Il mio personale ricordo legato ad un cappotto è strettamente connesso a mia nonna materna e alla Polonia. In effetti il cappotto nei miei ricordi è il suo. Quando ero più piccola glielo vedevo indossare solo per le occasioni speciali, era un cappotto molto caldo e morbido. Io qualche volta da bambina ho provato ad indossarlo, ma era enorme per me.
Qualche anno fa l’ho ricevuto in dono.
È come la coperta di Linus, qualcosa dal quale difficilmente riesco a staccarmi, rievoca ricordi e sensazioni felici. Indossarlo è come sentirsi a casa. Il ricordo di Isabella Potì, pastry chef stellata, non poteva che avere il sapore di un dolce, di una madeleine per l’esattezza. La madeleine è un pasticcino simile al plumcake, protagonista di uno degli episodi più citati di À la recherche du temps perdu, monumentale opera di Marcel Proust. Nell’episodio della madeleine, il protagonista Charles Swann (alter ego del protagonista) intinge la madeleine nel thè e improvvisamente gli si aprono i cassetti della sua memoria involontaria, ricordando attimi felice della sua infanzia perduta. «Portai alle labbra un cucchiaino di tè dove avevo lasciato ammorbidire un pezzetto di madeleine. Ma nell’istante stesso in cui il sorso di tè, frammisto a briciole di dolce, toccò il mio palato, trasalii, attento a qualcosa di straordinario che mi stava accadendo. Un piacere delizioso mi aveva invaso, isolato, senza che ne sapessi la ragione. Mi aveva reso immediatamente indifferenti le vicissitudini della vita, inoffensivi i suoi guasti, illusoria la sua brevità, allo stesso modo in cui agisce l’amore, riempiendomi di un’essenza preziosa: o piuttosto quell’essenza non era in me, era me stesso. Avevo smesso di sentirmi mediocre, contingente, mortale», scrive Proust. Isabella quando indossa il cappotto di sua nonna vive queste stesse sensazioni. Di sicuro non con lo stesso fatalismo dell’autore francese, ma sicuramente con la stessa dolcezza. Ci sono oggetti, suoni, sapori, gesti che hanno questo potere, quello di scatenare dei ricordi lontanissimi e potenti. Oggetti che ci fanno viaggiare nel tempo, sfogliando all’indietro le nostre vite fatte di memorie sedimentate e stratificate.
In questa stratificazione compatta, il cappotto della nonna di Isabella o la madeleine di Proust intercettano una vena. Una vena aurifera, che ci ricollega a noi stessi, a quello che abbiamo vissuto, che ci mostra come eravamo e come siamo diventati.