Fotografie di Lisa Carletta
Intervista di Sebastiano Leddi e Dino Lupelli
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1) Sono ormai diversi anni che porti musica a Milano. Qual è la principale ragione che ti spinge a farlo?
Per rispondere a questa domanda devo pensare al motivo stesso per cui mi occupo di musica a livello professionale. Credo che sia in fondo per una ragione molto egoistica, legata alla volontà di vivere in un ambiente dove poter ritrovare quei valori culturali e sociali cui tengo molto. La musica può essere considerata solo un prodotto commerciale e di intrattenimento ma in realtà è molto di più: la musica, certa musica, riesce a sviluppare una comunità che ha rispetto per la diversità creando spazi molto preziosi di condivisione.
Quando sono arrivato a Milano nel 2000 c’era un clima politico che considerava l’aggregazione un problema e proprio attraverso la musica (ed in generale la cultura) è stato dimostrato il contrario, ponendo le basi di quel modello cittadino che oggi è in pieno sviluppo.
2) Esiste una scena musicale autentica che si è generata in questi ultimi anni a Milano?
Non credo esistano più le scene locali come le intendevamo un tempo: i linguaggi urbani sono globalizzati e risentono degli influssi multiculturali che quotidianamente viviamo in città ed è difficile che si sviluppino realtà specificatamente territoriali.
Milano vive una dimensione industriale della musica che la rende il crocevia di ogni forma possibile di musica, da quella popolare a quella di ricerca con una apertura trasversale alla cultura queer che è raro trovare in altre città italiane.
Forse la scena è quella degli studi dove si producono i beat e le canzoni che scalano le classifiche.
3) C’è un artista in questa città che più degli altri ti sembra rappresentativo del periodo in cui Viviamo?
Qualche anno fa avrei risposto senza dubbio Ghali, che rappresenta la Milano multiculturale ma anche politicamente disimpegnata. Oggi quella realtà è già consolidata e
credo assisteremo presto ad una rivoluzione culturale ancora più profonda, legata magari ai temi ed alle urgenze ambientali e sociali.
4) Com’è nato Linecheck e perchè?
È nato durante Expo su sollecitazione di due amici, Luca Fonnesu e Stefano Landi, che volevano raccontare vent’anni di musica elettronica. All’epoca con l’associazione culturale Elita avevamo riaperto il Diurno Cobianchi e ci sembrò naturale allargare il tema creando di fatto i presupposti per una vera e propria music conference internazionale.
La risposta fu importante e capimmo come l’industria musicale avesse bisogno di maggiore confronto interno e che gli operatori avevano un desiderio di internazionalizzazione e costante aggiornamento professionale.
In cinque anni credo siamo riusciti a costruire una music conference che non ha nulla da invidiare a quelle di altre industry a livello europeo.
5) Qual è l’evento più interessante di questa edizione?
Segnalerei l’apertura del meeting che è focalizzata sui progetti di inclusione sociale ed il sabato sera con la performance di Sean Kuti e Tania Taraq: musica africana e suoni ancestrali dei nativi canadesi….quale migliore esperienza di diversità culturale?
6) Se potessi consigliarci un personaggio musicale da intervistare chi sarebbe?
Io cercherei di capire bene chi sono Nava e Doomsquad, i due gruppi cui abbiamo affidato la tradizionale co-produzione che Linecheck presenta in anteprima mondiale. Rappresentano una nuovissima generazione di artisti italiani e canadesi che incredibilmente si sono ritrovati per spirito ed affinità nonostante l’enorme distanza geografica.