Buongiorno Direttore!
Una rubrica a cura di Mario Zanaria
Intervista di Sebastiano Leddi
Fotografie di Mario Zanaria
Con Francesca Ragazzi, Head of Editorial Content di Vogue Italia
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Come si diventa Direttrice di Vogue Italia e in che modo è cambiata la percezione su di te nel mondo della moda e nella tua vita di tutti i giorni?
Con passione e mantenendo sempre viva la curiosità per tutte le cose che riguardano la vita. Perché la moda non è altro che “cosa viva”, i gusti delle persone, gli stili del fare, cosa guardiamo, come decidiamo di presentarci al mondo. Vivo il lavorare per Vogue Italia come un grande privilegio ma cerco di rimanere Francesca e presentarmi al mio settore sempre per chi sono veramente, senza l’etichetta del mestiere. Con i sogni si vola sempre altissimo ma nella vita di tutti i giorni piedi per terra e tanto lavoro, soprattutto ora che sono diventata mamma.
Vogue Italia è un’icona della moda. Come fai a conciliare questa eredità con la necessità di portare una ventata d’aria fresca e innovare l’immagine e i linguaggi del magazine?
Con la forza delle mie idee e usando la creatività. La missione è tradurre il linguaggio della cultura e della moda in esperienze multisensoriali, visive, testuali, fotografiche, sonore che sono radicalmente cambiate perché sono radicalmente cambiate le priorità, l’emotività e i codici della nuova generazione di consumatori. Non si può più parlare solo di rivista mensile: questa definizione vale solo per l’edizione cartacea, che resta e rimane preziosa, ma nel complesso operiamo come una vera e propria newsroom quotidiana attraverso tutte le piattaforme digitali (sito, Instagram, TikTok, Whatsapp, Threads, Youtube etc). In ogni caso, al di là dei vari contenitori, quello che conta è il contenuto e i valori del nostro brand, per cui io mi definisco semplicemente “il guardiano del faro”. Il mio compito è traghettare Vogue Italia nel futuro facendolo rimanere rilevante, ma soprattutto vivo, un luogo in fermento dove c’è rumore, nuovi progetti, entusiasmo e interazione con il nostro pubblico.
Siete sempre stati all’avanguardia. Come vedi l’evoluzione della moda sostenibile e che ruolo potete avere in questo cambiamento?
Il nostro obiettivo è comunicare dando spazio e mettendo in evidenza le scelte responsabili dei brand, guidando anche la divulgazione in materia di moda sostenibile. Per questo abbiamo lanciato qualche anno fa “Il Glossario della moda sostenibile di Condé Nast”. Un progetto importante, realizzato con il Centre for Sustainable Fashion (CSF) del London College of Fashion, per offrire una risorsa globale autorevole per comprendere la moda sostenibile e il ruolo della fashion industry nell’emergenza climatica. Attualmente stiamo guardando con attenzione anche il settore del vintage, non tanto come alternativa all’acquisto del nuovo ma come scelta di investire su capi che rimarranno per sempre. Personalmente questa è la strada della moda sostenibile in cui mi riconosco.
La moda ama autodefinirsi sempre inclusiva, ma il lusso non è certamente alla portata di tutti. Un tempo si faceva dell’esclusività un punto di forza per costruire un’immagine aspirazionale, oggi come fate a fare sognare le vostre lettrici e i vostri lettori?
Oggi un’immagine è aspirazionale non solo se è molto bella ma se è moderna. Modernità significa rappresentare tanti aspetti diversi delle donne, delle nostre complessità e dei nostri sogni. Questo non è sinonimo di “perfezione”. Il glamour “classico” rimarrà per sempre, ma l’eterogeneità e le sfumature di un mondo in costante cambiamento mi interessano molto di più ed è quello che cerchiamo di raccontare.
Gli influencer hanno cambiato il modo di raccontare la moda. Come vi relazionate a questo nuovo mondo? Riuscite a costruire delle collaborazioni oppure cercate di mantenere una distanza con loro?
Il modo di raccontare la moda è sempre in evoluzione, un “contenitore”, cambia con il tempo. Quello che non cambia è il contenuto. Se c’è o non c’è. Ci sono influencer con personalità ed estro che noi siamo fieri di accogliere e raccontare poiché pensiamo possano contribuire alla conversazione che portiamo avanti e altri senza niente da dire. Vale lo stesso per giornalisti, autori, creator, editor. Non è Vogue stesso, in primis, qualcosa che influenza e quindi letteralmente un influencer?
Vogue Italia fa parte di un grande network. Come si differenzia da altre edizioni di Vogue e quanto spazio avete per esprimere la vostra identità?
Abbiamo lo spazio che ogni mese decidiamo di conquistarci con il potere delle nostre idee in un perimetro di assoluta fiducia “locale” da parte del capo globale della linea editoriale di Vogue, Anna Wintour. Ancora una volta non si tratta di quantità, ma di qualità del contenuto. Se un contenuto globale è valutato rilevante anche per il pubblico locale, perché non dedicargli spazio. Ma non c’è obbligo. Per i contenuti locali ci esprimiamo con un dna 100% all’italiana: imprevedibilità, vena artistica, passione per la moda e la filiera, emozione, grandi storie di empowerment al femminile, leggerezza e divertimento. E un pizzico di “italian cinematic drama”.
Cosa pensi dell’editoria indipendente? La osservi? Un domani valuteresti la possibilità di creare un progetto tutto tuo?
Perché no! Sicuramente dopo aver lavorato 15 anni in una realtà così globale forse mi concentrerei su qualcosa di hyperlocal ma per ora è solo pour parler perché sto benissimo dove sono. Sull’editoria indipendente non solo la osservo e mi interessa personalmente, ma cerchiamo di raccontarne le evoluzioni e rivoluzioni anche sul nostro giornale. Ad esempio durante l’ultima edizione di The Vogue Closet durante il Salone del Mobile a Milano abbiamo tenuto un talk proprio sui magazine indipendenti. Gli speakers erano Elisa Carassai, Alessandro Merlo, Morgane e Fabrice Tayeau. Si è parlato di quanta libertà serve per raccontare una community e insieme crearla, di quanto il fulcro di tutto, comprese le scelte editoriali, stia sempre nell’identità e nello sperimentare per rompere gli stereotipi. Penso che nonostante siano processi e “regole” diverse abbiamo molto in comune per valori e missione.
L’attualità condiziona fortemente il nostro presente, quelli che stiamo vivendo recentemente non sono anni sereni. Avete libertà di trattare tematiche più complesse, a volte con un risvolto fortemente politico, per contestualizzare il vostro racconto in un’ottica autentica e contemporanea? Oppure avete necessità di rimanere leggeri, per non caricare la rivista di contenuti che possono risultare “pesanti”?
Assoluta libertà di espressione, è parte del nostro manifesto aziendale. È davvero importante che ogni giornalista si senta libero.
Se potessi cambiare qualcosa nel sistema dell’editoria odierna, cosa ti piacerebbe rivoluzionare?
La paura del cambiamento.
Franca Sozzani ha lasciato un’impronta indelebile su Vogue Italia. Credi che sia possibile replicare, anche in modo diverso, il suo impatto rivoluzionario sull’editoria di moda?
Non è possibile replicare. Continuiamo ad imparare da lei anche oggi che non c’è più e teniamo a mente la sua legacy più importante: guardare sempre al futuro. In un certo senso penso che sia proprio nel futuro che il mestiere di editor e il ruolo stesso dell’editoria abbiano le loro opportunità più significative. Non c’è mai stata un’epoca con audience e pubblici così grandi e così connessi. La sfida di affascinare la nostra community con le nostre storie e conquistare il loro interesse oggi è la più avvincente di sempre. E in più dobbiamo anche capire come interagire al meglio con AI! Vi ricordate tempi più stimolanti?