Fotografie di Rafa Jacinto
Un falso (quindi vero) monologo interiore di OZMO – di Francesco G. Raganato
–
Corso di Porta Ticinese per noi era una galleria a cielo aperto e noi gli indiscussi protagonisti. Dico noi perché eravamo davvero multipli, plurali. 15 anni fa eravamo già qui, con la nostra dubbia lucidità. Siamo stati un anello di congiunzione tra il niente degli anni ’90 e il presente, tra il Duomo e i Navigli, incarnavamo questo quartiere-cerniera.
Ticinese è una striscia di carta appesa ai lampadari per catturare le mosche. Le mosche sono gli artisti, i creativi, gli hipster. Tutti quelli che si sono presi le nostre scarpe, le nostre magliette, la nostra musica, il nostro stile – perché avevamo stile, diciamola tutta – e lo hanno messo in vetrina.
Hanno preso il nostro senso ed esibendolo lo hanno svuotato mentre noi eravamo al Rattazzo troppo sbronzi o troppo fuori bolla per capirci qualcosa. Merito e colpa nostra. Amen.
L’ispirazione allora non veniva dall’alto. Veniva da sotto, dalle rotelle degli skate, dal pavé, dalle rotaie del tram. Risaliva su per le caviglie, mi faceva tremare le ginocchia, poi entrava nella pancia. Quando prendeva occhi e orecchie era fatta.
Oggi invece la creatività per me è meditazione e ricerca, una preghiera insomma. Internet è la mia Biblioteca d’Alessandria. Non ho più due occhi e due braccia ma dei tentacoli digitali che uso per attaccarmi e avvolgermi a qualsiasi cosa possa essere un appiglio.
Cerco la vena come i cavatori di marmo. Poi quando la trovo comincio a scavare, a togliere, con tutti gli strumenti possibili. Con Instagram, con la musica, con Youtube, con qualsiasi cosa abbia sottomano.
Ogni volta che devo cominciare una nuova opera io mi sento davvero come un minatore nella cava con il suo lanternino. Respiro polvere di marmo, so che mi ammalerò ma continuo a scavare.
Nel frattempo si aprono i cassetti della memoria, escono fuori delle immagini sepolte che cominciano a collidere tra loro innescando una reazione a catena: un paio di Vans consumate e la Creazione di Michelangelo, San Nicola di Bari e il Babbo Natale della Coca Cola, il Golden Bridge ed un Budda felice.
Poi il Big Bang, la deflagrazione totale e gli elementi che si scompongono nella loro formula chimica primigenia. La forma, il colore, la superficie. Io li prendo e li ordino, come un creatore.
La creazione di un’opera è questo: ordine che nasce dal caos, è perfezione ed imperfezione nello stesso tempo, è tensione, è metodo. Con un tocco di cretinità. Intendo davvero la “cretinità” nel senso più alto del termine. Cioè l’attrito tra alto e basso, tra drammatico e grottesco, tra serio e faceto. Chiamiamola ambiguità, è più avvolgente come parola.
Ecco, questo è quello che voglio arrivare a fare. Creare immagini forti, grazie alla propria ambiguità.