CARVUNI

Fotografie di Alessandro Bello

 

Sulle montagne calabresi si consuma un rituale identico da migliaia e migliaia di anni. A Serra San Bruno (VV) le famiglie di carbonai si contano sulle dita di una mano. Un lavoro antichissimo che si tramanda da generazioni rispettando un’antica tecnica messa a punto dai Fenici e da allora rimasta invariata. Produrre carbone vegetale significa lavorare 12 ore al giorno muovendo quintali di legna con la sola forza delle braccia. Una tradizione ancestrale messa in ginocchio dall’arrivo della produzione industriale. Quella del carbonaio è una figura che si lega alle tradizioni e al folklore di un popolo. Fare questo mestiere significa radicare le conoscenze nel proprio territorio, rispettando ogni elemento naturale presente. Fuoco, terra, aria, acqua. Da questi elementi si capisce cosa sta succedendo nello Scarazzo, la montagna alta 5 metri con diametro di 12 che contiene la legna. Variazioni del colore del fumo, dell’umidità della terra, degli schiocchi del fuoco e della velocità del vento. Su questi elementi impercettibili si capisce in quale fase della cottura ci si trova e se la montagna ha bisogno di bere, mangiare o di aria per respirare. Bruno dice sempre che“è comu ‘na criatura”, cioè è come un bambino: ha bisogno di ogni cura possibile per crescere e vivere.
Capacità e conoscenze da alchimista, che nei secoli hanno creato attorno a questi personaggi aloni di mistero e magia.
Ma anche di ingegneria, perché è necessario impilare la legna con precisione millimetrica. Non si possono lasciare spazi, anche solo minuscole camere d’aria rischierebbero di fare esplodere la carbonaia. Conoscenze alchemiche, ingegneristiche e a tratti artistiche, un lavoro che non si può trasmettere se non si nasce in quel posto, se fin dalla tenera età non si gioca a costruire piccole montagne di legna. E’ da poco meno di un secolo che queste famiglie vivono in una casa di mattoni come siamo abituati a pensare. I nonni, i bis-nonni dei carbonari di oggi vivevano nelle montagne per tutto l’anno, isolati dal mondo e a stretto contatto con la natura, completamente neri dalla fuliggine.
Serra San Bruno ha avuto una ricca e florida storia nella produzione del carbone vegetale, ma ad oggi restano attive poche famiglie, tutte imparentate tra loro. Il commercio di questo tipo di carbone è stato spazzato via con l’arrivo del carbone industriale proveniente dall’Est Europa. Prodotto in fabbrica con forni e chimici speciali, ha compromesso il mercato abbattendo i costi e costringendo quasi tutte le famiglie produttrici a cercare altre vie di sostentamento. I produttori di carbone industriale trattano il legno accelerando e rallentando la cottura con additivi chimici. Queste sostanze finiscono nell’organismo umano quando cuociamo carne e altri cibi cotti con queste braci poiché si depositano direttamente sugli strati superficiali degli alimenti. Il carbone vegetale è prodotto in modo completamente naturale. Il fumo che ne deriva è vapore acqueo, la legna è solo quella di coltivazioni apposite. Non vengono distrutte aree naturali, non vengono inseriti additivi chimici, tant’è che il naturale processo di cottura si completa in circa 20 giorni, 17 in più del carbone industriale. Ad oggi resta il mercato di chi conosce i pregi di questo prodotto, la qualità di un carbone che resta acceso fino a 10 ore, il profumo dolce che questo emana. Popoli che basano la propria cultura culinaria sulla brace, come i pugliesi e i russi, sono i clienti principali di queste famiglie.
Un lavoro faticoso, paziente, difficile da trasmettere e apprendere. Un mercato che sta lentamente cancellando parte dell’identità di un popolo e di una regione.

 

 

 

Una vita fatta di fatica e solitudine tra le intemperie e le difficoltà di montagne dure come quelle dell’Aspromonte.

 

 

Di solito le carbonaie hanno bisogno di essere alimentate almeno 2 volte al giorno. Questa operazione è la più pericolosa in quanto il rischio di cadere nel camino è molto alto per via della scarsa visibilità e degli occhi completamente irritati dal fumo.

 

 

 

Di solito le carbonaie hanno bisogno di essere alimentate almeno 2 volte al giorno. Questa operazione è la più pericolosa in quanto il rischio di cadere nel camino è molto alto per via della scarsa visibilità e degli occhi completamente irritati dal fumo.

 

 

 

Mentre Salvatore e Cosimo aprono il camino, Peppe osserva suo cugino Giuseppe che sta portando legna utile ad alimentare il fuoco.

 

 

 

Uno scarazzo, come viene chiamata in dialetto calabrese la carbonaia, durante la cottura rilascia anidride carbonica e vapore acqueo sprigionato dalle alte temperature che inducono il processo di carbonizzazione del legno.

 

 

 

La famiglia Vellone, composta da 6 persone tra fratelli e cugini, riesce a cuocere fino a 6 scarazzi contemporaneamente.

 

 

 

Mentre le carbonaie cuociono, in altre piazze viene ordinata la legna prima di iniziare il processo di costruzione. Sono necessarie tra le 3 e le 4 tonnellate di legna per costruire una carbonaia. Tutta la legna viene spostata e riordinata a braccia.

 

 

 

Vista delle montagne attorno a Serra San Bruno durante l’alimentazione dello scarazzo. Un tempo da ogni monte si alzavano coltri di fumo bianco.

 

 

Francesco in cima ad uno scarazzo.

 

 

 

 

Salvatore trasporta a spalle un tronco che servirà per bloccare i pendii della carbonaia appena ultimata.

 

 

 

Una carbonaia a metà della sua costruzione.

 

 

 

Una volta completata la montagna di legna, questa viene ricoperta di fieno e terra umida con lo scopo di rendere isolata la camera di cottura interna.

 

 

 

Attorno ad ogni scarazzo si posano tronchi pesantissimi per immobilizzare le basi della montagna.

 

 

 

 

I buchi ricavati nel terreno consentono al vapore acqueo e al fumo della cottura di uscire, permettendo anche di fare entrare dell’ossigeno.

 

 

 

 

Al termine della cottura, scoprendo lo strato di terra si trova il carbone. E’ necessario un intero giorno di lavoro da parte di tutti i membri della famiglia per insaccare il carbone prodotto da una singola carbonaia.

 

 

 

Il capanno in cui i carbonari attendono l’alba per iniziare a lavorare. Lavorando nel cuore della montagna, non è presente l’energia elettrica.

 

 

 

 

Ogni mattina Peppe, il membro più giovane della famiglia, prepara nel capanno il caffè per tutta la giornata.

 

 

 

Salvatore mangia un uovo sodo preso dalla sua tavagliucca, lo straccio in cui ripone il suo pranzo. Per la pausa pranzo tutti i carbonari portano prodotti tipici locali fatti in casa e condivisi tra loro.

 

 

 

 

La Panda con cui Cosimo porta la sua famiglia da Serra San Bruno al cantiere. La strada è breve ma molto tortuosa.

 

 

 

Una delle poche innovazioni tecnologiche presenti nel cantiere sono le motoseghe a benzina. Fondamentali, hanno permesso di diminuire il tempo per la costruzione di una carbonaia, passando da quasi tre settimane a quattro giorni.

 

 

 

Resti della prima accensione di una carbonaia.

 

 

 

 

Carbone vegetale pronto per essere insaccato.

 

 

 

Sacchi di carbone pronti a partire per la Puglia. Con un camion di loro proprietà, Cosimo e Francesco trasportano fino ai pressi di Taranto la merce che poi verrà inscatolata e venduta. I macellai pugliesi sono i loro maggiori acquirenti. L’abitudine del posto vuole la vendita della carne e la cottura al momento direttamente in macelleria.