Fotografie di Aldo Amoretti
–
Ventimiglia, Italia, Febbraio 2021
A pochi chilometri dalla Costa Azzurra, dove la rotta dei migranti si interrompe dal 2015 contro la frontiera francese.
Loro camminano ed io ho camminato gli ultimi chilometri con loro. Per vedere cosa succede quando un migratore è obbligato ad abbandonare tutto quello che ha: la sua rotta.
Il racconto dura un giorno, una sorta di diario che attraversa il paradiso della Riviera ligure, il purgatorio della città di Ventimiglia, e l’inferno dello scalo merci ferroviario abbandonato.
Il viaggio finisce in un maestoso cimitero a cielo aperto, maestoso ma senza memoria.
Dove il tempo non è passato né futuro ma solo un presente abbandonato a sé stesso.
Sotto una luce lattiginosa si mostra un paesaggio nullo, una fotografia non scattata.
Stazione di Ventimiglia. Ultima fermata prima della frontiera.
Sono le nove e sta iniziando la lenta distribuzione degli alimenti. Da quando il centro di accoglienza è stato chiuso i volontari della Caritas si occupano di loro. Aspettano sotto un cielo grigio come le anime del purgatorio.
Ci fermiamo a Ventimiglia. Qui dal 2015 la rotta si interrompe, e ci si spande nelle vie della città.
Questa è la linea che porta allo scalo merci ferroviario: un’opera realizzata nel 1993 e dopo qualche anno dismessa.
Una lunga cicatrice curva che taglia e ferisce lasciando questi spazi sghembi.
Camminano nel fango del presente, i piedi pesanti, un passo dopo l’altro.
Allineo le sagome rettilinee dei binari con la fila dei migranti, l’unico elemento ordinato in questo paesaggio caotico.
Appiattiti contro le superfici grigie di cemento si riparano i migranti. Mi colpisce la fragilità del tessuto contro la superfice di cemento. Mi colpisce la loro fragilità contro la superfice indifferente del tempo.
Mi ricordano le Carceri di Piranesi. E loro, i prigionieri.
Il tempo smonta e rimonta. Smonta la ferrovia in bulloni, pezzi di ferro, traversine rotaie, agganci. Sopra ricrescono piante, cardi, piccoli pini, ed i resti dei migranti si accumulano come stratificazioni geologiche. Lattine arrugginite su rotaie arrugginite. Il tempo smonta e rimonta.
Edifici rossi vissuti pochi anni e poi morti, ora inghiottono altre vite interrotte.
Vedo persone fuori scala, piccoli puntini inesistenti.
Dentro i resti dei migranti si sovrappongono ai resti di questo cimitero, dove il fallimento dell’urbanistica si sovrappone al fallimento del loro viaggio. Un luogo dove gli uomini sono inutili, un insieme di futuri abbandonati.
Al degrado si somma degrado, in un lento ed inevitabile processo entropico fatto di fuochi spenti e fili strappati come viscere.
Qui si accumulano i resti dei carri fioriti ormai sfioriti, quello che resta della Battaglia dei fiori. In mezzo a giganti di cartapesta dilavati dal tempo, allegoria di questa esistenza, si accampano i superstiti.
Luoghi inutili abitati da persone divenute inutili, come i venticinque binari che finiscono qui. Binari morti.