#milanocoronastories

Cosa Sarà

Testo di Francesco G.Raganato

Questo che avete tra le mani è un numero speciale, un numero che esce mentre non si può uscire. Lo abbiamo chiamato In-Side perché come tutte le cose urgenti nasce da dentro. L’urgenza è quella dei fotografi e delle storie che raccontano. Già da prima dell’inizio del lockdown si moltiplicavano le immagini di strade deserte, gente affacciata al balcone di casa, mascherine, mani che si lavano. Da un certo momento in poi la community dei fotografi non ha raccontato altro che il lockdown, in tutte le sue facce, in tutte le sue forme. Storie intime e personali, storie di potente impatto sociale e documentaristico, foto di puro cazzeggio per dare una scansione ad un tempo improvvisamente dilatato e ad uno spazio improvvisamente circoscritto. Ai fotografi, per questo numero, abbiamo chiesto una foto, una foto soltanto. Ne sono arrivate una marea. Allo stesso modo abbiamo chiesto ad un gruppo di persone che conosciamo e stimiamo di regalarci un pensiero per raccontare il loro personale lockdown. Anche per loro, una frase soltanto. Ovviamente quasi tutti hanno barato. Perché come si fa a star dentro ad una frase? Come si fa a star chiusi in casa senza poter uscire? Senza poter abbracciare le persone che amiamo? Senza poter correre, lavorare, ciondolare in giro o prendere un aereo quando ci pare? Eppure lo abbiamo fatto. A malincuore o pieni di buona volontà, costretti o consapevoli. Stiamo vivendo un periodo incredibile che ancora non riusciamo a comprendere. Ci servirà tempo, questo è sicuro.  Come in tutti gli eventi traumatici una delle reazioni possibili è quella della negazione. Fare finta che nulla sia successo, seppellire nel profondo quello che è accaduto, dimenticarlo. Ma se l’inconscio dell’individuo non dimentica figuriamoci quello collettivo. Un’altra reazione possibile è quella dell’elaborazione. Freud chiamava l’elaborazione “Arbeit”, lavoro. “Lieben und Arbeiten”, amare e lavorare, fu la sua risposta quando gli chiesero la ricetta contro i mali oscuri dell’uomo. L’amore e il lavoro a molti di noi sono stati preclusi in questo periodo. E probabilmente cambieranno da qui in poi. Ora siamo ad un bivio. Da una parte c’è il mondo per come lo conoscevamo (lo conoscevamo?), dall’altra c’è un mondo nuovo. Alle nostre spalle l’abitudine, davanti ai nostri occhi il cambiamento. Abbiamo constatato che la vita può cambiare davvero se tutti fanno la loro parte. Non è più uno slogan, lo abbiamo toccato con mano. Abbiamo scoperto che a Milano l’aria è pulita e anche profumata. Che c’è addirittura silenzio. Abbiamo scoperto che i canali di Venezia sono limpidi. Che le mille, infinite, riunioni di lavoro fatte finora, sono state inutili; che prendere l’automobile a benzina per fare cento metri è una cosa fuori dal tempo. Che alla fine non è sempre sempre colpa del professore se nostro figlio prende brutti voti.  Che l’impostazione della scuola è ottocentesca, così come la concezione del lavoro.  Abbiamo imparato che lo smart-working è cool e utile, ma che non si concilia con l’home schooling. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che viviamo con il freno a mano tirato per colpa di una burocrazia bizantina. Che tutto è dannatamente complicato, quando potrebbe essere semplice. Ognuno di noi ha scoperto e ha imparato qualcosa in questi due mesi. Io ho imparato che si può avere nostalgia del futuro. Di un futuro che ho intravisto e che ho assaggiato, ma che a breve non potrò vivere.

 

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