
In che periodo hai lavorato al Bar Cuore?
Dal 2008-2009 fino al 2015
Ho divorato il tuo libro “Animali Notturni” ambientato in quel periodo. E’ un bellissimo ritratto della Milano di quegli anni, una città scomparsa, dove c’era una scena underground, con un forte senso di appartenenza. E’ qualcosa in cui mi sono ritrovato tantissimo.
Mi ricordo l’ansia di trovare il vestito giusto, voler appartenere al gruppo esteticamente, culturalmente, cercare di essere allineato il più possibile. C’era veramente la volontà anche di conoscere scene nuove.
Tutto ciò è stato spazzato via da Spotify… Essere parte di una scena musicale veniva influenzato dalla musica che ascoltavo, se mi vestivo in un certo modo è perché ascoltavo un certo tipo di artista che aveva un certo tipo di estetica. Quando andavo a comprarmi un disco investivo 30.000 lire, o 15 euro, in un cd che andavo a consumare di ascolti. Adesso è tutto un un fast food…
Da cosa hai iniziato a ascoltare musica?
Sono sempre stata una divoratrice di musica. Qui nel quartiere c’era un solo negozio di dischi, adesso c’è un’agenzia immobiliare, e io con i risparmi che mi dava la nonna stavo lì i pomeriggi, ascoltavo e compravo. Vendevano i giornali londinesi dove c’erano magari alcuni testi e alcune interviste, quindi se sapevi l’inglese riuscivi anche ad entrare un pochino in quell’immaginario là… il primo amore è stato il grunge, e da lì poi arrivando a Milano c’era tutta questa scena indie rock che stava arrivando dagli Stati Uniti ma soprattutto dall’Inghilterra, che iniziò a piacermi tantissimo, veramente tanto, mi appassionai un sacco. Gli Strokes per esempio, io mi ricordo i primi Strokes, “Is this it?”
I video musicali erano sacri, quando usciva un video tu stavi su MTV e aspettavi che lo passassero. Mi ricordo la prima volta che vidi il video di “Fuck Forever” dei Babyshambles, che era una cosa terrificante con un asino in un giardino girato probabilmente da un amico, però allora avevano così tanto stile, erano marci ma stilosi.
In quel periodo dal Rainbow al Plastic spingevano solo quella roba lì, c’era proprio una ricerca delle band più remote del globo che avessero quell’estetica lì, quelle sonorità, quelle tematiche
Non andavi per richiedere il pezzo che già conoscevi, andavi per scoprire qualcosa di nuovo.
E c’era ancora il dialogo col DJ, non c’era Shazam, cercavi sgomitando di raggiungere Dorian in console per chiedere “che cos’è questo pezzo?” ed era una roba fantastica. Mi ricordo le domeniche al Match a Paris da Guiducci che aveva sempre questa grande selezione di novità o di mashup incredibili, tipo “The Real Slim Shady” e “This Charming Man” mixati insieme, un capolavoro. Tutti ci chiedevamo come fare a trovarlo perché su Torrent non c’era. C’era proprio un’ansia della ricerca delle cose nuove.
Adesso la figura del dj che fa una selezione non è così importante. A meno che tu non vada a sentire Jamie XX…
Che comunque fa dei dj set per migliaia di persone… dei concerti
Adesso c’è quella moda delle star che fanno anche le dj, vai a vedere il personaggio non vai per la musica.

Anche YouTube ha un po’ ucciso certa fruizione della musica… soprattutto dei videoclip
Mi ricordo, da ragazzina forse le prime forme d’arte, di video making: Floria Sigismondi con i video da Marilyn Manson, quella cosa un po’ torbida, terribile, gotica, mi piaceva da morire, e da lì mi avvicinai a guardare un sacco di video musicali.
“Voodoo People” dei Prodigy, nel remix di Pendulum che poi è stato quello su cui hanno fatto il video, era pazzesco, era una citazione di questo film horror spagnolo dove dei mega ricchi prendevano dei poveri in canna e dei tossici e gli dicevano “voi adesso fate una corsa, quello che vince vince un sacco di soldi”, però la corsa era attraverso la città e loro erano bendati e non vedevano.
Lo scrivo anche nel libro, “Smack My Bitch” per me è stato un punto di svolta completa. Quella roba lì, quel frame finale la prima volta che lo vidi…
E’ bello perché si presta ad una visione multipla. La prima volta c’è l’effetto sorpresa. La seconda volta dici “adesso che so come finisce e mi concentro su altri aspetti” e noti tutti i significati che ci mettono. Non è un video fast food
L’anno scorso che è uscito il flop di Kanye West, dove c’era quel pezzo “Carnival”, è tutto un “mi scopo la tipa, la metto a novanta”. Cioè zio, ci sono modi più economici per farci sapere che a letto fai schifo. Mi dispiace, parlane con un terapeuta.
Non sono un amante dell’ostentazione di sesso, griffe e denaro, però c’è una scena, quella nord-africana, che apprezzo, io sono molto appassionato di Simba La Rue, lui e il suo producer sono geniali. Poi trovo sincero tutto quello che dice. Estremamente di rottura. Cringe e fastidioso per i benpensanti. E’ quello che faceva il punk. Una dissacrazione per il pensiero comune, per il politically correct. Più onesto della Dark Polo, che peraltro mi piace pure…
Si, Sick Luke è grande. Ha fatto delle bellissime robe.
E’ il mio guilty pleasure. Però a livello di testi, li trovo qualcosa di veramente fine a se stesso
Io penso che ci sia proprio una roba anche di classe, banalmente. Il rap, la trap,
nascono comunque da classi sociali o persone marginalizzate. Se sei di Roma Nord, che cazzo mi vuoi raccontare?
Ma sì certo, Trap deriva dalle trapper house di Atlanta, dove spacciavano
Cioè, cosa mi vuoi raccontare? Quale scalata sociale, quale rivoluzione verso il sistema, quale disagio? Che tuo padre ti dava 150 euro a settimana di paghetta? dai non è neanche credibile.
Le produzioni spesso sono la cosa che a me fa la differenza nella trap. Però è comunque qualcosa che mi rimane un po’ lontano, vengo da altro. Non che non lo ascolti… Se faccio una festa in casa, mi viene voglia di riprendere tutto l’archivio di Kitsuné, capito?
Penso anche che come in tutte le cose, ci sia un limite generazionale, che, sebbene diversifichi i miei ascolti, tante cose mi piacciono ma tante non riesco ad avvicinarle. Sto forse diventando vecchia? E ogni tanto quando vado a fare lezioni nelle scuole chiedo ai miei ragazzi di consigliarmi qualcosa. Non mi voglio arrendere al fatto di diventare vecchia e continuare ad ascoltare solo gli Strokes anche a 70 anni…
Quando avevo 17 anni e ascoltavo Joni Mitchell dicevo “ma che cos’è sta roba da vecchi?” Ora la amo alla follia


Parliamo dei tuoi anni milanesi ai tempi di Animali Notturni
Ero in un giro abbastanza hardcore, ma era la normalità.
Tutte le persone che conoscevo, vedevo o frequentavano i posti che frequentavo io, non erano lucide. C’è stata un’invasione della droga intorno al 2010-2013
In quel periodo c’è stata l’esplosione della cocaina
Che dall’Hollywood e da Corso Como esce e invade tutto il resto della città. Quella della gintoneria non è sicuramente una novità, Milano è così dagli anni ‘70 in cui nascono gli strip club, donne, cocaina e gente che sciabola champagne, ci sono sempre stati. Il Nepentha penso sia un esempio classico di questo fenomeno, ma una quindicina di anni fa la cocaina esce proprio da quell’ambiente e arriva ovunque, anche tra i pezzenti. Ad un certo punto spacciavano tutti. Nei primi 2000 o fine anni 90, c’erano le canne, e poi boom. Ogni locale aveva almeno due o tre pusher dentro.
Ho letto il tuo libro e “Milano di Merda” un romanzo sul mondo dell’eroina ad inizio millennio. Due bellissimi ritratti di Milano in due decadi diverse. Io mi trovo a metà strada, più sulla scena rave.
Mi ha molto colpito ritrovare queste facce che conoscevo. Iave, il fotografo per esempio
Aveva un negozio di bici, faceva le foto, adesso i tatuaggi… Un sacco di gente di quella generazione è stata iper-camaleontica a Milano. Ho visto cambiare iter a mille persone e farcela, perché appunto il senso di adattabilità, l’adattamento, era molto forte. Gente che non aveva mai un posto fisso nonostante gli studi… Alla fine dovevi sapere fare un po’ tutto. E I soldi erano pochi.

Invece le generazioni precedenti si compravano la casa dopo qualche anno di lavoro
Capito?!? E facevano davvero quello per cui avevano studiato. Io non conosco una persona che lavori in un ambito per cui ha studiato. Al massimo hanno fatto corsi di aggiornamento o preparazioni o concorsi.
Ciellini della Cattolica o bocconiani che fanno master costosissimi
Pagano talmente tanto che figurati se non gli trovano qualcosa…
Era tutto un’improvvisazione, per molti ha funzionato, per molti no. Sicuramente abbiamo vissuto proprio per questo un’infinita adolescenza e post-adolescenza. Senza la certezza, continuando a vivere con i coinquilini a trenta-quarant’anni. Che devi fare? Pensare alla famiglia, pensare al fondo pensione? Non sai nemmeno se ti rinnoveranno il contratto il mese dopo.
E ci chiamavano “bamboccioni”, in realtà ci facevamo un bucio di culo che era il triplo, e alla fine il nostro stile di vita non poteva sicuramente essere uguale a quello dei nostri genitori, a livello economico, ma anche psicologico, poiché non avevamo la sicurezza. Senza sicurezza rimani in un limbo che è post-adolescenziale e fatichi a creare qualsiasi stabilità intorno a te.
Io mi sento diciottenne… secondo me questo periodo storico porta le persone anche ad invecchiare molto meno, anche fisicamente.
Non uso Tik Tok perché banalmente non so montare i video, però la sera magari mi metto mezz’ora a vedere cosa succede nel mondo dei giovani, e c’è questa questa specie di trend dove la generazione Z si chiede “perché sembriamo molto più vecchi dei Millennial?”. Noi Millennial sembra che ci siamo conservati meglio, non so se sia stata la droga o l’alcool, che alla fine è un conservante. Sembriamo la generazione “più giovane” anche di quella successiva. Tra i nostri genitori e noi c’è comunque uno stacco gigantesco perché loro sembravano vecchi già a 30 anni.
Forse è proprio la capacità di adattamento, il fatto di essere sempre sballottati, in movimento. L’ansia… ti mantiene una pallina del flipper.


Ma questi Gen. Z.? Hanno questa visione bianco e nero che per certe cose invidio.
Spesso nella fotografia mi incazzo con i ragazzini che accettano delle condizioni veramente assurde. Ad esempio, quando devo fare la copertina per un determinato artista faccio un budget ragionevolissimo, mi viene chiesto di abbassarlo, e se mi piace l’artista accetto… Se alla fine non lo faccio scopro che l’ha fatto un ventenne per un quarto.
Funzionava così anche nel giornalismo ai tempi di Vice, all’inizio ti chiedevano di proporre dieci titoli che potevano essere i tuoi futuri articoli. I primi cinque non venivano pagati. Se piacevano alla redazione poi venivi presa e iniziavi, 20 euro a pezzo.
Un sacco di gente diceva “Lo faccio per la visibilità”, ma quale? Siamo talmente tanti che per emergere devi fare un’inchiesta come Erin Brockovich! Infatti, tant’è che da quel mondo lì solo Tea Hacic è uscita, una su mille.
Sull’arte fotografica magari è più facile. Sui pezzi non sai spesso chi te l’ha scritto, lo leggi arrivi alla fine e dici “carino” e vai a quello dopo, deve essere davvero una roba di impatto. Quindi questa cosa della visibilità nel mio settore la usano anche molte case editrice minori, persone bravissime che conosco che poi vengono a me a dirmi “ho scritto questo libro, esce e non mi hanno dato soldi, però prendo una piccola percentuale delle vendite”, senza aver avuto un anticipo. Di cosa hai vissuto mentre scrivevi? E’ un hobby?!?
Pensa che a livello fotografico ti va bene se il tuo libro non lo paghi
Eh certo, abbiamo anche in editoria l’auto finanziamento
Sono stato fortunato che per I miei libri non ho mai messo niente, però ho amici fotografi bravissimi che hanno pagato di tasca loro per pubblicare, poi si prendono una percentuale. Se va bene e fanno un sold out, vanno in pari.

A livello di letteratura qual è stata la scintilla che ti ha fatto dire “Io inizio a scrivere”?…
Io ho sempre scritto. Avevo due idee da bambina: scrivere o fare la direttrice d’orchestra. Dopo la scuola andavo da una maestra di pianoforte. A casa ascoltavo queste audio cassette del mio babbo con delle sinfonie, e mi piaceva isolare i vari strumenti o i vari gruppi di strumenti, anche nelle canzoni mi piace sentire ogni linea.
Mi piaceva l’idea che il direttore d’orchestra fosse il lavoro più complesso di tutti. Devi sapere tutti gli spartiti, e percepire la singolarità di ogni parte d’orchestra. Poi mi son ovviamente persa, crescendo ho smesso di fare pianoforte, e mi sono spostata a Milano…
Però ho sempre voluto scrivere, mi piaceva. Passavo le ore a farlo e, arrivata a Milano, c’erano questi giornali, GQ, Playboy, Vice, che mi chiedevano ogni tanto un pezzo. L’ho tenuto come “hobby” perché non potevi farci un lavoro, al mese prendevi 200 euro, se ti andava bene… Poi la cosa si è sviluppata. Con Playboy la rubrica di sesso che io tenevo iniziava a girare anche a editori. Quindi vengo attenzionata da quella che poi diventerà la mia editor per Rizzoli per il primo libro. Mi seguiva sui social dove avevo già iniziato a fare un po’ di decostruzione della società patriarcale, e scrivevo un sacco di robe contro la violenza maschile contro le donne.
Quando tutto il mondo si ferma durante il lockdown, io avevo negli archivi non so quanti racconti, bozze di romanzi abbandonati… Mi contatta Paola Beretta di Rizzoli e mi fa “è il momento, te la senti di scrivere un saggio per giovani adulti?”.
Lo scopo era appunto quello di entrare nelle scuole, e per fortuna è stato adottato da molti istituti come libro, ne sono molto contenta.
E da lì apriti cielo! Non me l’aspettavo, io facevo un altro lavoro, nell’arte contemporanea collaboravo con il figlio di Roberto Cavalli che aveva questo collettivo di artisti. Facevo ufficio stampa, comunicazioni, un po’ di tutto, anche pubbliche relazioni. Me la cavo molto bene a chiacchierare con le persone, specialmente in inglese che era il nostro mercato principale. Quindi mi ritrovo catapultata in questa cosa che mi assorbe totalmente. L’arte contemporanea purtroppo si ferma e muore con il lockdown, io per un anno non avevo assolutamente più lavori, e quindi mi dedico a tempo pieno alla scrittura, perché dopo quel libro lì iniziano a scrivermi giornali, altre case editrici, festival letterari e diventa un’occupazione a tempo pieno.
Senza la perdita del lavoro durante il lockdown probabilmente questo libro l’avrei scritto tra dieci anni, invece è successo proprio nel momento in cui meno mi aspettavo potesse succedere.
Hai tantissima roba in cantiere?
Sì, ad esempio ho un’altra raccolta di racconti che vorrei scrivere, “uomini che non ho mai amato” con tante storie folli di uomini. Quello sarebbe molto figo.
Io mi sono appassionata alla letteratura ancora di più con Carver, con i racconti brevi e quindi ho archivi e archivi di piccoli racconti. Poi è andata verso la saggistica, che mi piace molto, è quasi matematica. Tu hai una tesi e devi portare tutti i numeri per fare quell’equazione lì, e ti spinge, se fatta bene, a inventare nuova teoria, specialmente all’interno del femminismo.
Il femminismo negli ultimi dieci anni è molto fermo, stiamo tutte ripetendo la stessa lezioncina per dimostrare di essere brave, e questa cosa è terribile. Sono poche le nuove teorie che stanno uscendo, mi piacerebbe potermi fermare e scrivere qualcosa che abbia a che fare con il momento storico, basandomi sulle nuove scoperte degli studi di genere. E’ uno stimolo.
Però il grande amore è la narrativa. Ti devasta. Quando dovevo scrivere “Animali notturni” volevo morire. L’approccio alla narrativa è deflagrante, sei posseduto, è una possessione demoniaca quella che hai con i tuoi personaggi.

E’ un libro molto personale, le persone sono vere.
Per esempio il personaggio di Michele, che nella prima bozza infatti si chiama col suo vero nome Francis, è ispirato a un mio amico, gli ho dato le sue fattezze estetiche, Fisicamente dovevo immaginarlo in qualche modo, quindi sapevo come si muoveva, in modo molto meccanico, con le gambe molto magre, questo ciuffo perfetto. Su quello potevo costruirci un personaggio inventato.
Il tuo libro è molto cinematografico, si vede che è qualcosa che hai visto, che hai avuto un’esperienza diretta con queste persone.
L’unico personaggio che non esiste è Mon Chéri. Io mi ricordo questo nome perché avevo tra i clienti del bar questa ragazza che faceva la stripper, di cui non ricordo il volto, si parla di tantissimi anni fa.
Lei non ci ha mai detto il suo vero nome o forse ce l’ha detto e io me lo sono dimenticato. Si presentava come Mon Chéri perché lavorava all’Extasià, e molti dei miei clienti la conoscevano.
Questo nome continuava a tornarmi in mente. e io continuavo a dire anche ai miei amici “prima o poi lo uso in un libro”. Il suo personaggio nasce per caso, non doveva nemmeno esistere.
Nella terza parte. Quindi lei è completamente inventata? Non l’avrei detto
Lei è completamente inventata. All’inizio non doveva neanche esistere. Nella struttura, dovevano essere due personaggi che si incontravano nella terza parte, senza l’escamotage di un terzo personaggio. Però non mi tornava, era troppo meccanico e troppo brusco. Volevo dare anche quella sorta di straniamento al lettore, cioè ricominci la terza parte e dici “mo chi cazzo è questa?”
Lei parla in prima persona al tempo passato però. è come se fosse uscita e vedesse con lucidità, con la maturità tutto quello che i primi due personaggi invece non possono vedere, perché stanno vivendo in quel momento lì.
Lei è un po’ il grillo parlante, che però alla fine non è grillo perché rimane incastrata in quella dicotomia del “per stare nel mio personaggio sono disposta a tutto”. Mi serviva questo escamotage, far tornare indietro, far vedere un altro spezzone, un’altra parte ancora, quella degli strip club, delle ragazze che lavoravano nei club di Milano, che frequentavano moltissimo il bar Cuore.
Infatti per la consulenza ho chiamato una mia amica che ha lavorato tanti anni in uno strip club di Milano per chiederle come funzionasse. Quindi ho costruito Mon Cherie, ed è il mio personaggio preferito.
Hai avuto un approccio quasi giornalistico a questo libro
Sì. Per la stesura io ho fatto proprio indagini con persone del movimento No TAV, gli ultimi politicizzati nel nord Italia in quegli anni. Sono andata su più volte in Val di Susa, torno spesso su a trovarli.
Ho intervistato uno psichiatra e una psicologa per capire i dati che avevo trovato sui suicidi a Milano nel 2011, i più alti in Italia in quella decade. Molti nella stessa modalità. Mi diceva che il suicidio delle persone che si buttano dal palazzo è come un urto, devi vomitare, non hai una via di fuga. Il tutto parte da un’indagine su cui poi ho costruito la storia.
Volevo che si fondasse su una base molto reale, molto concreta.
Mi serviva anche per dare un pochino di senso al personaggio di G, che in realtà è J, perché si chiamava Jacopo ed è realmente esistito. Era un nostro amico che nel 2011 si suicida alla fine di una festa a casa sua, e si butta nella tromba delle scale. Mi sono chiesta per anni “perché dentro e non fuori?”. La stanza si affacciava su un giardino.

Se ti vuoi suicidare non è più sicuro buttarti in un posto dove sai che comunque cadi…
Io l’ho interpretata in due modi. Ho avuto la presunzione di ribaltare la teoria di Kassovitz, che il problema è proprio la caduta, non l’atterraggio, sbattendo la testa non ti rendi conto che stai cadendo. E poi forse perché la tromba delle scale è buia. Ti ammazzi nel buio, non nella luce.
In un certo senso anche per una forma di privacy
Sì, e poi perché gli animali notturni non hanno paura del buio
Conosciamo bene la sensazione di quando iniziano a cantare gli uccellini, e la luce dell’alba è la cosa più spaventosa del mondo
Lo scontro con la vita normale, quando magari esci da un club alle 6 del mattino e stai andando verso l’after e ti trovi vomitato in un altro mondo, con la gente che va a lavoro, o che va a correre.
E’ distopico, due mondi che non si incrociano mai.
Non volersi buttare nella luce perché il buio è più rassicurante, non ti giudica.
Devo dire che adesso io ho una grande passione per la mattina
Io anche, io esco la mattina presto, vado a correre, sto fuori la mattina, faccio delle commissioni, rientro verso le 10 e lavoro. La sera vado a dormire alle 10, dopo le 10 e mezza muoio.
Questa parte di Firenze, penso sia più adatta a questo stile di vita rispetto a Milano.
Sì assolutamente, anche perché qua sei in collina, sali a San Domenico in un chilometro e sei nei campi, sei proprio in mezzo alla natura. Tutto intorno i giardini, lo stadio, le scuole, cioè non c’è nessuno in giro perché appunto sono tutti anziani o a fare la spesa o tutti chiusi a scuola perché sono bambini e te la godi ecco, è proprio una cosa molto lontana da Milano.
Come mai te ne sei andata da Milano?
Due motivi principali. Il primo è che ormai lavoravo per pagare l’affitto, e a volte non mi bastavano i soldi per le bollette o per fare la spesa. In più non potevo permettermi di vivere troppo lontano dal posto in cui lavoravo, staccando alle 4 del mattino… stavo in San Gottardo e lì le case avevano già un prezzo fuori di testa, per un monolocale con una piccola finestrella con i piedi nel forno, pagavi 1000 euro. Non trovavi già più niente, c’era la NABA che ormai stava monopolizzando un po’ tutto e quindi era massacrante. Lascio la casa per trasferirmi a casa del mio allora compagno, che poi è stata la mia relazione abusante con un uomo violento. Dopo un anno in cui ho preso botte, scappo. Era la notte tra il 29 e il 30 di maggio quindi c’erano tutte le finestre aperte. I vicini chiamano la polizia, arrivano i carabinieri alle 4 del mattino e io chiamo mia madre con cui in quel periodo non avevo grandi rapporti. I miei genitori non condividevano le mie scelte, avevamo stili di vita diversi, io vivevo di notte, loro di giorno. E poi perché, nelle relazioni abusanti, l’abusante tende a isolarti anche dalla famiglia. Per un anno ho sentito veramente molto poco i miei genitori, e quella notte io ho chiamato mia madre alle 4 del mattino. Questa donna che si sveglia e sente me, con la polizia e le sirene in sottofondo, e dice “oddio che cazzo è successo”. Due giorni dopo era a Milano a riempire tutta la macchina di tutte le mie cose e non mi sono mai più guardata indietro. Sono tornata giù e sono tornata per un periodo a vivere nella stanzetta di quando ero bambina. Poi ho trovato un piccolo monolocale, qua i prezzi erano ancora accessibili, e per fortuna stavo iniziando già a lavorare per il figlio di Cavalli. Quindi ho avuto anche la fortuna di trovare un lavoro e piano piano ho ricostruito una vita qua ripartendo da zero, riabituandomi al ritmo diurno, anche quello all’inizio è stato un incubo. E’ stato come tornare da 10 anni in cui tu hai vissuto a Tokyo, è proprio un’altra roba. Quello è stato il primo impatto ed è stato piuttosto interessante. E’ stato bello, faticoso ricostruire tutto, però anche molto affascinante scoprire che la vita poteva essere diversa, ricominciare proprio a scoprire chi sei alla luce del sole, banalmente.
Una sliding doors, a volte mi chiedo se non avessi mai incontrato l’uomo, che è brutto da dire, l’uomo che mi ha menata per un anno, io che cosa farei adesso? Probabilmente avrei accettato, perché mi arrivò poco prima dell’ultimo episodio violento, la proposta di Daniele Cavalli. Ma avrei avuto la stessa vita, sarei rimasta a lavorare a Milano o sarei tornata a Firenze? Quindi banalmente mi chiedo: chi sarei stata? che potevo diventare?

E’ stata un “blessing in disguise”
E’ stato tutto molto facilitato dalla presenza dei miei genitori, con cui ho un rapporto meraviglioso adesso, sono stati fondamentali. Per i primi mesi non mi alzavo neanche dal letto, era proprio una questione di ricominciare a capire chi fossi. Quindi ho avuto anche il tempo e la cura dell’ambiente che mi circondava per potermi rendere conto di chi fossi senza fretta, senza l’ansia della pressione. Non mi volevano buttare fuori di casa subito, mi hanno dato il tempo “resta nella tua cameretta quanto vuoi, una bocca in più da sfamare non sarà quello che ci manderà in rovina”. E quindi ho avuto proprio questo tempo per fare tutto al meglio delle capacità, che non mi era mai successo prima. Per me era una novità avere tempo per fare le cose, per decidere come farle. Quindi fondamentalmente la mia vita è stata segnata dalle cose più tragiche che alla fine hanno avuto un risvolto positivo. Il covid e le botte.
Fondamentalmente dalle cose peggiori sono nate poi delle cose inaspettate.
Non so se è resilienza o incoscienza o adattamento
E’ stata la prima volta per te che hai vissuto una relazione in questo modo?
La prima volta
Quindi un “out of the blue”, prolungato però
Prima e unica, tra l’altro io già scrivevo per GQ, scrivevo di temi protofemministi, di stereotipi di genere. E quindi per me, col senno di poi quando esco da questa relazione, ho detto “ma vedi che sei stata cretina?”. Perché la prima cosa è autocolpevolizzarsi, “i segnali c’erano, evidentemente non li hai visti”. Perché? Perché al tempo non si parlava ancora di violenza di genere, parliamo di 2015-2016, io vengo via nel 2016 per sempre da Milano. Fondamentalmente se ne parlava molto poco e in ambienti molto ristretti, più politicizzati. Mi ricordo che la prima volta che mi resi conto di avere un problema fu grazie a una mia amica, Ludovica, che mi girò un articolo su Facebook, che parlava di narcisismo. Perché al tempo tutto ciò che era violenza lo declinavamo sotto la patologia del narcisismo, e non sotto un problema culturale più esteso, però in questi caratteri io riscontravo tutto quello che stavo vivendo, cioè una situazione violenta e manipolatoria di quasi segregazione. Io non potevo uscire di casa, poi dovevo abbandonare il lavoro, tanto ci pensava lui. Lui usciva per andare a lavoro, stavamo al pian terreno, e c’erano le grate alle finestre che erano sempre chiuse; lui però usciva chiudendo la porta di casa. Nella casa non c’erano chiavi nelle toppe delle porte, quindi io non avevo mai privacy neanche in bagno. Lui contava gli strappi della carta igienica che usavo, pensa te.
Era una specie di prigionia, a cui tu ti abitui. Io mi rendo conto che culturalmente, purtroppo, siamo ancora in quella fase per cui possiamo abituarci a tutto, e non è una questione di genere, anche gli uomini spesso riescono a rimanere in delle situazioni psicologicamente abusanti da parte delle donne, perché secondo noi c’è questa idea di amore che può essere disposta a tutto, alla romanticizzazione suprema. E questa cosa ti porta a perdere la bussola.
Il narcisismo comunque è un po’ più maschile
Sì, come la componente borderline è più femminile.
Sono due aspetti dei cluster B che sono interessanti, perché hanno molto a che vedere con la cultura e con il genere di appartenenza. L’uomo ha sicuramente molta più probabilità di diventare un cluster B di tipo narcisista rispetto a una donna. Anzi, il possesso sulle cose e sulle persone ti gratifica, e questa è la base fondamentale della cultura patriarcale.

Quanto tempo ci hai messo tu ad accorgerti della gravità di questa situazione?
Un po’, perché i primi mesi, come in tutte le relazioni abusanti, sono d’idillio, è tutto molto veloce all’inizio. Tant’è che le donne nelle relazioni violente rimangono invischiate proprio perché sembrano le storie della Disney, cioè arriva questo che si dipinge come un principe azzurro, ti fa un sacco di regali e attenzioni, dichiarazioni d’amore dopo tre settimane. La proposta di andare a vivere insieme arrivò dopo un mese e mezzo.
Capisci che è tutto molto intenso, molto veloce, un love bombing fatto molto bene.
Rimani un po’ frastornata perché ti hanno sempre raccontato che l’amore è quella roba lì. E invece un cazzo.
Quindi ci ho messo qualche mese. In realtà il primo tentato strangolamento è arrivato dopo quattro mesi, però ero già in una situazione in cui non solo ero dipendente da questa persona a livello affettivo. Soprattutto era molto bravo, come tutti gli uomini violenti, a chiedere perdono. C’è la fase della luna di miele subito dopo e quindi tu dici “ah vedi allora è stato solo un momento”
La passione dopo la lite
Esattamente, la fase della luna di miele nelle relazioni violente. I vari stadi sono: fattore scatenante, esacerbazione, manifestazione della violenza, richiesta di perdono, ritorno alla luna di miele. La fase della luna di miele ogni volta che lui alza le mani diventa sempre più corta, fino a sparire. E quindi tu ti ritrovi in una situazione che è solo violenza, e a quel punto capisci. E’ un po’ come con le cavie di laboratorio, non hai più il momento in cui ti danno lo zuccherino, o l’acqua con la cocaina che davano ai topi per farli rimanere in cattività.
A quel punto ti rendi conto che è solo tortura.
Io iniziai a parlare con degli amici, lui era riuscito a prendere non so come le password di facebook e non me ne ero accorta. Infatti quella sera lì lui vide che io mi stavo accordando con due amici di Bologna per scappare. Loro dovevano passare per fare un concerto in città a Milano, e io cercavo con una scusa di prendere il gatto e scappare via con loro. Però lui quel giorno torna a casa prima, era una iena, aveva capito che io non volevo più stare lì e non aveva più potere su di me.
Però non ti aveva fatto capire di averlo capito?
L’ho capito quella sera. Anche lui lavorava ovviamente di notte come bartender, e sento girare la chiave della toppa alle nove e mezza di sera. Era appena iniziato il turno, post aperitivo, e lui aveva finto di star male. E’ tornato a casa, io ero a letto a guardare la televisione, mi ha presa per i piedi e trascinata. Botte, pugni, calci nella schiena, strangolamento. Per fortuna poi lui si ferma, lite che va avanti tutta la notte, ricomincia e i vicini chiamano la polizia. E quella roba lì lui mi disse “te dove vuoi cazzo andare, questi chi cazzo sono, io ti ammazzo” e lì ho capito che lui mi stava controllando da chissà quanto tempo. Lui stava leggendo in diretta i miei piani di fuga
E’ stato l’unico rapporto di questo tipo che hai avuto?
Sì, è stato l’unico rapporto che ho avuto così. In passato avevo avuto due relazioni lunghe, una molto bella appena arrivata a Milano con una persona che lavorava per il Rocket, per il Plastic e organizzava concerti, durata tre anni e mezzo. Poi dopo qualche mese di stacco, mi fidanzo con questo ragazzo che faceva parte della crew di Reset, marginalmente. Con lui anche ho avuto una ottima relazione, poi finisce perché finisce, non eravamo più innamorati, io non ero più innamorata, eravamo diventati fratello e sorella, anche perché lui lavorava di giorno e io di notte, quando ti vedi? Io tornavo a letto e lui dopo un’ora si alzava, capito, era una situazione veramente strana, dove io lavoravo e lui veniva ubriacarsi al bar.
Fondamentalmente non ho mai avuto relazioni violente, anzi erano state tutte relazioni molto sane, e forse proprio perché sane, lente e molto mature, precocemente mature anche per la mia età, a vent’anni ero già in una relazione piuttosto seria, quei fuochi d’artificio mi sembravano… amore.
Quando una donna subisce una relazione di questo tipo, una violenza di questo tipo, nei centri antiviolenza le psicologhe agiscono proprio su questo bias che la donna acquisisce, ovvero cercare di decostruire questo avvicinamento al love bombing, perché sennò il pattern che le rimarrà è ricercare sempre quella scintilla, e quindi potenzialmente un’altro abusante.
E’ un po’ come gli animali che vengono tenuti in gabbia, il trauma ti addomestica a quel tipo di rapporto. Impari a elemosinare forme di amore che non sono tali. La decostruzione dopo il trauma è forse la parte più impegnativa che si porta avanti nella gestione delle persone “survivor”, ed è importante perché altrimenti tantissime donne, che magari non hanno avuto un percorso terapeutico adeguato, finiscono per trovare un’altra persona abusante. Ne conosco purtroppo tante di storie di questo tipo. Quella che Corona chiamerebbe adrenalina pura in realtà è violenza.

Sicuramente colpa della società patriarcale, ma anche le religioni non sono esenti
Assolutamente, anche perché la devozione è un concetto molto religioso. Ti faccio questo esempio: La caduta dell’impero romano, che coincide con l’arrivo dei popoli germanici, coincide anche con l’avvento del cristianesimo, che è una botta per il genere femminile e tutte le categorie allora marginalizzate. I costumi che c’erano durante l’impero romano, a livello di morale, erano eccezionali. C’erano libertà per le donne che sono state poi impensabili per i successivi mille e cinquecento anni.
Costantino ha convertito i romani alla religione cattolica attorno al 300.
E’ fino alla fine del 1800 con il femminismo dell’uguaglianza, che iniziamo ad avere qualche banale libertà in più. L’idea del romanticismo, di nuovo l’amore romantico che si rifà allo stil novo, le aveva fregate di nuovo. Fin quando non entrano nelle fabbriche, diventano forza lavoro e allora hanno un valore per la società e possono rivendicare qualcosa. Prima il cattolicesimo ha devastato un continente intero
Io sono indeciso tra l’agnosticismo e l’ateismo, sebbene la prima cosa che faccio quando ho del tempo libero in una nuova città, sia visitare una chiesa. Ho una passione per tutto ciò che è sacro, l’arte sacra, la musica sacra… A parte la religione che non reputo tale
Sì anch’io amo l’arte sacra pur essendo completamente atea. Non credo né in Babbo Natale né in Gesù, li metto sullo stesso piano, non credo nel karma, non credo nella fortuna, credo semplicemente nello spazio-tempo e quindi nella precipitazione degli eventi. Però proprio da questo punto di vista per me la religione è ancora più affascinante perché a livello antropologico ti fa capire moltissime cose… dinamiche sociali, culturali e politiche. Pur sempre l’oppio dei popoli: “abbiamo una promessa per voi, se agirete bene poi ci sarà un futuro”.
L’etica retributiva tratta le persone come i bambini. Fai questa cosa perché ti do la caramella. Dobbiamo apprezzare la vita perché ci piace fare ciò che facciamo
Se ci pensi, questa forma di controllo è anche la minaccia migliore per poter controllare intere categorie di persone. Le donne e i costumi, le donne e l’aborto, le donne e il divorzio.
I preti non si possono sposare perché è un attimo che un Papa faccia un figlio e questo sperperi tutto il patrimonio della Chiesa cominciando a farsi le pere o giocando al casinò
Che sarebbe la prima cosa che farei se fossi figlia di un papa
Assolutamente! La religione cattolica, tra tutte, è la più furba
E’ stata quella che si è rivenduta meglio dopo millenni sanguinari
Il capitalismo è frutto della politica espansionistica delle crociate.
Il colonialismo è figlio del cristianesimo.
Wojtyla in piena epidemia dell’AIDS ha ostacolato I missionari nella distribuzione dei preservativi, facendo più morti di Hitler e Stalin messi assieme.
Sei battezzata?
Sono battezzata, ma poi non ho fatto più niente
Io stavo pensando di andare a sbattezzarmi
Noi facciamo parte della percentuale che contribuiscono a far sì che la religione cristiana sia la più diffusa nel mondo
Dobbiamo sbattezzarci.
Quando l’ho detto a mia mamma, si è fatta il segno della croce.
Parte della mia famiglia è maremmana, una parola e una bestemmia, siamo la cosa più lontana a Cristo che possa esistere. Anzi forse gli siamo vicini perché gliele lanciamo tutti i giorni. La mia è una famiglia che è stata sempre molto critica, anticlericale. Completamente
Io vengo da una famiglia piccolo-borghese-middle class, appartenente a quel concetto veneto di “portiamolo a messa fino a che non fa la cresima e poi fa quello che vuole”.
Non praticano sebbene abbiano fatto tutti gli step di rito per potersi sposare in chiesa… e divorziare 3 anni dopo…

C’è ancora tanto in Veneto questa cosa del cristianesimo di forma.
I toscani sono molto più anticlericali rispetto a noi.
Noi siamo completamente anticlericali. Siamo ghibellini, non siamo guelfi. Questa cosa ci è rimasta tantissimo.
E questa cosa la senti. Non ho mai visto una persona della mia età entrare in una chiesa e farsi il segno della croce, ad esempio. Cosa che invece mi succede con amici di altre parti. E gli faccio “Ma perché?” “Eh no, perché mi hanno sempre insegnato così, ma io non credo”.
Ti racconto una cosa. Io e il mio fidanzato siamo due persone completamente tatuate, lui ha anche questa corona di filo spinato che sembra la corona di spine. Andiamo in un posto esotico per noi: ad Assisi dopo Natale per vedere cosa succede. E lì è un business. E’ pazzesco. Ci sono pullman, tour, persone, negozi. La gente che vedeva questa tatuaggio pensava che fosse in onore di Gesù… è stato bellissimo…
E voi ve la siete venduta come “sì!”
Certo, ovviamente, con la faccia di culo che ci ritroviamo. Certo che sì, ma assolutamente. Quello è stato geniale. Che poi sono le stesse persone che invece l’estate mi vedono per strada e si fanno il segno della croce.
Cos’è che hai visto di bello al cinema ultimamente?
Ma guarda, recentemente penso che l’ultima cosa che ho visto, visto che ho avuto molto poco tempo, è The Substance.
Ah, come ti è sembrato?
Esteticamente un capolavoro, citazionismo a livello incredibile. Molto camp, molto figo. Anche se questo potere rivoluzionario femminista non lo vedo, ma come non l’ho visto in Barbie. Io credo che Barbie sia il più grande insulto. Anzi, la Mattel ha fatto un’opera di marketing incredibile.
Film irritante, che è molto peggio del brutto. I brutti film li sopporto, quelli irritanti proprio no.
Io ti giuro, ero imbarazzata, perché con tante compagne femministe si parlava solo di Barbie, quindi vado a vederlo. Io ti giuro, a metà film non ci credevo…. Cioè noi stiamo pensando che questa roba qua sia rivoluzionaria??
È una grandissima presa per il culo. Trovo assurdo che l’abbia fatto Greta Gerwig, che a me piace molto. Da “Piccole donne”, a “Francis Ha”, “Lady Bird”. Sono rimasto proprio scioccato da come siano riusciti a comprarle l’anima…
Il potere dei soldi. Prendi anche la regista di ”Saltburn”, che è quella che ha fatto “Promising Young Woman”, che è un capolavoro.
Promising Young Woman” è bellissimo, “Saltburn” è terribile.
Bene, facciamo le foto?
Va bene.