Photo by Silvia Orlandi
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Può capitare che sia troppo. A volte Milano è troppo, a volte tutto il resto. E allora arriva il bisogno di staccarsi dal ritmo frenetico, dall’iper stimolazione, dai troppi pensieri per prendere fiato.
E così attraverso l’obiettivo della macchina fotografica mi sintonizzo su un altro canale, persa nei dettagli, a mettere ordine con le lineee i colori, ed è di nuovo tutto sotto controllo, in equilibrio, torna la pace, l’assenza di pensiero, la mia meditazione, la mia ossessione. Questa volta alzando gli occhi al cielo mi sono persa nell’affascinante bruttezza del klinker, uno dei materiali più longevi nella storia della ceramica. Questi mattoni o piastrelle vetrificate caratterizzano la Milano nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale ma soprattutto il dopoguerra, e sono stati utilizzati sia per l’edilizia popolare che per progetti di architetti famosi. A tal proposito, proprio a Milano troviamo il primo esempio italiano di applicazione di questo rivestimento, il Palazzo dell’Arte, realizzato dal progettista Giovanni Muzio nei primi anni ‘30. Ma non fu solo Milano a rivestirsi di una pelle traslucida e colorata, lontana dal razionalismo del bianco, intonacata, idealmente eterna. Anche Roma rispose, un po’ dopo, con la realizzazione di interi quartieri rivestiti di klinker. A Milano lo possiamo trovare nei colori del marrone, del bruciato (per esempio la casa ai giardini di Arcadia) o del créme caramel come lo chiama Luigi Caccia Dominioni (che ne fa ampio uso tra via Nievo, via Massena, esordendo nello stabilimento Loro Parisini) o ancora nella scala dei blu- verdi, da quello acqua marina al verde petrolio della clinica Madonnina. E in questi colori poi ci pensa Milano a specchiarcisi dentro creando un effetto particolare e unico.