Confini

Fotografie di Pier Costantini
Testo di Francesco G. Raganato

 


 

In Limine è il titolo che apre Ossi di Seppia, la prima raccolta di poesie pubblicata da Eugenio Montale. In latino letteralmente vuol dire “sul confine”, “sulla soglia”, e in senso figurato anche “in casa”. Una locuzione definitiva, uno statement lo chiameremmo oggi. Quella poesia è una dichiarazione di intenti che descrive senza sbavature la nostra condizione e lascia intendere che ci sia un ipotetico altrove come possibile via di salvezza. In pochi versi, densi e sintetici, il poeta ligure riflette sulla condizione umana al di qua di un muro metaforico che delimita un giardino, il presente, dove si consumano gli eventi della vita. Una comfort zone dove tutto è prevedibile perché naturale, e proprio per questo fonte di disagio esistenziale.

Perché? Perché il problema non è cosa c’è al di qua del muro ma cosa c’è al di là. Al di là del muro c’è qualcosa di sconosciuto, che fa paura, un “fantasma” lo chiama Montale. Qualcosa che “forse” può salvare da una imposta condizione di stasi. Per questo invita ognuno di noi a cercare una “maglia rotta nella rete”, uno spiraglio da cui evadere e prendere in mano le redini della propria vita.

Sono passati 95 anni dalla pubblicazione di quella poesia e la nostra condizione non è cambiata. Siamo ancora al di qua del muro. I confini ci definiscono, è inutile girarci intorno, ed è solo con l’attraversamento della soglia che si innesca un processo di trasformazione. Dentro casa, al sicuro, ci sono ben poche decisioni da prendere. Guardare la tv o leggere un libro? Fare le pulizie o starsene sul divano? Mandare una mail o no? Non cambia molto. Questo però vuol dire fare i conti solo con quello che abbiamo e non con quello che siamo.

Quello che abbiamo più o meno è il risultato di un mix accidentale di geografia e alberi genealogici. Nascere a Milano o in un paesino sperduto del Sud Italia, cambia. Nascere in una famiglia benestante o disagiata, cambia. Questo è il bagaglio che ci ritroviamo sulle spalle quando nasciamo, uno zainetto che qualcun altro ha impacchettato per noi. I più fortunati si ritrovano bussola, acqua, sacco a pelo e viveri a volontà, altri soltanto un coltellino svizzero e due scatolette di tonno. Poi c’è quello che siamo. Quello che siamo si misura soglie attraversate, in decisioni prese o rimandate. È nel fare o non fare che definiamo la nostra vera identità. Questo spesso si traduce nel lavoro che facciamo, in status sociali o relazioni sentimentali. La meta è sempre la realizzazione personale, il raggiungimento della propria felicità.

Ecco, il Coronavirus ci ha tolto lo zaino e ci ha messo tutti di fronte ad un muro più alto. Ci ha fatto scoprire che la felicità non è più una questione di fortune o scelte individuali, ma collettive. Il Covid-19 ha spazzato via il concetto del singolo come artefice della propria fortuna. In guerra o in una crisi finanziaria, se sono scaltro, intelligente o fortunato mi salvo. Oggi non più. Perché la mia salvezza non dipende solo da me, ma dipende da me e da tutti gli altri. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che uno starnuto dall’altro lato del mondo provoca un’epidemia globale. Che quando si dice “siamo connessi”, vuol dire davvero che siamo dipendenti l’uno dall’altro, perché le mie decisioni ormai hanno un impatto anche sulla tua vita, non più solo sulla mia.

E se già era difficile prendere una decisione per sé stessi, figuriamoci prenderla anche per gli altri. Siamo ancora confinati dentro un muro, tutti assieme.  La vita continua a scorrere che ci piaccia o meno, vorremmo cambiarla e non sappiamo come fare. Quasi tutto come descritto nella poesia di Montale. Con una piccola, sostanziale, differenza. Che la “maglia rotta nella rete” ce l’abbiamo di fronte agli occhi, non dobbiamo più affannarci a cercarla. Le nostre case hanno porte e finestre. Da lì entrano la luce, l’aria, i profumi e i suoni. Da lì possiamo vedere il mondo al di là del muro. Un mondo che però non conosciamo più, perché quello che conoscevamo è stato portato via dal virus.

E allora l’unica cosa sensata da fare, per ora, è mettersi in ascolto. Ascoltare gli altri è un’ottima palestra. Serve allenamento per scalare questo muro e raggiungere la maglia rotta lassù. Certo in questi giorni sentiamo solo parole di paura, di ansia e di incertezza. Speranze poche. Tutti sentimenti condivisi, non più privati. Però chiedere ad uno sconosciuto “come stai” o “che farai domani”, in questo momento è un tonico per l’anima. Le risposte le conosciamo già, perché sono quelle che daremmo a noi stessi, uguali, proprio perché viviamo lo stesso identico trauma. Ma è nella domanda il beneficio, non nella risposta.  Per fare delle domande a degli sconosciuti, entrandoci in contatto stando confinati dentro casa è necessario sporgersi da una finestra, allungare una mano, fermare le persone e convincerle a raccontarsi.

In questo scambio è racchiuso il senso ambiguo del confine, perché nello stesso momento lo avvalora e lo distrugge. Con un semplice gesto, come una domanda rivolta da una finestra o la richiesta di una foto, scopriamo che forse il confine non c’è. Condividere le nostre paure con gli altri serve a prendere le misure e ad arrivare allenati e concentrati al momento più difficile, che non è certo quello di scalare il muro o scavalcare una finestra.

No, la parte difficile è fare il salto subito dopo. Decidere di cambiare. Quello si che fa paura.

 

LUIGIA
“Ora abbiamo tutto il tempo, per imparare ad essere piu aperti e disponibili verso gli altri e verso noi stessi.”

 

 

 

CRISTIANA
“Siamo sicuramente tutti molto più vulnerabili,
ma anche più veri, credo stia nascendo un nuovo senso di comunità, a cui prima non davamo importanza.”

 

 

 

PIERGIORGIO
“Questa situazione mi ha solo ricordato quanto l’uomo sia debole, indifeso e poco consapevole di questo”

 

 

 

FERDINANDO
“La cosa che più mi mette angoscia è non sapere quando tutta questa epidemia dura. Ci si abitua
a stare in casa e un po mi spaventa tornare in mezzo alla gente.”

 

 

 

TIZIANA
“Ho scoperto, nei miei giorni a casa, una sensibilità diversa verso i rumori, il loro linguaggio, mi fanno tanta compagnia, ascoltarli mi fa stare bene, in pace.”

 

 

 

FEDERICA
“All’inizio quasi piacevolmente ho pensato, naturalmente sto a casa, mi rilasso vedo lm. Presto ci siamo accorti che stare rinchiusi per giorni, mentre fuori c’era una guerra di cui non si vede ancora la ne, non è una vacanza.”

 

 

 

LUCA
“Il coronavirus ci ha fatto riscoprire il piacere di riappropriarci delle nostre case, di noi stessi e anche del nostro quartiere, della nostra umanità fatta anche di passioni tenute nel cassetto e di piccole cose preziose. ”

 

 

 

VIOLA
“Sto vivendo una fortissima dicotomia tra un impegno lavorativo e una vita personale in cui ho momenti di grande tristezza e senso di solitudine.”

 

 

 

GERARD
“L’isolamento ha avuto un impatto devastante, più che sul piano fisico, su quello psicologico, cambiando le attività quotidiane e rendendo anche lo studio più difficile, intendendolo come un’attività che necessità di molta concentrazione.”

 

 

 

ELISABETTA
“Come lo spieghi ad un bambino che ha una spiccata sensibilità che non può vedere l’amichetto, non può uscire, che non può festeggiare il compleanno con gli amici.”

 

 

 

GIUSEPPE
“Sono preoccupato, ma non ho paura, so che non è vero che tutto andrà bene, soprattutto per chi ha già perso qualcuno e magari senza nemmeno poterlo salutare, forse tutto andrà meglio.”

 

 

 

ANTONIO
“Sono diventati tutti più bravi a prendersi cura dei vicini di condominio, stiamo diventando una comunità più forte, perché più uniti.”

 

 

 

RAFFAELLA
“Non credo di provare alcuna diffidenza verso le persone, nemmeno paura, magari molta preoccupazione
per gli anziani che vanno in giro senza mascherine. ”

 

 

 

MARIA PAOLA
“Sono affaticata dentro. D’un tratto tutto è congelato, non possiamo più programmare la nostra vita, le persone sono spaventate e le informazioni che arrivano sono confuse.

 

 

 

STEFANIA
“Siamo obbligati a convivere con noi stessi, tutto il giorno, ad ascoltarci, guardarci, conoscerci meglio, cosa che non succede nella frenesia del quotidiano. E’ una grande opportunità che dovrebbero cogliere tutti.”

 

 

 

ESTER
“In questo periodo leggo, penso molto a tutti quei valori, oggetti, persone che reputavo essenziali e che magari adesso hanno perso la propria importanza.”

 

 

 

ALBERTO
“Sento persone che non sanno come riempire le giornate. Fai tutto quello che puoi fare, con quello che hai, questo vuol dire adattarsi. Ti fai andare bene la vita da schiavo 8 ore, mentre ti accorgi che ti fa più paura la libertà.”

 

 

 

GIUSEPPE
“Il vero dramma di questa situazione, oltre al virus, è quello di avere naturalmente quel tempo tanto desiderato e accorgersi di non sapere come riempirlo, di non sapere come stare dentro a questa libertà da soli.”

 

 

 

GILDA
“Si è perso il contatto con la realtà, cioè quello che succede al di fuori delle nostre abitazioni e quindi ho smesso di avere paura perché tra le mura di casa io mi sento sicura”

 

 

 

ALESSIO
“Se questo periodo ha un senso, è proprio nella direzione di fare, di dare, di condividere e non più di trattenere.”

 

 

 

 

 

 

DANILA
“Tutti noi stiamo pagando questa tassa di libertà, ma riconosco la grande opportunità di usare questa fermata forzata per guardarsi dentro, per fare il punto su cosa conta davvero nella vita.”

 

 

 

SAMRA
“Questa quarantena mi sta facendo “bene”, nel senso che la sto vivendo come un buon momento per rallentare. Sento come una costante tensione emotiva, che mi fa pensare davvero a fondo all’importanza della vita e del tempo.”

 

 

 

FEDERICO
“Dopo un trauma, un evento significativo doloroso, l’uomo tende a cancellare tutto, dimenticare e ripartire come se nulla fosse successo. Spero questa volta non accada.”

 

 

 

MICHELE
“E’ passato più di un mese dall’inizio di tutto, sto scoprendo giorno dopo giorno sempre cose nuove. Mi sto preparando alla nuova vita che verrà. ”

 

 

 

GIULIA
“Anche il semplice affacciarsi dalla finestra e vedere un sorriso o una mano che ti saluta, ti riempie il cuore e sai comunque che c’è qualcuno affianco a te anche se a 4 metri di distanza ”

 

 

 

MATTIA
“Non giudico chi esce a prendere un po d’aria e sole, non ho paura delle persone, l’uomo è come una pianta che cerca sempre la luce.”