Fotografie di Soheil Raheli
Intervista di Sebastiano Leddi
Rubrica: A CURA DI
Perimetro presenta “A CURA DI“, una nuova rubrica che incontra e conosce i curatori : i loro progetti, le loro visioni, i work in progress. Uno sguardo a 360 gradi sul contemporaneo, una bussola per orientarci tra immagini e immaginazione, presente e futuro delle arti visive.
Il quarto incontro è dedicato a TYLER OV GAIA

Laureato in storia contemporanea, dj, direttore artistico, agitatore, comunicatore. se devo presentarti con una sola parola quale definizione ti rispecchia meglio?
Credo che molti di noi preferiscano tenere aperte le possibili definizioni. La società in cui viviamo tende a ridurre l’essere umano a una sola dimensione: una volta che hai acquisito una parte, sino alla morte, devi continuare a recitarla. Chi invece ha maturato una visione olistica della vita è portato a esplorare le proprie possibilità espressive. Ǫuesto non significa fare tante cose in modo disordinato, ma curare un’ecosistema di competenze e possibilmente metterle al servizio della comunità.
Una curiosità: da dove nasce il tuo nome?
Erano gli anni 90 e con il mio gruppo di amici disegnavamo murales sui capannoni abbandonati e sulle pareti morte dei casermoni-dormitorio dove vivevamo. Era una cosa che ci univa e un tentativo, magari ingenuo, di rendere il quartiere meno squallido. Ognuno firmava i propri pezzi con un nome di fantasia e il mio era Tyler che poi é rimasto negli anni. È un tributo a Fight Club, libro di Chuck Palaniuk e poi film-culto, il protagonista è Tyler Durden, un combattente di strada che prova a mettere in piedi una rivolta anarco-dadaista, una sintesi tra Lenin e Osho, portando la lotta al sistema su un piano sia mistico che fisico. Anche la seconda parte del mio nome “Ov Gaia” ha origine dall’immaginario anni 90, e più precisamente da un gruppo di produttori attivi in quel decennio sotto il nome misterico di “Psychic Warriors Ov Gaia”. Nel loro continuum sonoro mischiavano poliritmi africani, ambient e drumachines aprendo possibilità immaginative verso territori inesplorati, suggerendo ibridazioni tra tecnologia e bios che continuano ad affascinarmi.

Ho recentemente partecipato a un “party” organizzato da te che apriva con un talk di Andrea Daniele Signorelli sul tema dei problemi collettivi come solitudine, burnout, disturbi mentali, causati dall’epoca in cui viviamo. Qual’è il vero scopo per cui organizzi questi ritrovi?
Perché stiamo tutti male, ma non tutti ce ne rendiamo conto o siamo disposti a parlarne. Ritrovarci tra noi come esseri umani che riconoscono i problemi che li riguardano e provano a risolverli è una pratica salutare: genera zone franche di confronto e scambio di conoscenza. Alla parte intellettuale segue il ballo perché nel movimento del corpo liberiamo energie che altrimenti rimangono solo mentali e statiche. Ǫuando una comunità danza sprigiona energia vitale, tutti sono la versione più libera di sé stessi, non ci sono gerarchie o inibizioni. In quel contesto saltano i punti di blocco. Ricordo l’evento di cui parli e il senso di euforia e unione che avevamo sperimentato. Nei miei DJ set spesso mixo su base elettronica un’espressione mantrica che recita “your mind, your body, your soul”. Pensiero, corporeità e spiritualità non sono elementi disgiunti. Uno dei motivi per cui i festival letterari sono noiosissimi, non è solo perché a parlare invitano scrittori stanchi e senza idee, ma anche perché ti mettono su una sedia per otto ore. Gli eventi di cui abbiamo bisogno sono quelli trasformativi, che mettono in contatto i partecipanti con più discipline. Yoga, danza, pratiche somatiche, teatro, bagni di suono, performance collettive.

Cos’è oggi l’underground? Pensi possa generare qualcosa di davvero sovversivo?
Il capitalismo consumistico ha mille facce, mille modi per farsi amare dalle sue vittime, mille sistemi per rendersi desiderabile, mille modi per essere invincibile. Eppure esiste una corrente minoritaria di persone che è immune alla seduzione del sistema. Essi agiscono in modo esoterico, sono l’underground dell’underground, è gente che al momento della scelta ha preferito la pillola rossa alla pillola blu e ora scopre quanto è fonda la tana del bianconiglio.

Al centro della tua progettualità c’é inevitabilmente l’elemento umano. Trovi che la socialità stia cambiando? In che maniera?
I social media di massa e le app più note sono costruite appositamente in maniera tossica. Favoriscono l’instaurarsi di dinamiche di abuso e comportamenti compulsivi. Moltissimi cadono nella trappola dello scroll perpetuo: continuano a cercare contenuti, senza sapere focalizzarsi su uno soltanto. Ǫuanti hanno mantenuto la capacità di arrivare fino alla fine del capitolo di un libro senza il bisogno di controllare notifiche e app? È in atto un deterioramento delle capacità cognitive dell’essere umano, a prescindere dall’età, dalle competenze, dalla lingua, dal sesso, dallo status sociale. Io non sono né tecnofobo, né tecnofilo, non credo che la tecnica sia solo bene o solo male, ma rilevo lo squilibrio in atto. Per questo credo sia importante analizzare, discutere, ricordare, capire cosa è bene e cosa è male.

Ecologia e comunità, le tue newsletter sembrano sempre una chiamata imperdibile. Ti sei sempre distinto per il modo con cui comunichi alla tua community. Quale urgenza cerchi di intercettare con i tuoi messaggi?
Ci sono due concetti che mi stanno a cuore e che sono connessi tra loro. Il primo è quello di Iperstizione ovvero l’idea che enunciare un fenomeno condizioni il corso degli eventi, in maniera non dissimile dalle profezie che si autoavverano. Ǫuesto concetto è molto affascinante, perché anche in uno spazio-tempo bloccato abbiamo la possibilità di contribuire in modo attivo al suo superamento. Il secondo concetto è quello di SolarPunk, ovvero un modo di pensare al futuro in in un senso che è al tempo stesso ecologista e sovversivo. Sovversivo perché parte dalla constatazione della tossicità della società in cui viviamo ed ecologista perché immagina metropoli futuristiche dove architettura e flora si fondono generando spazi umani inediti. La tecnologia nello scenario SolarPunk è guidata da una consapevolezza olistica: è quindi in rapporto con il bios, esalta e protegge la natura, anziché distruggerla.


Sei spesso in mezzo a centinaia di persone eppure ti immagino come un’anima solitaria. Come fai a conciliare questi due aspetti della tua personalità?
Mi piace la solitudine. Se per molti è motivo di imbarazzo io non avverto disagio ad andare al cinema o al ristorante da solo o anche scegliere di fare una vacanza solitaria. Credo che farebbe bene a tutti passare più tempo con sé stessi, sottrarsi al rumore del mondo e tornare ristorati. L’animo umano si nutre di intermittenze, solitudine e socialità hanno bisogno di alternanza. Non sono elementi in conflitto, come nel Tao fluiscono in un movimento e sono parte di un insieme. Tanto in un rapporto di coppia quanto negli equilibri comunitari, la solitudine dovrebbe essere compresa come una pratica sana.

Arte, cinema, filosofia, dove nasce l’ispirazione dei tuoi progetti?
Ascolto tanta musica, del presente e del passato. Ho un rapporto particolare con la musica ambient: alcuni dischi hanno la capacità propedeutica di indurre stati di flusso creativo. Leggo molto, soprattutto saggi, e con me ho sempre un quadernetto su cui scrivere e prendere appunti. La mia attività di DJ mi porta a viaggiare in treno ogni settimana, ma i tempi morti non sono mai tali se hai un libro con te. Non bevo, non fumo, non mangio cibo che implichi morte o sofferenza. Seguo una mia personale hagakure e questo influisce tanto sulla mia creatività quanto sulle mie scelte esistenziali.
Se potessi organizzare il party dei tuoi sogni, senza limiti di budget e potendo avere gli artisti che desideri, cosa ti piacerebbe mettere in piedi?
Fammi sognare. Immaginiamo la ricreazione simbolica di Milano. Piantiamo semi magici da cui nascono rampicanti che ricoprono i palazzi. I tetti diventano giardini: su uno di questi farei suonare il Ǫuadro di Troisi, su un altro la divina Hatis Noit. In un parcheggio sotterraneo, mutato in grotta incantata con quarzi giganti e stalattiti rosa, farei esibire i Glass Beams e poi gli African Head Charge. James Holden lo farei suonare su una piroga che solca i navigli. Allestirei poi due tende per i talk fatte di tessuti e drappeggi preziosi, come le città-oasi che sorgevano lungo le piste carovaniere per Samarcanda. Una tenda sarebbe dedicata ad Hakim Bey e ospiterebbe i talk su politica, pirateria e pratiche comunitarie. L’altra potrebbe invece chiamarsi tenda Gandalf e sarebbe dedicata a letteratura fantastica e mitologia. Il cibo per tutti i partecipanti è naturalmente vegano, preparato da Sauro e Raffele di Joia. Dato che non ci sono limiti di budget musica e cibo saranno gratuiti per tutti. Come consulente psichedelico vedrei bene Manfredi Romano, sciamano del terzo occhio. Le pratiche olistiche al tramonto saranno condotte da Boto e la tribù del Pyramid Party di Berlino mentre i DJ set notturni saranno affidati a Vladimir Ivkovic e Lena Willikens. Nella cerimonia finale ci addormenteremo tutti abbracciati cullati da un live set di Brian Eno e Laraaji.



Tre buone letture per decifrare l’oggi?
Byung-chul Han – La scomparsa dei riti
Limonov – Grande ospizio Occidentale
Daniele Rielli – Odio
C’è un curatore o direttore artistico di cui stimi il lavoro e che ti piacerebbe intervistare?
Suggerisco Sofia Baldi, curatrice indipendente, head curator dell’ultima Biennale di Malta. In un mondo curatoriale gonfio di ignoranza e retorica Sofia Baldi porta audacia e magia.
