Photo by Boogie
Testo di Davide Giannella
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Nel 2008, l’aria che si respirava in città era molto diversa rispetto al fulgore e all’entusiasmo odierni. La crisi economica internazionale, da poco avviata, non aveva tardato a farsi sentire in maniera diffusa ed erano quattro le amministrazioni di centro destra che si stavano susseguendo a Palazzo Marino, lasciando per varie ragioni un senso di appiattimento su tutta Milano.
Questo il contesto in cui, era sbarcato Boogie. Ai tempi era già uno dei maestri indiscussi della fotografia di strada e alle spalle aveva diversi lavori monografici e molti servizi, tra i più estremi e crudi in circolazione: racconti di crack house e gangs a Brooklyn, di favelas a San Paolo piuttosto che di conflitti e scontri nella Belgrado post bellica. Il suo modus operandi era stato più o meno sempre lo stesso: cercare una città o un ambiente dalle caratteristiche nette, luoghi percepiti come inaccessibili o legati, nell’immaginario comune, a degrado e violenza. Caratteristiche che allora come oggi, non appartengono a Milano che, nel bene o nel male, è più conosciuta come una città ricca di hidden treasures, di tesori nascosti e di certo non per picchi e fratture plateali.
Una città trasversale e dignitosamente sobria, dove ambienti e persone diverse si intersecano con totale immediatezza senza bisogno di particolari mediazioni. Una realtà quindi, tanto virtuosa o semplice (sulla carta) quanto difficile da narrare.
Questa apparente quiete, per uno come Boogie che aveva fatto dell’estremo la propria routine, è stata la molla scatenante di tutta l’indagine fotografica, serrata ed incessante di quei giorni. Doveva fottersi anche Milano.
Giorno e notte a battere la città negli ambiti più disparati (dalle vie di Brera, alle White di Rogoredo, dal vecchio Plastic al Monumentale, dai campi rom ai cantieri simbolo dei cambiamenti urbanistici che oggi disegnano il nuovo orizzonte urbanistico della città, dalla Scala al mercato ortofrutticolo).
Cinque giorni, passati ad indagare con curiosità e sensibilità tra le pieghe e le connessioni umane e sociali della città, senza retorica e senza morale, usando solo mezzi analogici – 111 rullini in b/n, una macchina automatica compatta e due reflex- un periodo breve ma sufficiente a dare poi luogo a ‘’Boogie. 5 Days’’, la prima personale italiana di Boogie alla Avantgarden Gallery nel febbraio del 2009.
Sarebbero molti gli aneddotti legati a quei giorni di shooting (qualche rischio, ma soprattutto le persone incontrate, quelle che ci hanno aiutato ed ospitato in diverse situazioni e direzioni), così come al periodo passato nel suo seminterrato di Green Point a selezionare -dai provini a contatto- le immagini finali per la mostra. Probabilmente però, è meglio che queste storie rimangano nella dimensione del racconto orale. Dagli scatti, che sono poi ciò che ci resta davvero di questa esperienza, si possono intuire invece due cose: la prima riguarda lo stesso Boogie, che grazie alla sua liaision amorosa con la città è riuscito ad accentuare una certa dolcezza, una sensibilità al grottesco e alla ‘’ normalità’’ che fino ad allora aveva in buona parte tenuto a bada. L’altra è che, forse, Milano nella sua natura non è poi così cambiata. Anche dieci anni fa aveva semplicemente bisogno di qualcuno che la notasse, la guardasse dritta negli occhi e che la raccontasse in maniera sincera.