Fotografie di Niccolò Zorza

Cicatrici nasce come progetto di documentazione fotografica.
Testimonianze che passano attraverso il ritratto.
Lo scopo è dare luce a persone straordinarie, le quali si raccontano tramite le proprie cicatrici fisiche.
Il segno oltre a essere impresso nel fisico lo è anche nella mente.
Il ricordo è indissolubile alla stessa maniera.
Questo messaggio interiore diventa il racconto stesso.
Le parole del ricordo accompagnano le immagini come riflessione personale.
Sono cicatrici date da situazioni differenti presenti su donne, uomini e bambini, che con grande consapevolezza raccontano la loro esperienza.
Quello che può sembrare un difetto estetico, qui si trasforma in pregio e celebra la propria unicità da mostrare con orgoglio.
In un mondo che inneggia alla perfezione estetica, cicatrici vuole essere un messaggio di uguaglianza e non di differenza.

Adele - Questa è la cicatrice che si aggiunge come tratto distintivo alla mia unicità. E che racconta ciò che la mia condizione genetica può comportare. L'ipovisione è conseguenza dell' albinismo. Per una bambina come me, che non si risparmia in nulla, che non si limita a guardare gli amici mentre giocano ma che corre forte insieme a loro, e che si mette in gioco in tutto ciò che le piace, può capitare un piccolo incidente... Essendo ipovedente e fotofobica succede che l'ostacolo non lo vedo, o lo vedo troppo tardi, e questo, stavolta, ha comportato tre punti di sutura. Ma io non mi fermo, ho ricominciato a correre. Crescerò, imparerò a "prendere le giuste misure". Più consapevolezza dei miei limiti e mettere in atto strategie adeguate per affrontare tutti gli ostacoli che mi troverò a dover superare e correre più forte!
Adele
Claudia - Non ho mai accettato me stessa. Non ho mai accettato il mio fisico. Fin da bambina fantasticavo su una me del futuro diversa e mi dicevo “tra tre anni sarò magra e mi piacerò”. Puntualmente passavano quei tre anni e non avevo raggiunto la mia fantasia. Nonostante i sacrifici fatti. La cosa è frustrante. Compiuti i 30 anni, come se fosse scattata una scintilla, ho deciso che volevo intraprendere la strada verso un intervento bariatrico. Il 3 ottobre 2023 sono stata operata. Il 3 ottobre 2023 sono rinata. La strada è ancora lunga. Ma quando vedo le mie cicatrici le guardo con amore. Come se le avessi attese tutta la vita.
Claudia
Daniele - Cosa ha cambiato in me l'incidente? Niente. Fin da bambino ho sempre pensato di essere una persona con le palle. Ma, al di là di provare sport adrenalinici, non avevo ancora dimostrato a me stesso questa cosa. Beh, ritrovarsi in un letto d'ospedale senza una gamba mi ha dato questa conferma. Io ho gli attribuiti. E non è superbia, ma estrema oggettività. Mi sono rimboccato fin da subito le maniche. Sono guarito rapidamente, sono ritornato in sella in moto (corro in pista), ho conosciuto la mia compagna ed ora ho una splendida famiglia con una bimba bellissima! Tutto questo per dire che prima dell'incidente ero un ragazzo pieno di vita e con tanta voglia di fare. La perdita della gamba non mi ha cambiato. Sono sempre io! Ho semplicemente avuto le conferme dentro di me. Siamo noi a crearci il nostro destino e a plasmare la nostra persona nello spirito e nel corpo.
Daniele
François - Adolescente, gita in Bretagna con la scuola, gioco stupido, pollice incastrato nella cerniera della porta ambulanza, blocco operatorio ambulanza. Il mio rimpatrio su Parigi con volo aereo sanitario uno shock! Nuovo intervento chirurgico programmato ma all’ultimo momento operazione all’appendicite... la sfiga! O forse no. Anzi, sicuramente no. Nel senso che se avessi avuto un pollice nuovo avrei cancellato la traccia di quest’evento, avrei cancellato una parte di me stesso. Si vede benissimo, come no... ma nessuno lo nota! Non lo nascondo (perché dovrei?) ma è come se fosse invisibile, come se la gente che mi circonda non fosse più in grado di guardare o per lo meno di essere attenta ai particolari. Vorrei al contrario parlarne, poter raccontare quanto vissuto ma non ne ho mai l’occasione. Almeno fino ad oggi...
François
Martina - Gli altri vedevano la “bellezza” nel mio seno grande. Io vedo la Bellezza in queste cicatrici che mi hanno ridato salute fisica e mentale. Perché troppo raramente si chiede "come stai?" per sapere cosa ci tormenta davvero; è sempre scontato che si stia bene o male a livello medico, ma se il livello non è abbastanza alto, chi pensa al dolore psicologico? Chi pensa alla sofferenza di chi non si sente mai abbastanza? Né abbastanza sano né abbastanza malato, né abbastanza bella né brutta, solo non abbastanza. Queste cicatrici, giorno dopo giorno, mi fanno sentire abbastanza me stessa.
Martina
Mattia - Sono rimasto da solo per mesi, io la strada e la mia bicicletta, ho pedalato migliaia di chilometri, deserti, boschi, mari, ho vissuto intensamente, ho vissuto. Mi stavo trasformando interiormente, ma anche esteriormente, sulla mia pelle due puntini con me da anni hanno deciso di cambiar forma, forse per ribellione al nuovo Mattia che stava nascendo. Li ho tolti, eliminati, sradicati, li ho lasciati andare... assieme alle paure. Al loro posto, adesso, ho due linee che interrompono la continuità della mia pelle, da quelle fessure è entrata la luce che ha colmato il mio spirito. Queste due linee le considero come un “post-it” appiccicato al mio corpo con su scritto “prenditi sempre cura di te”, “amati”, “guardarti”, “non sei invincibile, inattaccabile, sei anche vulnerabile, quindi vivi ogni giorno intensamente!” Le mie cicatrici sanciscono in maniera indelebile che sono vivo.
Mattia
Rebecca - Avevo paura di vivere con i miei demoni. Avevo paura di dovermi risvegliare la mattina e così ho scelto la morte tentando il suicidio. È passato un anno. Ora guardo le mie cicatrici e sorrido mi ricordano che sto lottando ogni giorno per vivere. Un taglio per avvicinarsi alla morte, una cicatrice per rinascere.
Rebecca
Roberta - Tutti mi chiedono se lo rifarei, se sceglierei di nuovo di sottopormi ad un intervento chirurgico per migliorare il mio aspetto fisico nonostante tutto quello che ho passato... Perché per chiunque, l’ho fatto solo per uno sfizio e per raggiungere canoni estetici tanto desiderati! Ma dietro alla scelta di affrontare l’intervento c’è una storia che nessuno sa ...ed è vero, se mi fermo a pensare a come le cose sono andate storte ancora mi vengono i brividi, se penso al dolore che ho provato quando l’infezione è arrivata, ancora mi sento morire, se penso alla paura che ho avuto di perdere tutto.... poi però mi guardo... ma non guardo il mio «nuovo» corpo, guardo il sorriso che ho ritrovato e allora tutto trova nuovamente un senso! In pochi capiranno, forse nessuno... ma tutto quello che ho fatto l’ho fatto per me stessa, per mandare a fanculo un dolore tanto grande, nascosto a tutti e che continuava a togliermi la vita giorno dopo giorno. Ora ho una cicatrice, un bel buco da curare, ma le cicatrici dell’anima, quelle... finalmente fanno meno male! Ora sono finalmente viva...
Roberta
Simone - Prima dell’incidente ero spensierato. Poi la caduta... non mi ero preoccupato al momento, ma avevo capito che qualcosa non andava. La sofferenza fisica che ho affrontato in ospedale nelle ore e giorni successivi era notevole. Pensavo solo a mia figlia di 3 anni e la più grande di 6, la quale non voleva vedermi perché aveva paura... Dopo l’operazione vissuta molto male, ripresi piano piano coraggio per tornare a scherzare come ero solito fare. Però da quel giorno non è più la stessa cosa. Sono rimasto offeso all'arto superiore destro, non riesco più a fare quello che facevo prima, no. Posso prendere le mie figlie in braccio? Sì ma non ce la faccio. Questo evento mi fece riflettere sull’importanza della famiglia, l’unica che ami e che ti fortifica ogni giorno. La mente rimane lì... e così il dolore passa...
Simone
Stefania - Mi ricordo gli occhi di mia mamma, si vedeva che aveva appena smesso di piangere. Ero sicura che avrebbe ripreso a farlo da lì a poco. Mi ricordo la mano calda di mio papà che teneva stretta la mia, come a non volermi lasciare andare. Mi ricordo la paura, il freddo e il male. Poi il buio. E poi di nuovo il male. Mi ricordo il sorriso e le lacrime di gioia di mia sorella quando mi vide arrivare in saletta ospiti per festeggiare il suo compleanno. Ero riuscita a fare pochi passi da sola per raggiungerla. Mi ricordo tutto. Se chiudo gli occhi e faccio viaggiare liberi i miei pensieri vedo una ragazza seduta su un letto di ospedale con il suo pigiama rosa. Accanto a lei dei pupazzi, per sentirsi quasi a casa. Sul comodino trucchi, perline, fili colorati e medicine, tante medicine. Appiccicato al vetro vedo il poster fatto dalle infermiere per me, Kim Rossi Stuart mi fissa e dice: "quando hai la nausea, guarda me!". Vedo dei disegni, immagini ben definite ancora oggi, piene di significato. Vedo una casa fatta di cuscini, il mio porto sicuro. Posso sentire la paura di quella me così piccola. La paura di perdere i capelli, la paura delle cure sperimentali, la paura di essere un caso raro difficile da gestire e difficile da salvare. Sento e rivivo la paura di morire, di lasciare tutto e tutti senza aver lottato abbastanza. Sento e rivivo tutta quella tristezza. Ho imparato ad amarla e a distanza di anni ho realizzato che senza quella tristezza così tanto odiata non sarei la Stefi di oggi.
Stefania