Fotografie di Renato Ferrantini
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Nell’arido deserto dell’Hammada, al confine tra il Marocco e la Mauritania, vivono quasi duecentomila rifugiati saharawi; un’area ceduta a sovranità “temporanea” dal governo algerino alla Repubblica Democratica Araba dei Saharawi (RASD) che governa in esilio da quasi cinquant’anni. Un’alternanza di attesa, guerra e diplomazia. Una clessidra senza sabbia. L’ultimo congresso del Fronte Polisario – l’organizzazione militante e politica nata nel 1973 – nel febbraio di quest’anno, ha chiarito, in parte, i rapporti con il Marocco: «Intensificare la lotta per porre fine all’occupazione e ripristinare la sovranità». Ma il popolo resiste, sospeso, tra banderas blancas e vecchi e pesanti kalashnikov.
AZMA, AUTISTA COMBATTENTE Algeria. Campi profughi saharawi, wilaya di El Aiun
Sono le sei del mattino fuori dall’aeroporto di Tindouf, l’ultimo avamposto territoriale dello stato algerino, a poca distanza dal Marocco e dalla Mauritania. Dopo due giorni di mancati atterraggi per le condizioni climatiche avverse il vento è cessato. Azma, originario del villaggio di Dakhla, nei territori occupati, ha combattuto per quindici anni contro il governo di Rabat; ora è il nostro autista in una notte insolitamente fredda, gli occhi intensi nel buio a mo’ di segnale della determinazione del suo popolo.
Una colonna di jeep dei lontani anni Ottanta procede verso la frontiera saharawi, la Wilaya di El Aaiun; si tratta dell’unico punto in cui i militari di Algeri consegnano alle guardie della RASD i cittadini stranieri in visita. Da lì in avanti le rotatorie segnano le piste che conducono ai campi dei rifugiati, un’area organizzata in cinque Wilaya (province) e trenta Daira (villaggi), dove oggi vivono gli esuli; una cessione temporanea di sovranità territoriale che dura ormai da quasi cinquant’anni.
VILLAGGIO DI LA GUERA CON I RECINTI METALLICI DEGLI ANIMALI Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
SID BRAHIM E IL SUO NUOVO REGALO, UN DELFINO CHE COME LUI NON HA MAI VISTO IL MARE Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
Abbiamo tempo prima della cena e aspettiamo che arrivi l’ultimo pane caldo.
Sid Brahim mostra il suo nuovo regalo nella tenda con i grossi fiori ricamati. Il delfino e il telo azzurro sullo sfondo sono un ossimoro visivo, per tutti i giovani del campo il miraggio di un qualcosa mai comparso realmente dinanzi ai loro occhi.
«Mullay, è questo il mare?», è la domanda che i bambini rivolgono sempre al loro accompagnatore il primo anno di accoglienza estiva, attiva in Italia con il progetto “Piccoli Ambasciatori di Pace”. «No, è una piscina!».
IL DISEGNO DEL SAHARA OCCIDENTALE SUL MURO DELL’ASSOCIAZIONE DELLE FAMIGLIE DEI PRIGIONIERI E DESAPARECIDOS SAHARAWI (AFRAPREDESA) Algeria. Campi profughi saharawi. wiilaya di Rabuni
SUKAINA, IL RITRATTO DI UNA TERRA CONTESA Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
Sukaina ha ottantaquattro anni, il volto tagliato dalla luce trasversale che filtra nella sua abitazione, nel barrio 4 della Daira di La Guera; l’anziana è una trasfigurazione reale della sua terra ora divisa; un corpo che ha vissuto le tre generazioni più dure per il popolo Saharawi.
Nel 1975 l’inizio della guerra con il Marocco, Sukaina è costretta a fuggire con la famiglia. Il figlio Abdellhai traduce il suo breve racconto. «I camion del Fronte Polisario sono arrivati subito, in cielo due aerei militari cercavano di individuare chi scappava, le donne nascondevano i figli e gli anziani sotto i vestiti. In cinque giorni siamo arrivati nei campi». Dal 1991 una fase di tregua, la risoluzione OUA-ONU sul referendum, poi, nel novembre 2020, il casus belli, ovvero la protesta delle donne saharawi al passo di El Guarguarat; gli stivali marocchini aprono il fuoco e inizia un nuovo conflitto, tuttora in corso.
KAVER E IL SUO SGUARDO SU UN FUTURO INCERTO Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
Kaver ha 18 anni, e non vuole aspettare il suo futuro, il fratello è già in Europa. Ha le idee chiare. «Se necessario prenderò la pantera – una piccola barca, N.d.A. Ho conosciuto un amico in Spagna che è venuto dal Mali, ha attraversato la Mauritania, il Marocco, ed è arrivato a Ceuta.» Poi ritratta. «Vivo con mia zia, sono orfano, fino a 25 anni voglio fare l’operaio per mettere da parte i soldi. Ma rimanere qui è come rimanere fermi, seduti.»
Aggiunge nuovi pensieri, da persona adulta. «Sono pronto ad andare in guerra se ci sarà una chiamata collettiva, ma ottenere la libertà attraverso un conflitto armato sarà un sacrificio sia per noi, sia per loro. Siamo tutti esseri umani e siamo della stessa carne». Si riferisce ai marocchini, che non nomina mai. «Il popolo Saharawi è sopravvissuto per molto tempo, aspetteremo quello che manca. È una questione di cuore forte.»
RAGAZZI GIOCANO IN UN VECCHIO COINTAINER DI AIUTI UMANITARI Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
La sopravvivenza nei campi dipende dagli aiuti umanitari internazionali: PAM, UNICEF e ONU. Spetta poi alle comunità locali occuparsi della distribuzione di acqua e cibo ai rifugiati. Alcune associazioni solidali promuovono invece adozioni a distanza. Esistono, inoltre, strumenti di finanziamento a beneficio delle famiglie per progetti di coltivazione o allevamento sostenibili, accompagnati da programmi di formazione.
CENTRO PROVINCIALE DI DEPOSITO DEI RIFIUTI Algeria. Campi profughi saharawi, wilaya di Auserd
UN DUE TRE, STELLA! CON L’AUSPICIO DI RITROVARSI NELLA TERRA CONTESA DA CINQUANT’ANNI Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
Nel cortile interno della casa che ci ospita non è ancora buio. Leila si appoggia al muro lungo, contando. La sorella Lamina e la cugina Alwaha si avvicinano senza farsi sentire. “Un, due, tre, stella!” è un gioco tradizionale anche qui. L’auspicio, con gli occhi di nuovo aperti, è di ritrovarsi di là, liberi, nella terra attesa da mezzo secolo.
RAGAZZA COPERTA DALL’ELZAM, IL TURBANTE DELLE DONNE SAHARAWI Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
I giovani in età adolescenziale sono scomparsi. Forse lavorano in Mauritania come autisti o nei grandi mercati. Molti abitanti dei campi nati in Algeria e ormai cinquantenni, sono andati a studiare a Cuba; alcuni hanno trovato lavoro in Spagna e mandano le rimesse alla famiglia, altri sono tornati per praticare la professione medica negli ospedali di Rabouni o Aguenit. Qui però mancano materie prime per i farmaci galenici o le intubettatrici di pomata che viene versata nei contenitori con il cucchiaio. Solo chi ha la cittadinanza spagnola – perché la famiglia era iscritta all’anagrafe del paese colonizzatore – ha libertà di movimento.
SALEH ATTENDE L’INGRESSO IN UN NUOVO PERIODO DI PACE Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
GERMOGLI SUL CAMMINO DOPO UNA PIOGGIA NOTTURNA Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
Khalia è la più piccola della famiglia che mi ospita. Trascina eccitata i piedi nella sabbia umida dopo un acquazzone notturno. Ha trovato dei germogli e li custodisce, facendoli ingenuamente morire, sul palmo della mano, le cui grinze curve sembrano sorridere.
ALHAWA NON HA PAURA Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
Per l’ultima notte nel villaggio cambiamo casa e, forse, prospettiva. È già notte quando incontriamo Tawualo, che ha combattuto fino a dicembre nei gruppi di supporto dei militari; per lui è netta la differenza con chi non è mai andato al fronte. «Desiderare un conflitto significa non aver visto gli occhi dei prigionieri. Uccidere un fratello arabo è una debolezza. I marocchini pagano gli errori del governo e sono costretti alla guerra per comprare il pane, noi la stiamo facendo per tornare nella nostra terra, il Sahara Occidentale.» Sull’evoluzione della guerriglia, poi, come a rassicurare un’ampia platea presente e assorta, è ancora più categorico. «Voglio aspettare ancora un po’, voi siete le nostre palomas blancas della diplomazia. Le parole che porterete fuori da questa casa sono più forti e incisive della politica, che è malata. Rappresentate una medicina, una pasticca che rende consapevole alla reazione un corpo abbandonato. Prima di tornare nella stanza comune alza le braccia mimando una bilancia. «Sì, in questo momento siamo in bilico, tra una bandiera bianca e una mitraglia».
KHALIA E SID BRAHIM GIOCANO SU UNA CARCASSA DI MACCHINA Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
MARIA È AVVOLTA DAL SORRISO E DALL’ELZAM, IL TURBANTE DELLE DONNE SAHARAWI Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera
ALLENAMENTO DI BOXE NELLA PALESTRA “RESISTER Y VENCER”, ANCHE CENTRO DI PALLACANESTRO E PALLAVOLO PER DISABILI Algeria. provincia di Tindouf Campi profughi saharawi, daira di La Guera
RITRATTO DI KHALIA E LEILA, E L’INCERTA SOVRAPPOSIZIONE TRA GUERRA E DIPLOMAZIA Algeria. provincia di Tindouf Campi profughi saharawi, daira di La Guera
MATTINA LIBERA IN PORTA Algeria. Campi profughi saharawi, daira di La Guera