Fotografie di Maria Clara Macrì
Rubrica:  Quarantine Diary

 

Sto mettendo insieme i pezzi delle mie giornate tra fotografie e parole.
Da quando la mia città, Reggio Emilia, è diventata zona rossa e subito dopo zona rossa è diventata tutta l’Italia, il sistema delle mie certezze è crollato insieme a quello della società tutta. Nel frantumarsi mi ha imposto a riformulare tutto della mia fotografia e allo stesso tempo ha amplificato l’urgenza della mia indagine, quella sul corpo come campo di battaglia, della stanza come luogo dove conoscere sé stessi, dell’empatia come forma radicale di amore e rispetto fra gli sconosciuti, che ti lega all’altro facendoti sentire parte di un corpo unico. Il mio libro che da quando è in essere vive insieme a me, mi costringe a riformulare le mie stesse parole.
Non posso più scattare con le mie macchine analogiche perché l’urgenza è l’immediato. Lo strumento richiesto dalla contingenza è ora la fotocamera del mio iphone, con il quale registro e scatto e sperimento nuove forme di empatia. Eppure non mi basta e allora stampo con una stampantina che neanche ricordavo di avere. Ho bisogno di toccarla questa fotografia che è tornata ad essere con prepotenza testimonianza prima di tutto.

L’unico contatto sicuro in questo momento è la mia casa, il mio rifugio, l’avamposto della resistenza a questo virus che sta devastando il mio paese e mettendo il mondo intero in ginocchio.
Non smetto mai di guardare fuori, eppure anche dentro tutto assume un significato ancora più intenso. Mentre i miei fiori sfioriscono e io ne conservo i petali secchi, cerco la natura disperatamente ogni volta che esco come se fossi in battaglia, anche una rosa fresca in una cassetta delle lettere diventa un’emozione importante in questo cemento soffocante del centro città.