Fotografie di Irene Ferri
Testo di Marta Ciccolari Micaldi
Non esiste nessun altro posto al mondo che abbia in vendita un suo sogno. Non esiste il sogno italiano o quello thailandese o quello cileno: esiste il sogno americano. E basta. È a lui che guardano le aspettative del resto del mondo e anche quelle di chi ha avuto la fortuna di nascerci dentro, è a quel sogno che spesso rispondono gli sguardi e le emozioni di chi per la propria vita desidera realizzazione, entusiasmo, pace, futuro. E chi, peraltro, tutto questo non lo desidera? L’America è la terra promessa del nostro tempo secolare, è la bandiera nelle cui sacre stelle vediamo un cielo di infinite possibilità, nelle cui sacre strisce vediamo strade diritte e un orizzonte sconfinato. Lo vediamo fino a quando, a un certo punto, un punto che non possiamo prevedere né accogliere, non vediamo più niente. E il sogno diventa prima confusione, poi disillusione, infine – se si è abbastanza fortunati da non aver nel frattempo compromesso del tutto l’anima per comprare quel sogno sinistro – distacco. E così, forse, salvezza.
Succede a tutti oggi, in modi e gradi diversi. Soprattutto gradi di sincerità: c’è chi la realtà oltre al sogno si ostina a non volerla vedere mai nonostante ne viva l’irriducibile durezza, c’è chi per quella rivelazione arriva a togliersi la vita.
Ferri la sua storia americana di fascinazione e consapevolezza l’ha raccontata attraverso le fotografie di No Other Country but America, un progetto che raccoglie 10 anni di osservazione ed esperienza sul territorio e che ha come titolo proprio la sua urgenza, l’impulso di Irene ad andare negli Stati Uniti perché sarebbe stato impossibile pensare di realizzare il proprio sogno in qualsiasi altro Paese del mondo.
Nel 2013 Ferri si trasferisce a Los Angeles per studiare Cinematografia all’Università. Non ci vuole molto perché quel luna park che è l’America all’inizio di ogni storia – colore, dolcezza, icone, piscine, tramonti, movimento, pattini a rotelle: le prime fotografie di No Other Country but America – diventi qualcos’altro: una mattina scende dall’autobus a una fermata sbagliata e finisce a Skid Row, il lato oscuro della fabbrica dei sogni. Tendopoli, migliaia di persone senzatetto, moltissime in stato di alterazione mentale, sporcizia, violenza, oblio: uno spettacolo che non ha niente di hollywoodiano ma che con Hollywood condivide la stessa madre, come un figlio reietto. Una madre ipocrita di cui Ferri inizia a percepire delle somiglianze anche nei suoi compagni di corso: attori, registi, produttori venuti da tutto il mondo che sognano in grande ma che finiscono poi per consumare le proprie ambizioni nell’illusione, esattamente come le sigarette che spengono con noncuranza nella panna di una torta a una festa qualsiasi.
Più passa il tempo, meno per Ferri le cose stanno al loro posto, come un immenso pesce spada di plastica arenato sopra i frighi delle bibite. Non è soltanto la convivenza del sogno dorato accanto alla crisi umanitaria di chi vive per strada, ormai per lei per nulla invisibile: è l’ossessione di Los Angeles per il fitness, l’entertainment e poco altro. È la fatica di un lavoro durissimo che viene richiesto a chiunque abiti in città solo per poter vivere in mezzo alle palme e guardarle ogni mattina. È la confusione sinistra di vivere in un posto che non è come dovrebbe.
Ferri ha visto quello che spesso non si vuole vedere e, ora che ha visto, non può più non vedere. Ecco perché No Other Country but America inizia a cambiare tono e sguardo dalla fotografia centrale: Psychic è quella persona a cui ci si aggrappa quando non si ha più il controllo sulla propria realtà. Psychic rappresenta il passaggio a un’ombra non necessariamente maligna, ma un’ombra che si deve vedere, in cui bisogna stare, vivere. L’America, allora, agli occhi di Ferri diventa quella terra benedetta da cielo, ville color pastello, motel e palme che alimenta una feroce solitudine e nutre i desideri di molti ma non sa proteggere la dignità di tutti. E che, anzi, molti li manda in uniforme incontro alla morte. Quando Ferri lascia Los Angeles e comincia a visitare il Texas, l’Arizona, i parchi naturali, incontra infatti bandiere, bandiere e bandiere: un patriottismo sfrenato, che da un lato divora le vite dei soldati al fronte e dall’altro confina le persone native in riserve sostenute sì da una natura sublime ma poi, molto più nel concreto, da fatiscenti catene di fast food e neanche un supermercato.
Ferri lascia infine Los Angeles e gli Stati Uniti ma, incapace di un definitivo addio, continua a esplorarli da altre prospettive, a guardarli – persino – dalla lontananza delle sue nuove case nel mondo, a cercare di risolvere altrove un conflitto che tuttavia lei stessa coltiva ancora dentro di sé. Perché è questa l’eredità più autentica del sogno americano oggi: a un certo punto smettere di crederci. E tuttavia continuare a riviverlo. No Other Country but America è la migliore rappresentazione visiva contemporanea di ciò che lo scrittore Bret Easton Ellis aveva definito, parlando di Los Angeles e degli Stati Uniti, “luccicante nichilismo”.