Fotografie di Ippolita Valentinetti

Questo progetto fotografico si sviluppa nell’arco di un anno passato a lavorare presso un vivaio.
Oltre a immergermi nel macrocosmo della natura che mi  circondava ho seguito il flusso delle stagioni e del passare del tempo e della luce. Nell’immaginario visivo immerso nel verde interagisce una figura, un giardiniere, un rifugiato di guerra e richiedente asilo.

“ …l’edificio di questo luogo era costruito da piante e mutava ciclicamente. Ogni giorno mi stupivo di cosa si nascondesse dentro gli ombrai, dei bozzoli traboccanti di fiori e piante.
I tessuti degli ombrai avevano ciascuno una trama ed una grana diversa, più o meno fitta a seconda dell’esposizione al sole; mi sembravano dei grandi drappi in tessuto moiré verde risplendenti come un’aurora boreale.
I giochi di luce e le sfumature del verde (dallo smeraldo ai verdi più acidi) si rifrangevano sulle piante costruendo dei prismi incastonati in grotte di tulle verde, irradiavano con le proprie ombre e colori. Ero estatica, non smettevo di vedere.
Tutto questo attorniato dai profumi singolari dei fiori e dalla presenza di un giardiniere che attraverso la mia lente e le fessure dei drappi intravedevo e rimanevano impressi nelle mie immagini…”

Lo spazio è portato all’ astrattismo, la matericità, le textures e i colori sono evocativi. Una rappresentazione e linguaggio visivo sorti spontaneamente per deformazione professionale; reminiscenze del mio lavoro da scenografa.

Il giardiniere afgano è ritratto attraverso la lente dei materiali e degli oggetti del suo lavoro, attraverso reti e schermi traslucidi, come le piante di cui si prende cura, protette e nello stesso tempo prigioniere della luce del sole.

Le radici sono difficili da spezzare e come le radici delle piante o l’ordito e la trama dei fili che formano un tessuto si adattano alle diverse condizioni ma raramente cambiano la loro natura.
In questo caso vorrei dire l’umanità è ciò che è più importante. L’umanità di una persona è immutabile nell’affrontare le avversità e il dolore.

Come testo letterario mi sono ispirata al Giardino del Dolore, un passo tratto dallo Zibaldone (1826) di Giacomo Leopardi e alle sue riflessioni sul piacere e la visione.

“Un giardino di piante, di fiori. Dietro all’ apparente armonia della natura, si nasconde la Souffrance, ad esempio
della rosa offesa dal sole del giglio succhiato crudelmente da un’ape, dell’albero infestato da un formicaio,
bruchi, mosche, lumache, zanzare, dall’ aria o dal sole…la donzelletta e il giardiniere calpestano il giardino che
diventa quasi un vasto ospitale.”