Fotografie di Paolo Ricca
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Un giorno come tanti, un’arteria di periferia e l’attenzione che improvvisamente si fa catturare da alcune ombre all’interno di un edificio. Due grandi porte di acciaio colorate di verde, bianco e rosso, un vecchio capannone dipinto d’Italia per l’occasione.
Un tratto di strada apparentemente anonimo dove ogni giorno può sorgere un autolavaggio. Al suo interno, una squadra di anime unite da un unico obiettivo, ognuna con il suo compito ben preciso: dieci minuti per dieci euro, cento litri di acqua per lavare ed asciugare una macchina grazie ad un servizio rapido e perfetto. Una sequenza di movimenti ai limiti del frenetico si manifesta come un’orchestra che sfida la frenesia del quotidiano.
Decine di carrozzerie tirate a lucido come uno specchio, lance che sparano acqua ad alta pressione, detergenti con un forte potere sgrassante in grado di sciogliere i residui ferrosi intrappolati nei cerchioni degli pneumatici. Una sottile cappa di fluidi nebulizzata nell’aria che, assorbita negli abiti o respirata, con il tempo può anche provocare gravi irritazioni alla pelle e alle vie respiratorie. L’umidità che si attacca ai vestiti e penetra nelle ossa bagnate, l’orgoglio che non si piega e la fatica che a fine giornata si fa sentire. Ogni giorno, l’abito d’acciaio della globalizzazione provoca un’emorragia climatica sempre più evidente alimentata dai vizi inarrestabili del vivere moderno.