Fotografie di Caterina Sansone

MADRE è un progetto che attraverso foto e testimonianze indaga l’esperienza della maternità nella società europea contemporanea, per sfidare l’immagine edulcorata che di questa ci viene proposta e cominciare a sgretolare gli stereotipi dei ruoli di genere all’interno della famiglia.

Il mio auspicio è che sempre più donne possano inventarsi una famiglia, e una maternità, a loro immagine e meno conforme al modello dominante.

 

Sono madre di due figli, e sono felice di esserlo. Ma non ero preparata al fatto che per me la maternità ha significato anche sentirmi persa, in trappola, e troppo stanca per pensare lucidamente o fare qualcosa per me stessa. Non mi sono mai sentita così sola. Ma cosa mi aspettavo, mentre aspettavo?
“Per realizzarsi, una donna deve avere dei figli”. Il 62% delle donne e il 63% degli uomini si sono detti “d’accordo” con questa affermazione (indagine Erfi dell’Ined-Insee, Francia, 2005).
Mi ero data un ruolo di madre in cui non c’era diritto all’errore, dovevo essere perfetta. Avevo investito tutto sull’essere mamma: la creatività, la vitalità, la femminilità, e quindi non ritrovavo più me stessa. Ero una donna amputata.
È buffo perché noi mamme abbiamo questa sensazione altalenante fra il sentirci estremamente appagate e estremamente infelici, fra l’essere estremamente appagate dall’essere madri e allo stesso tempo alla costante ricerca della nostra identità di donne.
“Non esiste nulla nella nostra società di più inconfessabile. Riconoscere che vi eravate sbagliate, che non eravate fatte per fare la madre e che la soddisfazione tratta da questo evento è stata minima, farebbe di voi una sorta di mostro irresponsabile.” Elisabeth Badinter, Mamme cattivissime? trad. Simona Lari, Corbaccio, 2011.
“Non esiste noia paragonabile a quella di una giovane donna intelligente che passi tutta la giornata con un bambino molto piccolo.” Doris Lessing, Sotto la pelle: la mia autobiografia, primo volume. Trad. Maria Antonietta Saracino, Feltrinelli, 1997.
Io volevo tantissimo diventare madre, è stato bellissimo, ma poi improvvisamente mi sono sentita “posseduta” da questo ruolo che mi è stato affibbiato. Io volevo un solo figlio. Ma mio marito diceva che era egoista. Mi ha fatta sentire in colpa e ho ceduto. Non so se sono ancora intrappolata in questo ruolo di madre, so che ci sono stata troppo tempo, e certo è che mi pesa a volte.
“I miei figli mi danno le più squisite sofferenze che abbia mai conosciuto. È la tortura dell’ambivalenza: il dilaniante alternarsi di amaro risentimento ed esasperazione, e gioiosa gratificazione e tenerezza.” Adrienne Rich, Nato di donna, Trad. Maria Teresa Marenco, Garzanti, 1977. Autoritratto in lockdown, 2020. A volte un bambino di 5 anni può essere il più crudele sulla terra.
C’è un’aspettativa sociale di autonomia ed efficienza lavorativa e finanziaria, e autonomia ed efficienza dal punto di vista della gestione dei figli. Che è impossibile. Per me è impossibile, e io ci provo, perché sono una che si sacrifica, ma non ci riesco, per cui mi arrabbio con tutti, alla fine. Io volevo tempo da dare ai miei figli. Però mi sta stretto anche il fatto di non essere economicamente indipendente. Per cui cerco di prendere da tutte e due le parti, e mi esaurisco. La mia identità è tirata come una coperta da tante parti.
Purtroppo la madre, almeno nel mio immaginario, è sempre caricata di molte più aspettative, molti più doveri, non solo all’interno della struttura sociale ma proprio come figura di riferimento per il figlio. Tutto questo mi genera un’ansia mostruosa, perché mi chiedo continuamente: “Farò bene? Farò male?” Cose che, penso, tutte le madri si chiedono.
Una cosa che so essere abbastanza comune è che dopo che diventi madre non sei più vista da molti come una persona, un individuo, ma sei vista come la madre di qualcun altro. Più nel male che nel bene: sei la responsabile di tutte le cose che non vanno bene, la destinataria di tutte le critiche, e tanti sforzi non vengono visti né riconosciuti.
Io mi sono scoperta femminista nel momento in cui ho partorito la mia prima figlia. Perché prima il mio corpo non era un terreno politico o un terreno in cui si giocava una partita importante. Sono andata diversi mesi in terapia in seguito al parto ed è stato uno dei primi momenti in cui ho visto la mia personalità sdoppiata. C’erano momenti in cui ero nell’euforia più totale e momenti di depressione.
I primi giorni dopo la gravidanza ho avuto a che fare con la testa che non sembrava più la mia. Uno sbalzo ormonale così grande mi ha dato le allucinazioni. Penso di aver avuto il baby blues, non gravissimo, ma ripensandoci, è stato tosto. La memoria a breve termine se n’è andata per diversi mesi. E poi mi sentivo estremamente sola, solissima.
Avere figli è come sganciare una bomba nella tua vita e nell’equilibrio della coppia, senza ritorno possibile. Perché quando sei in coppia ti costruisci con l’altro, cerchi di fare una priorità di tutti e due. Quando ci sono uno o due bambini, il tempo che prima dedicavi alla coppia lo dedichi ai bambini in generale. In più, spesso è la mamma che porta il carico mentale. Quindi, anche se non sei tu a fare qualcosa, sei tu che ci devi pensare.
Diventare madre ha risvegliato sentimenti che erano sopiti. Mi ha rimesso in discussione tutto, ha rotto un equilibrio che sto ancora cercando di riconquistare. Quando ti sembra di essere arrivata a un punto nella vita arriva un figlio che ti sconquassa tutto e devi ripartire. Ed è una cosa che non finisce, è un processo in corso, iniziato il giorno in cui ho scoperto di essere incinta, perché già in quel momento senti che non sei più sola, che il tuo corpo non è più solo tuo.
Allattare è stata una cosa che io non sono mai riuscita a fare, l’allattamento mi faceva senso, questa idea di dover nutrire col mio corpo. Tutti mi spronavano ad allattare e io mi sono sempre sentita molto in difetto. Sono contenta di non averlo fatto perché io non riuscivo a concepire di dover essere sempre disponibile per questo. Io volevo uscire, volevo subito staccarmi, volevo subito poter avere due ore per andare da sola da qualche parte, e questo mi ha aiutata a farlo, perché sarei impazzita, credo.
Sono la madre biologica del nostro secondo figlio, mentre la mia compagna lo è del primo. Per anni ci sono stati genitori sgradevoli che mi hanno detto che non ero una vera madre, per cui io ho desiderato fortemente questo bambino. Mi sento me stessa, non mi sento snaturata. Ma non è sempre facile, perché noi rappresentiamo una nuova idea di famiglia.
La società non è fatta per aiutare chi ha figli, e la maggior parte degli uomini della mia generazione, o almeno il mio, non è partecipe quanto sarebbe necessario oggi. Forse sono arrabbiata anche con me stessa per non avere richiesto da subito una partecipazione maggiore.