vedere come mi trovavo. Adesso lo faccio da un anno. Penso sia un lavoro sicuramente migliore di altri, e comunque non conosco per niente bene l’italiano quindi so che farei più fatica a trovare un impiego in un diverso settore.”
Majdeddine, 26 anni
“Ho vissuto in tanti posti diversi, prima di arrivare a Milano sono stato in Francia per parecchio tempo, grazie a questo e al fatto che nella mia famiglia allargata tutti hanno sempre viaggiato molto sono riuscito a imparare sette lingue. È una competenza molto utile che mi ha permesso di lavorare in diversi hotel di lusso, e cerco di inserire questa commistione anche nelle mie canzoni. Sono un cantante afro-rap e nei miei testi provo sempre a unire lingue diverse e luoghi lontani. Adesso qui faccio il rider, ma penso sarà soltanto temporaneamente.”
Bah Mamadou, 21 anni
“Faccio fatica a comunicare in qualsiasi lingua per adesso, non ho ancora imparato l’italiano e l’inglese non lo parlo né lo capisco bene. L’unica salvezza è che ci sono tanti ragazzi stranieri come me con cui riesco a legare visto che facciamo lo stesso lavoro, e supportarci a vicenda è facile senza l’ostacolo comunicativo che invece mi porta a isolarmi da tutti gli altri.”
Nasir Sohail, 25 anni
“Sono arrivato qui nel 2019, dopo aver lavorato a Malta parecchio tempo perché parlo bene inglese e quindi lì era semplicissimo trovare un impiego, soprattutto nella ristorazione. Qui faccio più fatica e allora ho iniziato a fare il rider, anche se mi dispiace non potermi inserire in un settore più affine rispetto agli studi che ho svolto: in Pakistan avevo preso una laurea in Biologia.”
Sahak Ewaz Khan, 22 anni
“Ho fatto il muratore per diversi anni quando sono arrivato in Italia dall’Afghanistan, poi un amico ha iniziato a dirmi che facendo il rider avrei guadagnato praticamente la stessa cifra ma con la possibilità di non avere un vero e proprio capo e potermi gestire i miei ritmi e orari di lavoro in autonomia. Un anno fa mi sono spostato a fare questo ed effettivamente mi sto trovando molto meglio, riesco a vivere il lavoro in modo meno pesante di quanto non facessi prima.”
Peter, 34 anni
“Vengo dal Ghana e da quattro anni vivo qui a Milano. Dal primo lockdown ho iniziato a fare il rider perchè nella mia fabbrica hanno mandato via tanti operai per colpa della crisi e dell’emergenza sanitaria. Ora sto continuando a fare questo perchè è un periodo davvero difficile per mettersi a cercare qualcosa di diverso, ma lo preferisco rispetto alla fabbrica.”
Mohamed Kourouma, 23 anni
“Ho fatto il bracciante nella campagna napoletana quando sono arrivato qui dalla Guinea, poi ho deciso di spostarmi più a Nord e ora vivo a Valle Lomellina, ma vengo qui a Milano per lavorare ogni giorno. Poco tempo fa purtroppo mi hanno rubato la bici elettrica, questione di un secondo, in pieno giorno, mi ero fermato pochi minuti ad aspettare una consegna e la bici è sparita. Ho dovuto mettere via i soldi diversi mesi per riuscire a ricomprarla ma adesso finalmente ci sono riuscito: è impossibile guadagnare uno stipendio decente come rider senza una di queste bici.”
Waqas Azam, 32 anni
“Sono ingegnere informatico, ho preso la specialistica in inglese qui a Siena dopo una laurea triennale in informatica conseguita in Pakistan. Ora faccio il rider perché parlo soltanto inglese e qui non riesco a lavorare nel mio settore, anche se sono venuto a Milano pensando di farcela. A breve però probabilmente mi sposterò in Canada, lì vivono alcuni parenti e amici di famiglia e credo sarà più facile inserirmi nell’ambito informatico.”
Bilal Afzal, 35 anni
“Vivo in Italia da quattro anni, sono venuto per finire gli studi di Geologia e mi sono specializzato in ambito petrolifero. Ultimamente ho fatto diversi colloqui da Eni, che era la compagnia che mi aveva spinto a spostarmi a Milano dalla zona di Macerata, dove vivevo prima. Vorrebbero assumermi ma per esercitare la professione mi dovrei trasferire nuovamente in Pakistan o in Egitto, perché figure come la mia sono richieste soprattutto in quelle zone, io però in questo momento non voglio andare via da Milano, mi trovo molto bene qui, penso che per ora continuerò a fare il rider.”
Mohamad Wisal, 28 anni
“Vengo dal Pakistan e sono qui in Italia soltanto da un anno, imparare la lingua è davvero difficile per ora, però un vantaggio che c’è nel nostro paese è quello di studiare molto bene l’inglese fin da piccoli, e questo rende comunque molto semplice riuscire a comunicare dovunque ci si trovi. Ad ogni modo per questo lavoro non è molto importante la lingua, e mi sta piacendo fare il rider.”
Arianna Preite (Scomodo)