LOOKDOWN. Il distanziamento sociale dei ciechi e ipovedenti

Fotografie di Stefano Sbrulli

I mesi appena trascorsi sono stati complicati per tutti noi, e lo sono anche quelli che stiamo attraversando e quelli che verranno. Eppure è importante ricordare che esistono fasce di popolazione più fragili, per le quali è necessario avere maggiori accortezze. Tra queste vanno annoverate le persone con disabilità visiva, che l’Oms ha inserito nelle categorie più a rischio di contagio e che, come è facile intuire, sono state esposte a maggiori criticità durante la quarantena e lo saranno altrettanto nelle fasi successive, per via delle misure di contenimento. 

I ciechi e gli ipovedenti hanno infatti enormi difficoltà a mantenere la distanza di sicurezza, molto spesso hanno bisogno di accompagnatori o servizi di assistenza, e l’obbligo di distanziamento sociale non li favorisce; per loro è più complesso lavorare in smart working, sono disorientati dai cambi che riguardano i mezzi di trasporto pubblico e, sopratutto, si affidano moltissimo al tatto, che in questo periodo è un senso quasi bandito.

Il mio lavoro è indissolubilmente legato allo sguardo e alla vista, e probabilmente è questa la motivazione che mi ha spinto a indagare su cosa è significato il lockdown per la popolazione cieca o ipovedente e cosa comporta ora un graduale ritorno alla normalità, nel rispetto delle restrizioni governative. 

Le persone che ho fotografato hanno dai 13 ai 90 anni e sono affette da diversi gradi di disabilità visiva.