Milano ti dà, Milano ti toglie | Isabella Inti

Fotografie di Pier Costantini

Milano ti dà, Milano ti toglie – la nuova rubrica in cui Pier Costantini e Letizia Toscano, incontrano e raccontano alcuni personaggi di Milano. Oggi incontriamo Isabella Inti.

 

Da Milanese, se dovessi fare un bilancio, Milano cosa ti ha dato e cosa ti ha tolto?

Un orgoglio diverso di essere italiana, ed europea. 

Sin dall’infanzia essere milanese è stato un fertile mix tra le visite scolastiche ai restauri de “l’ultima cena” di Leonardo da Vinci a Santa Maria delle Grazie e poter entrare negli studi televisivi di canale5. Ha dato ai nostri genitori ed insegnanti la possibilità di educarci a piantare alberi al Boscoincittà, di portarci alle prove dei balletti di Carla Fracci alla Scala, partecipare ai workshop in Triennale con gli Smithson e poi andare in tram all’Ippodromo e scoprire cavalli, scuderie e prati immensi proprio accanto allo Stadio. Ah! Perché a scuola anche se fai danza, da milanese devi decidere subito: Inter o Milan. Forza Inter! 

Milano è stata per me (ex bambina di fine anni ’70) anche lo spazio della strada come luogo del conflitto e della paura. Dove ho chiesto cos’era sul muro la scritta rossa BR con la stella cerchiata e dove si potevano incontrare i tossici con le siringhe. Ma poi Milano è stata anche il Liceo Leonardo da Vinci con insegnanti meravigliosi che leggevano l’”Inferno” di Dante confrontandolo con la guerra israelo-palestinese, invitando in classe i giornalisti del Corriere della Sera per un dibattiti. I paninari e la breakdance, tutti in San Babila! 

Milano l’ho scelta anche per l’Università, al Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura. Qui finalmente mi è stato chiaro che volevo imparare a trasformare gli spazi, e se necessario i quartieri, parti di città per accogliere e migliorare le condizioni abitative e lavorative di abitanti. Un bagaglio culturale con la storia dell’architettura e le tecniche costruttive che altro non sono che la rappresentazione di modi di abitare legati alle vicende sociali, economiche. Docenti che mostravano trasformazioni di parti di città a Berlino, Amsterdam, Londra, ma anche città utopiche e di nuova fondazione in Nord Africa, Brasile, Stati Uniti… E vinta la borsa di studio Erasmus potevo confrontare finalmente gli strumenti, le culture progettuali. A metà anni ’90, arrivata a Delft, in Olanda, dopo qualche giorno era evidente: Milano, città italiana al centro degli scandali di tangentopoli, ma pur sempre di traino per l’economia nazionale…era una città europea piccola, statica e di provincia.

Milano ancora Milano, perché Milano?

Lavorare a Rotterdam e Berlino in studi di urbanistica e progettazione del paesaggio, da West8 e Tischer Buro, e partecipare a grandi concorsi internazionali per la trasformazione di ex aree industriali in parchi e nuovi quartieri abitativi…beh ti vien voglia poi di farlo nel tuo Paese no? E quindi son tornata, pensavo “torno per 1 anno, poi vediamo”.

Ho vinto una borsa di studio di un anno all’Urbanistica di Regione Lombardia e ho iniziato a far concorsi con Studio Boeri e partecipare agli incontri Multiplicity in Triennale con Stefano Boeri. 

Nel 2000 Milano era una piccola città con grandi ex aree industriali come Sesto San Giovanni, dove avevo appena vinto un concorso con lo studio di Berlino e dove il mio prof. Pierluigi Nicolin aveva dato una nuova vision “9 Parchi per Milano” per ripensare 9 aree ex industriali o vuoti urbani irrisolti. 

Una di queste aree era il Garibaldi-Repubblica, e il quartiere Isola ai margini di questo vuoto urbano, era proprio accanto al Pirellone dove andavo in bici al lavoro all’Urbanistica di Regione Lombardia. Al mercato di Piazza Minniti c’erano dei volantini di Legambiente che invitavano ad un incontro pubblico per parlare del nuovo progetto di masterplan, gli stessi attaccati sul portone di una palazzina occupata con la scritta ROCK Garigliano Social Club, nella bacheca della sede del PCI di Via Volturno e in una galleria d’arte. Dopo quella riunione mi è stato chiaro che potevo far qualcosa, come mi aveva insegnato il prof. Alessandro Balducci.  Iniziando ad organizzare incontri pubblici e far rete, un giorno arrivò Milly Moratti e un gruppo di giovani che volevano fare una giunta ombra, proponendo progetti alternativi per l’abitare collettivo, il trasporto pubblico tutta la notte, l’uso dello spazio pubblico per teatro, danza, musica con festival, la cittadinanza alle nuove generazioni di ragazzi figli di migranti, la chiusura dei centri di detenzione temporanea dei migranti, un’alternativa all’amministrazione di destra. 

Il gruppo lo chiamammo “Milano, Giovane Giunta 2001”, perché bisognava impegnarsi per cambiarla, per riformarla. 

E poi ancora Milano, dopo aver visto da colleghi all’Avana alla Oficina de l’Historiador Eusebio Leal, come rigenerare il centro storico.

E ancora Milano, perché fare il Dottorato in Pianificazione e Politiche Pubbliche a Venezia mi ha permesso di studiare nuovi strumenti di planning e ripensare a modelli più flessibili e adattabili, attenti ai diversi gruppi di interesse che abitano e trasformano la città.

Gli scambi di studio negli Stati Uniti a Berkeley per indagare il landscape urbanism e la Pratt University di New York che aveva piccoli uffici di community engagement su strada nei quartieri più disagiati …ecco hanno rafforzato il desiderio di un approccio diverso alla Pianificazione più aperta, flessibile, adattabile, in ascolto. 

E ancora Milano perché finalmente con Multiplicity e Stefano Boeri eravamo noi adesso che portavamo ricerche e mostre.  

Già nel 2003-2009 eravamo più “ricchi” di sapere di altre capitali europee, ma ci mancavano le occasioni e i denari per poter cambiare la città. Un’occasione è stato multiplicity.lab al Politecnico di Milano, dove abbiamo potuto avviare programmi di ricerca per indagare con Milano.  Ricerca-azione e progettazione territoriale come Metrobosco, il programma di riforestazione 2006-09 per Milano e Provincia. 

In quegli anni, dopo le prime riunioni al quartiere Isola avevamo creato con le realtà locali e giovani architetti come Francesca Cognetti, il network cantieri isola e insoddisfatti di come veniva proposto il nuovo masterplan, avevamo organizzato un evento “la strada rovescia la città”. Mostrando che i quartieri storici come Isola sono catalizzatori di nuovi modi di abitare, qualcosa di cui Milano e le sue trasformazioni doveva tener conto. 

Il nuovo masterplan benissimo che creasse un nuovo parco e che lo ripagasse con nuove abitazioni all’intorno, ma per poter continuare ad abitare a Milano le case dovevano essere per un mix di popolazioni, accessibili a diversi target e poi perché cancellare la memoria industriale di una vecchia fabbrica come la Tecnomasio Brown Boveri? 

E così abbiamo occupato creativamente la vecchia fabbrica, chiamata Stecca degli Artigiani e stabilito lì un piccolo infopoint di urbanistica per raccontare cosa stava accadendo. 

La Stecca degli Artigiani, oltre 5000 mq su tre piani, è diventata tra il 2001-2007 un community hub dove abbiamo accolto (assegnato temporaneamente spazi vuoti) una quindicina di realtà. 

Qui si sono incontrati Enzo Mari e Pao, Giancarlo De Carlo e Marianella Sclavi di Avventure Urbane con Cantieri isola e i comitati locali, Fondazione Cariplo e Milly Moratti con gli agricoltori biologici, Marjetica Potrč e Francesco Magli, Oliviero Toscani e gli haker IsolaTv, gli Stalker, gli A12, Tomas Saraceno e Alterazioni Vide con Marco Scotini e Roberto Pinto, i ricercatori dell’IRS e Stefano Boeri con Michelangelo Pistoletto, i designer Controprogetto e Renato Sarti con il teatro della Cooperativa, Architetti Senza Frontiere con Architecture for Humanity e Action Aid.. Insomma la Stecca degli Artigiani non era solo un luogo fisico, ma era un capitale sociale e un esempio milanese di capacità di networking. 

Ci è stata tolta l’ex fabbrica, è stato deciso di demolirla, è stata durissima, è stata anche una perdita di memoria storica, ma abbiamo lottato perché in un’area in trasformazione ad altissimo valore fondiario ed immobiliare, fosse ricostruito un edificio pubblico e dato alla gestione autorganizzata di associazioni. 

E’ stata fatta una Delibera comunale in cui si riconosceva il valore socioculturale dell’esperienza Stecca degli Artigiani e del network di associazioni. Ci è stato dato un nuovo spazio, la Stecca3. 

Ma Milano non regala niente. Uno spazio socioculturale va attivato, gestito, manutenuto e aperto a diversi pubblici, il tutto in modo autonomo, contando sulle proprie forze e capacità imprenditoriali e relazionali. Facendo attenzione a non snaturarsi, a non vendersi per sopravvivere, a mantenere alto il livello di scambio di saperi e accesso a popolazioni diverse. 

Che rapporto hai con il “Modello Milanese” e secondo te è l’unico a funzionare bene?

Facciamo prima chiarezza su cosa intendiamo per “Modello Milanese” e poi capiamo se funziona. Milano ha una pluralità di attori che trasformano, innovano, portano capitale economico e capitale sociale in città. 

Quando Milano, il suo sindaco e Giunta sono capaci di avviare una governance collaborativa con i privati, partendo da una vision e linee guida chiare, che permetta di avviare sia politiche pubbliche per la rigenerazione urbana di lunga durata, con bandi e concorsi internazionali come Reinventing Cities, il modello Milano mi sembra funzioni. 

Con la Giunta Pisapia abbiamo potuto sperimentare le prime politiche di riuso temporaneo di spazi in abbandono, con una Delibera Comunale tra Comune di Milano, Politecnico di Milano e Temporiuso (l’associazione fondata con la mia socia Giulia Cantaluppi), è stato davvero un lavoro di collaborazione e co-design di politiche. Sentire la fiducia di una Pubblica Amministrazione, dare protagonismo a diversi operatori che trasformano la città, compresi gruppi informali e piccole associazioni è stato un cambio di passo importante. Oggi, 10 anni di progetti di riuso e rigenerazione urbana, hanno portato anche al riconoscimento degli spazi ibridi socioculturali. Un network di oltre 26 realtà socioculturali come Base Milano, mare culturale urbano, casa degli artisti, Spirit de Milan, Stecca3, Zona k che hanno accolto programmi e servizi autorganizzati per i quartieri di una città di prossimità, a 15 minuti e anche meno, che accoglie pubblici diversi. Il Comune ha accolto la richiesta di ascolto per la necessità di adattare le regole e normative per supportare, sostenere e agevolare le attività, perché questi spazi possano essere sempre aperti per accogliere l’imprevisto. Questo modello Milano capace di ascoltare e rimodellare le proprie politiche per agevolare il terzo settore, è un modello di co-design di politiche che piace. Come pure la volontà di investire sulla mobilità sostenibile e lo spazio pubblico. Ma siamo ad un punto critico, l’aver attratto nuovi capitali di investimento di grandi e piccoli operatori ha portato ad un incremento dei costi abitativi eccessivo. La ripresa post covid dei grandi eventi come design week, fashion week, art week (e a breve Triennale architettura) e il ritorno della popolazione studentesca dal sud Italia ed internazionale ha reso tutto evidente… la bolla sta per scoppiare. Il modello Milano si è dimenticato la cosiddetta “affordability” ovvero il rapporto tra costi abitativi e capacità economica, che influenza la qualità della vita e la giustizia sociale e spaziale delle città. Il peso della casa sui redditi degli abitanti indica quanto una città è realmente aperta e accessibile a nuovi cittadini, specialmente a basso e medio reddito. Siamo ancora in tempo o è già troppo tardi? 

Negli anni lo “skyline” di Milano è mutato, più o meno velocemente, tu cosa avresti fatto in più o in meno? 

Skyline? Preferisco parlare di paesaggio urbano… E’ davvero imbarazzante che durante EXPO 2015 che aveva come tema “nutrire il pianeta, energia per la vita” si sia investito in un’area privata a nord, un grande recinto intercluso tra infrastrutture che ancor oggi ha difficoltà a decollare e rinascere nonostante gli ingenti capitali pubblico-privati e non si sia potuto o voluto valorizzare il Parco Agricolo Sud Milano, la nostra seconda identità. La Milano agricola, che comprende le aree agricole e forestali di 60 comuni, per un totale di 47.000 ettari e la riqualificazione di aree limitrofe come Porto di Mare e Santa Giulia.

Per fortuna oggi, la vittoria di un altro grande evento come le Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026, riuscirà a risignificare lo Scalo di Porta Romana, bonificare e completare l’area di Santa Giulia e mi auguro proprio di migliorare le condizioni abitative di quartieri popolari come Corvetto, valorizzare il paesaggio periurbano della Vettabbia e il borgo storico di Chiaravalle. Governance urbana è proprio questo, non perdere delle occasioni per ridare vision strategica con grandi eventi, ma saper indirizzare i capitali pubblico-privati per paesaggi urbani degni del Bel Paese e per una città accessibile a tante popolazioni. 

 Il tuo sguardo sul futuro Milanese.

Qualche giorno fa sono stata invitata dal Comune di Milano e Urban Center ad una tavola rotonda “La metropoli dei quartieri: Città responsabile. Strumenti e traiettorie per affrontare i disequilibri sociali e ambientali” insieme a Giancarlo Tancredi- Assessore alla Rigenerazione Urbana, Pierfrancesco Maran- Assessore alla Casa e Quartieri, Lamberto Bertolè-Assessore al Welfare, con la dottoressa Alessandra Kustermann, il professore Edoardo Croci e le urbaniste Azzurra Muzzonigro, Alice Ranzini. Qui ho raccontato per me tre vision, progettualità, traguardi da raggiungere per Milano, che auspico. 

La premessa è che il percorso avviato da Maran e oggi con Tancredi, per la rigenerazione sia degli ex scali merci, ma anche di ex spazi produttivi e militari, come pure le nuove piazze aperte prosegua e fondamentale sarà Reinventing home. 

Il nuovo programma di affordable housing, mette a disposizione sei aree dismesse a Milano, da destinare a progetti di rigenerazione ambientale e urbana con un focus specifico sulla casa. 

La casa deve tornare ad essere una priorità per il Paese, non solo per Milano: la casa “affordable”.

La casa come infrastruttura sociale sarà anche il tema dell’Osservatorio casa affordable (Oca) di Milano metropolitana, con Ccl- Consorzio cooperative lavoratori, Delta ecopolis in partnership con il DAStU-Dipartimento di architettura e studi urbani del Politecnico di Milano. 

Oltre alla casa un tema importante è ripensare la Scuola, i suoi spazi interni aperti. Il quartiere con programmi d’uso sperimentale, e la possibilità di migliorare spazi attigui ad uso pubblico e sportivo. 

Scuola e sport per lo spazio pubblico in ogni quartiere. Mi piacerebbe fosse una delle legacy e degli investimenti fatti con i fondi PNRR e di branding urbanism in occasione dell’evento delle Olimpiadi invernali 2026. Un secondo focus legato alla qualità e vivibilità dei quartieri è valorizzare e intersecare servizi pubblici e servizi autorganizzati (e imprevisti) degli spazi ibridi socioculturali presenti in tutta la città. 

Anche con Temporiuso progettarne di nuovi e far sì che le diverse aree in trasformazione abbiano un hub di comunità per accogliere e ibridare proposte locali con iniziative internazionali. 

Un terzo focus che ho iniziato ad esplorare con i miei studenti internazionali di Urban Design del Politecnico e che emerge con grande evidenza durante le sedute della Commissione Paesaggio del Comune di Milano (di cui faccio parte) è la mancanza di una vision condivisa per i paesaggi periurbani. Servono tavoli di pianificazione aperta, partecipata per definire e identificare con residenti, investitori e amministratori comunali e area metropolitana, che tipo di paesaggio vorremmo. 

Ma una vision per le aree periurbane oggi non c’è… iniziamo?

I luoghi a cui sei legata emotivamente nel bene e nel male.

Sono i luoghi che vi ho raccontato: la mia scuola elementare e il triangolo Corso Magenta-Via Matteo Bandello-Via San Vittore; il liceo tra Via Corridoni, il Tribunale e San Babila; l’Università al Politecnico Piola, la scoperta di Bovisa ex industriale, le prime design week e fuori salone tra cortili milanesi e il Distretto Savona-Tortona. Da attivista e progettista urbanista: l’Isola, la Stecca degli artigiani e il vuoto del Garibaldi-Repubblica, fino ad oggi il masterplan per lo Scalo Farini, vinto insieme al team internazionale OMA- Office for Metropolitan Architecture e Laboratorio Permanente.

Amo i navigli dove abito e la scuola Brunacci di mia figlia con “ufficio-caffè dei genitori” alla gelateria Orsi e le gite in bici tra le cascine del Parco Agricolo Sud. 

Ho amato molto anche l’area delle Palazzine Liberty e Ex Macello, dove abbiamo attivato 2 palazzine con riuso temporaneo e reimmaginato con workshop internazionali un metabolismo urbano che rigenerasse non solo gli spazi in abbandono, ma anche una filiera produttiva dagli scarti dell’Ortomercato. Ben felice che con Reinventing City altre realtà possano risignificare e animare quell’area, in modo permanente. 

Mi sto affezionando a Loreto, dove con Nhood, Metrogramma, Studio Caputo, MIC-Mobility in Chain abbiamo vinto Reinventing city con LOC-Loreto Open Community. A breve apriremo un LOC infopoint, aperto alla cittadinanza: le premesse per un futuro spazio ibrido socioculturale, un hub di comunità che gestirà e animerà la nuova piazza … dai, Milano sa rigenerarsi e accogliere nuove visioni e popolazioni. L’importante sarà mantenere una città collaborativa e affordable, quel modello Milano, di co-design di politiche e progettualità tra pubblico e privato che ci permetterà ancora di abitarci.