RUST – THE BLOODY BEETROOTS

Rubrica: Rust

A cura di Roberto Graziano Moro
Fotografie di Roberto Graziano Moro
Testo di Chiara Franchi
Graphic Design Giacomo Dal Ben
Label Out of Line Music

 

WHEN PUNK BLENDS WITH ELECTRONIC

“Blood calls blood”, cantava N8NOFACE in un pezzo di The Bloody Beetroots uscito l’anno scorso.
Più che un verso, una promessa un po’ minacciosa: “Blood calls blood” è un indice puntato in faccia, uno sguardo da sotto in su che annuncia un conto aperto.
Ma “Blood calls blood” è anche altro. È un richiamo. È un impulso che attraversa la carne e non lascia scampo. Profondo, sottocutaneo. Perché quando il sangue chiama, non si può non rispondere.

Bob Cornelius Rifo segue quel richiamo da sempre. In vent’anni di The Bloody Beetroots è sempre andato dove la sua natura indicava: da Bassano del Grappa ai più prestigiosi club underground, in studio con Steve Aoki, sul palco di Sanremo e accanto Paul McCartney. E poi a Londra, ventre accogliente, nobile e sfacciato dal quale è fuoriuscita la prima grande generazione del punk europeo. Londra che, come il punk, è per Bob un punto di partenza e un punto di arrivo.

È proprio da lì che The Bloody Beetroots ha preso forma. “Quando ho fondato The Bloody Beetroots era più di un progetto musicale. Era una visione”, ha dichiarato Bob annunciando il suo prossimo tour mondiale. “Volevo fondere due mondi apparentemente inconciliabili: la ribellione selvaggia del punk e la potenza cinetica della musica elettronica. Sono cresciuto con entrambe e ho sentito il bisogno di crearne una sintesi, un linguaggio che li potesse tenere insieme con naturalezza”.
Quella visione torna a pulsare nel nuovo singolo “Killing Punk”, in collaborazione con Bob Vylan, di cui Londra è cornice musicale – ma anche architettonica, nel video girato tra i sobborghi della città.

“I heard the Vylan’s killing punk” incalzano le barre, prima di lanciarsi in un tributo ai mostri sacri della scena: “I was gun shopping, couldn’t find the right one though / Tryin’ to get my hands on the sexiest pistol / ‘Cause living in fear will have you thinking with a bad brain / Bad mind vandals and addicts acting insane / Had a few brushes, nothing but a couple minor threats”.

In fondo, cosa c’è di più punk di smontare la mitologia stessa del punk? Di rivisitarla, ridisegnarla, portarla fuori dalla zona di comfort? Anche perché il punk è esattamente una demolizione delle zone di comfort. Come può il punk conservare la propria essenza, se non mettendosi costantemente in discussione?
Con The Bloody Beetroots, Bob Cornelius Rifo fa tutto questo da due decenni: lo ha fatto attraversando l’underground e il mainstream, ma tornando ogni volta a casa, alle sue origini, alla sua identità. Fedele a sé stesso e al suo sangue.

Questi scatti raccontano un pezzo del legame tra Bob e Londra, e di quello rabbioso e bellissimo tra punk ed elettronica che The Bloody Beetroots ha saputo cucire. Raccontano una sera di febbraio al Dingwalls, cuore pulsante della Londra sotterranea, dove il passato e il futuro si sono incontrati per dare il via ad un altro giro di giostra.
Comincia così il nuovo capitolo di una storia che dura da vent’anni. Una storia di caos, rumore e musica che non ha nessuna intenzione di abbassare il volume.