Il Confine

Fotografie di Federica Cocciro
Testo di Francesca del Boca

Si sa, a fare notizia è la violenza esplicita. Insulti, pugni e persecuzioni, scuotono le coscienze e fanno gridare all’emergenza. Ma il più delle volte la vera violenza si annida dietro apparenze di quiete e di normalità. È così proprio alle porte di Milano, la città d’Italia che più accoglie la comunità LGBTQ+, nell’omertà generale della provincia ancora si verificano episodi di discriminazione silenziosa verso chi viene etichettato come diverso: isolamento, pregiudizio, diffidenza. Un problema che fa poco rumore, e per questo affonda le proprie radici ancora più a fondo. Una questione su cui è necessario non spegnere l’attenzione, soprattutto dopo il naufragio del ddl Zan. Perché lo spegnimento di un dibattito contro la discriminazione non comporti, di nuovo, indifferenza.

Alex (Lissone) 

Nasco femmina, con il nome di Alessia. Mi sono sempre piaciute le donne, e quindi pensavo di essere lesbica: solo a 40 anni, quando ho conosciuto la mia attuale compagna, il mio corpo ha iniziato a dirmi “sei un uomo”. Se prima stavo bene, adesso sono felice.
Ho sempre vissuto a Lissone: non ci sto male, ma perché ho la faccia tosta. Se penso che una cosa sia normale non ho problemi a metterla in mostra, e me ne frego delle occhiate della gente. All’inizio mi guardavano male, ma io non ho mai abbassato lo sguardo. Ho forzato la situazione, mi rendo conto che non tutti sono in grado di farlo. Qui devi lottare, per affermarti. 

Daniela (Ronco Briantino) 

Vige l’omologazione qui, se non ti adegui sei invisibile. Se non ti capiscono ti cancellano. Non è un ambiente pericoloso ma fa tanto male. Io ho preso consapevolezza della mia sessualità solo confrontandomi con altre persone fuori da questo contesto: ancora oggi, se dovessi uscire con la/il miə fidanzatə non lə porterei mai qui. Mi regala un po’ di pace l’andare in città e soprattutto immergermi nella natura: provo finalmente un senso di serenità, di libertà. 

Luca (Cesano Maderno)

Vivo a Milano. Per me è sempre stata la terra promessa, nella speranza di essere meno solo e trovare gente come me, trovare un fidanzato. In Brianza mi dicevo: resisti, poi appena puoi vai via. Le prime esperienze le ho fatte a Milano, il primo ragazzo l’ho trovato a Milano. Ero felice, fuori da quel clima di omertà e omissione che c’era da me. Che bello poter dire a voce alta chi sono, amare senza vergognarmi, senza più nascondermi. Senza più occhiate torve, bisbigli, risatine, i bulli che ti inseguono dandoti del gay. Solo nella mia stanza mi sentivo al sicuro, e sognavo di realizzarmi finalmente un giorno, di andare a Milano. Soffrivo di non poter essere come gli altri… 

Celeste (Vedano al Lambro) 

Ho sempre pensato di essere lesbica, finché non ho avuto una relazione lunga con un ragazzo. Da lì ho smesso di darmi etichette, io sono come sono e mi innamoro delle persone.
Quando ho fatto coming out non mi credevano, pensavano fosse una fase passeggera. Oggi va meglio, ma comunque un clima ostile l’ho percepito, soprattutto dagli adulti, dai genitori degli amici: è questo che mi ha spinto a fare l’attivista qui in Brianza. Milano? È un’oasi di pace per noi, anche se cerchiamo di creare una scena anche qui. Lo facciamo per aiutare i più giovani a uscire dal guscio. Cambiare la mentalità è difficile, ma insieme e dal basso si può fare.

Diego (Lainate) 

Sono nato femmina, ma ho capito di essere un maschio fin dall’asilo. Ho avuto una vita omologata al femminile fino ai miei 20, dove ho anche intrapreso una relazione con un uomo che era ben accolto dalla mia famiglia. Ma la relazione finì perché io avevo bisogno di relazionarmi con le donne. Ho iniziato il mio percorso di transizione per diventare l’uomo che sono sempre stato a 27 anni e all’inizio ho sentito la pressione psicologica del “chissà cosa pensa la gente”. Poi è svanita, perché qui in paese tutti mi conoscono da sempre, sanno chi sono. A Milano invece non sei nessuno, è fintamente amichevole. Ti accoglie in apparenza, che ma in fondo resti uno sconosciuto, solo.

Alessandro (Seregno) 

Qui, al liceo, se mettevi una felpa più colorata del solito erano subito battute su battute. Oppure ti urlavano “ricchione” per strada, mi è successo quando ero in giro con mio padre. Mi dicevo: sono loro gli ignoranti, perché devi cambiare per questa gente? Però poi con il treno andavo alle serate a Milano e lì nessuno mi prendeva più in giro per l’abbigliamento estroso e per il mio aspetto fisico, mi sentivo accettato, non più fuori luogo.
In Brianza c’è chiusura, non esiste realtà diversa da quella ufficiale, l’educazione è ancora clericale e tradizionalista. Gli sguardi delle persone te li senti addosso, ti scavano dentro. Se fossi nato a Milano sicuramente sarei stato me stesso tutta la settimana, e non solo il weekend durante le feste.

Astrid (Osnago)

Da qualche mese prendo ormoni maschili ma mi sento al di fuori della dicotomia maschile e femminile, sono di genere non binario, asessuale e aromantico. Da sempre sono stato trattato come “lo strano” del paese, che per me però è un’etichetta liberatoria perché ti permette di esplorare, senza catene, anche se qui non puoi mostrare troppo: bisbiglia, non dire. La parola “gay”, qui, viene usata per sfottere. Adesso mi sento più sicuro qui, ma lo dico dopo anni di sopportazione.

Enola (Varedo) 

Quando mi sono dichiarata alle medie ho pensato fosse sbagliato, perché per tutti gli altri era diverso. Intanto per il mio orientamento sessuale ho perso dei lavori, non mi vestivo come una ragazza, “non era professionale”. A Varedo non mi nascondo, mi mostro mano per mano con la mia ragazza, ma mi sento a casa a Milano. Mi guardano un po’ così, ma non mi interessa. Non mi interessa più, io sto bene come sto: me stessa. 

Alex (Seveso) 

Io ho sempre saputo di essere omosessuale. Ma vivevo un grosso contrasto: a casa mi identificavo con i personaggi femminili dei cartoni Disney, mentre mio padre ad esempio, prima del mio coming out, mi diceva cose tipo “preferirei un figlio ladro, a un figlio gay”. Adesso in casa lo sanno tutti, anche mio padre, che non la pensa più così, l’unica che non lo sa è nonna: è anziana, poverina, le verrebbe un infarto.
Oggi va meglio ma nascere omosessuali è una sfiga. Significa confusione, non accettazione, perdita di controllo, depressione. E insulti, pregiudizi, cattiverie. Sopravvivi solo se non esterni troppo, se ti tieni tutto per te e ti adegui. Qui impari a soffocarti, se vuoi esprimerti liberamente devi andare a Milano. Ma io non ci sto. Io sono Alex, non sono “il gay”.