Fotografie di Jacopo Papucci
Testo di Sara Russo

 

Misurina è una piccola frazione del comune di Auronzo di Cadore a 1700 metri di altitudine.

Conta 61 abitanti appena. L’ultima curva per arrivare su, alla Malga, è spesso lastricata di ghiaccio: l’automobile avanza lungo la strada, il bosco si dirada, la vista si apre sui monti.

La Malga sorge su un piccolo pascolo erboso verde d’estate, coperto d’inverno dalla neve.

Fogo, nato da soltanto poche ore: nella stalla è l’ultimo arrivato. Ha occhietti vispi e il naso rosso puntato all’insù, si regge a stento sulle zampe, trema ancora per il freddo. 

Fogo come fuoco. Fuoco come sangue. Il nome è in ladino, la lingua antica delle valli dolomitiche. A Malga Misurina nessun nome viene scelto per caso: è un marchio, un presagio, una traccia del destino. E il suo è stato segnato dalla morte prematura della madre, all’alba. Scorre un piccolo fiume rosso sangue nel solco sottile che attraversa la stalla. 

Gioele Cella, l’allevatore che gestisce La Malga, non si dispera per la perdita: nonostante le vacche siano la sua principale fonte di sostentamento, continua ad avere un rispetto profondo, quasi una devozione verso la natura e le sue leggi. Un’incrollabile fede in una forza superiore, benevola. Munge le vacche al mattino presto, inforca il fieno fresco e lo distribuisce chiamandole per nome, con il tono di rimprovero pieno di affetto che avrebbe un genitore. La voce si fonde coi muggiti, rumori di zoccoli che calpestano la paglia e il tintinnio dei campanacci appesi ai colli. 

Certe mattine, se il tempo è clemente, le porta fuori, al pascolo. Sono le sue “morose”, le sue bambine. Fin da giovanissime, prova a dar loro piccoli insegnamenti: come comportarsi nella stalla, dove posizionarsi quando passa con il fieno. Gioele ha 29 anni, lunghi rasta intrecciati all’indietro, coperti da un berretto grigio. Parla col viso acceso di entusiasmo. Quando l’obiettivo della fotocamera lo inquadra, i suoi movimenti si fanno improvvisamente meno fluidi, innaturali, le labbra tendono un sorriso timido e lo sguardo scivola giù, verso terra. 

Il suo nome è impresso col gesso nero su una parete della stalla. 

Ad ogni problema che gli si presenta risponde: “Viva la vita” che è il suo mantra, la sua preghiera. Una formula magica usata per esorcizzare la fortuna, per accogliere i visitatori e salutare gli amici, per accettare qualsiasi cosa di male o di bene gli accada. E perfino per rispondere a quelli che chiedono cosa farebbe nel caso in cui dovesse perdere la gestione della Malga e il bando indetto periodicamente dal comune ne decretasse il passaggio ad un nuovo affittuario.

Lui, che ha imparato il mestiere da bambino aiutando i pastori anziani del paese e delle vallate vicine, per tutta la vita si è preoccupato soltanto della stalla: di mungere le vacche, crescere i vitelli, mantenere puliti i maiali e in salute asini e cavalli e di preparare il formaggio cagliando il latte fresco in grossi paioli di rame. I suoi tre fratelli gestiscono l’agriturismo, fondamentale per l’economia della Malga, dove vengono serviti i salumi, la grappa al miele e all’ortica, il vino rosso e altri prodotti del territorio.

 

Nel suo lavoro non esistono domeniche, non c’è Natale, non esistono feste. È mattina e sera, tutti i giorni, tutto l’anno. Non è solo un lavoro, dice, fiero: è tutta la sua vita, la sua passione. E per poterlo fare occorre metterci il cuore.

Bisogna seguire i ritmi della natura, l’incessante incalzante scorrere delle cose.