Fotografie di Fabio Paleari
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Gli anni ‘80 a Milano furono unici fantastici e irripetibili sotto tutti i punti di vista. Per chi ebbe modo di viverli il solo ricordo li porta a sorridere con ragione se li compariamo al nostro presente fatto di proibizioni, di noiosi social e di tante teste basse alle fermate dei bus. Gli anni ‘80 hanno rappresentato il vero far west metropolitano dove tutto era possibile e permesso, non esisteva il concetto di proibizione in quelle generazioni cresciute all’ombra della neonata Milano-da-bere. Siamo alla fine dei conflitti politici tra fasci e compagni, delle monumentali manifestazioni del Leonardo da Vinci (dove si riunivano le svariate sigle della sinistra estremista) che si scontravano a suon di sprangate con i loro eskimo verdi contro fasci con i bomber, nascosti dietro ai loro Rayban a specchio, simbolo dei picchiatori della destra milanese. Gli amici si incontravano nelle piazze o nelle strade a tutte le ore del giorno e della notte a partire dalla piazza Tommaseo di fronte alle Marcelline, a via Griziotti di fianco al Leone XIII in via Vigoni, via Turati dal mitico paninaro Cesare per arrivare infine a via Marina. Piazza Vetra era invasa dall’eroina e da frikkettoni tornati dall’India con i loro adorati cilum portati da Goa, quando Goa era ancora un paradiso per pochi tecno ravers. I luoghi di incontro erano tantissimi e svariati, la comunicazione era fisica, reale, molto sensuale e a volte scontrosa, fatta di risse e di famigerati picchiatori che creavano leggende metropolitane in costante evoluzione (famosa era la palestra Doria dove tutti si andavano ad allenare come simbolo fallico di un’intera generazione). Giravamo sempre e solo senza casco, si viveva impennando la Vespa PX, lo Zundapp, il KTM o i potenti SWM e Ancillotti con cui passavamo tutto il santo giorno percorrendo i bastioni di Porta Venezia senza mai mettere giù la ruota anteriore della moto o in piega sulle curve del parco Sempione a fare scintille con le scocche dei vesponi TS, derapando di traverso la moto. Ricordo che i più bravi riuscivano a fermarsi in equilibrio su di una ruota senza mettere mai giù i piedi ai semafori per poi ripartire, fino ad arrivare a vedere i veri fenomeni del Giambellino che viaggiavano dietro la 60 (oggi 61) percorrendo la via Washington con le Kawasaky 380 2 tempi (classica moto dei rapinatori dell’epoca) impennando e con la ruota anteriore appoggiata al retro del bus… fantastiche follie da balordi di quartiere. Esistevano ragazze bellissime dai nomi esotici come Guya, Olga, Patty, Mimmi che venivano trasformate in muse. Lo street wear si stava affacciando alla cultura della city invadendola con i piumini colorati, i Moncler “rossi blu verdi”, i giubbotti jeans Lee Storm Rider e gli storici bomber verde aviatore, gli Schott in pelle con il pelo, gli stivali con l’anello di El Charro difficilissimi da trovare, le Timberland le All Stars rosse e le prime Nike da basket. Era il tripudio della brandizzazione della vita quotidiana dei ragazzi milanesi. Era anche l’inizio di una lunga deriva che sarebbe esplosa con l’avvento dei Paninari di piazza San Babila verso la metà degli anni ‘80, ma questa è un’altra storia perché noi antecessori, quel movimento lo vedevamo troppo provinciale e culturalmente pop e fondamentalmente una replica di qualcosa. Ma c’è da dire che eravamo già un po’ cresciuti ai tempi del Burghy, anche perché all’epoca bastavano pochi anni di differenza per creare un vero gap generazionale. La cultura americana ci influenzò tantissimo ma allo stesso tempo esisteva una nicchia che si cibava di punk rock, di new wave, di chiodi di pelle nera, di mercatini dietro a Mulino delle Armi dove flotte di ragazzi si accalcavano alla ricerca dei concerti registrati in giro per l’Europa con recorder sgrausi, confezionati in cassette chiamate bootleg. Queste foto in piccola parte ci regalano quelle atmosfere fatte di libertà e tanta condivisione.