Fotografie di Umberto Colferai
Rubrica FUORIPERIMETRO
“MYRNOHO NEBA!”
“Che tu abbia cieli sicuri sopra la testa!” è l’augurio che mi rivolgevano tutti tra Leopoli, Kiev, Dnipro, Zaporizhzhia, Kryvyi Rih e le due linee del fronte; mentre ero li a testimoniare la resistenza di un popolo che non vuole abdicare alla propria libertà.
La luce negli occhi delle donne in fuga, aggrappate alla speranza di portare i figli al sicuro.
Il coraggio dei ventenni che imbracciano un fucile ai checkpoint e ogni giorno ripetono alle madri di non preoccuparsi, che torneranno prima del coprifuoco e di chi sta ricostruendo la propria scuola bombardata per ricominciare al più presto.
Le ombre di famiglie frammentate nelle stazioni ferroviarie, ormai dormitori. Il dolore tra le rughe degli anziani di Mariupol, che hanno perso la loro casa e da due mesi vivevano in una tomba di cemento sotto l’acciaieria.
Luci e ombre in Ucraina, catturate su pellicola da una super ikonta del 1937.
Nella stazione di Leopoli solo famiglie in fuga, i bombardamenti arrivano fin qui. La situazione umanitaria è insostenibile tra sovraffollamento, freddo, scarsità di risorse e possibilità lavorative.
Andrej 23 anni, guardia di un checkpoint. Lui non era mai stato nell’esercito ma ora sente di dover difendere il proprio paese. Ogni mattina esce e alla madre preoccupata dice che tornerà entro il coprifuoco.
Nel campo dei rifugiati in stazione a Leopoli il freddo invernale mordeva la pelle. Ma quest’uomo era di buonumore, perchè lui e i suoi cari erano vivi. Quando gli ho chiesto se potessi fotografarlo era molto divertito dalla mia macchina fotografica “E’ PIU’ VECCHIA DI ME!” ha esclamato.
Dmytro ha 36 anni. Era un operaio della grande centrale termoelettrica sul lago vicino alla città, sull’altra sponda adesso ci sono i russi. E’ divenuto Sindaco di Zelenodolsk e amministratore militare.
Sentiamo ininterrottamente colpi di artiglieria, la città è stata colpita più volte ma lui rimane a difendere la sua città. “E’ casa mia”, ripete.
Ha raccolto più di 400 bici, hanno tutte un drappo bianco al manubrio. Serva ad indicare che è un mezzo civile, lo hanno legato i cittadini per poter scappare dalle zone limitrofe occupate. Lui le ha conservate in attesa della fine della guerra, vuole che quei cittadini in fuga tornino a riprendersele insieme alle loro case.
Ludmila e suo figlio vivono a 1 km da dove si combatte. Di fronte alla sua casa qualcuno ha rattoppato con dei copertoni il cratere di un colpo di artiglieria .
Mentre parliamo sentiamo i razzi passare sopra di noi; i russi sono appena al di là del fiume. Le case che vediamo sono tutte occupate:
Quando le chiedo perché non scappa, risponde che non ha niente se non la sua povera casa, due capre e un figlio disabile; non avrebbe nemmeno un mezzo per andarsene. Rimarrà li, spera che il fronte non avanzi fino al villaggio e che i russi non arrivino a prendersi il poco che ha. Le regalo delle mele che apprezza molto. In quel momento si alzano grosse colonne di fumo oltre la collina, si sente il ruggito basso e profondo dell’artiglieria che batte il fronte. Sembra un temporale, ma non c’è una nuvola in cielo.
Dormiva in tenda quando è stato svegliato dai colpi dell’artiglieria dei Grad russi.
Uscendo fuori si è accorto di essere ferito: una scheggia lo aveva attraversato da sinistra a destra all’altezza del fianco, perforandogli entrambi i polmoni.
E’ riuscito a trascinarsi fino alla trincea più vicina. Lì lo hanno trovato in fin di vita e caricato su un’ambulanza che lo ha portato nell’ ospedale da campo dove gli hanno salvato la vita.
Ripeteva che stava bene, tirandosi sù con la maniglia sopra di lui. Voleva tornare a combattere per difendere i suoi 4 nipotini, perché loro non fossero costretti a vivere quello che ha vissuto lui.
A Rudnyts’ke, un’insegnante di ginnastica stava aiutando gli altri insegnanti a ripulire e sistemare la scuola dalle macerie. Mi racconta che era una scuola bellissima: la sua palestra era stata ristrutturata, avevano anche i computer nuovi! Adesso non rimane più niente, i russi l’hanno depredata, usata come base e poi abbandonata quando gli ucraini l’hanno centrata con un razzo durante la controffensiva, incendiandola. Racconta di violenze terribili, specialmente nel secondo periodo dell’occupazione, che ha avuto molta paura e con fervore afferma che Putin verrà punito dal destino e da dio. Tuttavia mentre pulisce il pavimento della scuola è fiduciosa, rivuole i bambini in classe già il 1 settembre prossimo.
Dietro di lui un carro armato russo distrutto, sullo sfondo un monumento ai caduti sovietici in una battaglia importante della seconda guerra mondiale combattuta li in zona.
Il sindaco di Rudnyts’ke spiega che, come ogni 9 maggio, hanno posato dei fiori sotto la statua, per ricordare i caduti di tutte le guerre, compresa quella odierna. Vuole essere un gesto di riconciliazione, perché tutta questa violenza possa finire al più presto.
Il suo villaggio è ridotto ad un cumulo di macerie, ma vuole ricostruirlo fin da subito.
Valentina vive vicino a Kiev, dopo Irpin e Bucha, dal 1986; da quando lei e suo marito che lavorava alla centrale di Chernobyl sono stati portati qui dal governo come sfollati. Oggi il suo villaggio è costellato di ordigni inesplosi. Nell’orto della sua amica ce n’è uno ancora intatto ma dice che è sempre meglio avere un missile inesploso in giardino che i russi per strada. Il vicino ci scherza “Aspetto che lo tirino fuori per farmici il barbeque nuovo!”.
E’ una persona molto gentile, quando le ho chiesto informazioni non ha esitato a salire sulla nostra auto e guidarci in zona per vedere i danni perpetrati dai Russi.
Questo signore anziano sembrava divertito alla vista di noi fotografi e della mia macchina fotografica antica, si è lasciato scappare un sorriso nonostante i due mesi passati nella città più martoriata dal conflitto.
Erano i giorni finali dell’assalto all’acciaieria, la situazione era disastrosa già da due mesi in città.
In quel momento arrivavano i primi profughi dall’Azovstal dopo un lunghissimo viaggio in autobus, attraverso più di venti checkpoint russi.
A Orichiv ho assistito alle attività di sminamento degli ordigni inesplosi da parte degli artificieri, a poca distanza dai Russi, appena dietro la collina. Arrivati sul posto, una signora ci corre incontro tenendo in mano le schegge che ha raccolto. Nel suo giardino ci sono anche ordigni al fosforo inesplosi che vengono subito requisiti dai tecnici. Ci ripete che è terrorizzata, ma che non può abbandonare qui i suoi animali, morirebbero senza le sue cure. Perciò ha deciso di restare, le basta sapere che la figlia è al sicuro, distante dal fronte.
Nel centro di primo soccorso per donne e bambini ho ascoltato il racconto di una città in fiamme.
Qui venivano offerti, sotto sorveglianza armata, dei servizi di prima assistenza come la somministrazione di cibo e viveri, ma c’era anche qualcuno che poteva tagliare i capelli e un angolo con giochi per bambini. Nonostante tutto, i ragazzini continuavano a divertirsi con armi giocattolo.
I carri armati russi distrutti nella battaglia per difendere Kiev sono diventati un’attrazione. Gli ucraini si fermano per farci foto o anche solo per osservare da vicino i mezzi invasori sconfitti. Si percepisce un grande il senso di rivalsa nelle loro espressioni. In una radura vicina si sta già allestendo qualcosa di simile ad un museo a cielo aperto dove raccogliere ed esporre i relitti che testimoniano e celebrano l’eroica difesa di Kiev.