Fotografie di Michela Chimenti
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Dal 17 marzo, presso il Policlinico San Matteo di Pavia, è iniziata la sperimentazione sul plasma dei donatori guariti come terapia per i pazienti critici da Covid-19. Questa tecnica, già usata contro altri virus (quali MERS, H1N1, Ebola e SARS), non solo ha aiutato moltissime persone a guarire dal Covid-19, ma potrà aiutare molti altri contagiati in futuro, in maniera tempestiva. I risultati dello studio, conclusosi l’8 maggio scorso, a breve saranno parte di una pubblicazione scientifica dedicata. In attesa dei numeri, ho raccolto le storie di chi, superata la malattia, ha deciso di far parte della sperimentazione e aiutare gli altri.
Il Dottor Cesare Perotti, Direttore Servizio Immunoematologia del Policlinico San Matteo di Pavia, ha dichiarato durante l’intervista: “È sempre difficile fare previsioni per il futuro. Sempre con la speranza di non averne bisogno, la raccolta del plasma e il suo bancaggio diventano i nostri più importanti obiettivi a breve termine, così facendo avremo già a disposizione plasma iperimmune qualora si presentasse una recrudescenza della malattia. L’immagine che porterò con me di questo periodo è sicuramente l’ansia di conoscere subito l’esito dell’infusione e, nelle giornate successive, la soddisfazione di vedere migliorare il paziente malato di Covid-19”.
Annalisa Menga, 30, Capitano Carabinieri di Pavia, Comandante del Nucleo Operativo Radiomobile dei Carabinieri di Pavia
“Durante l’isolamento, ho appreso dai colleghi e dalla tv, che l’ospedale San Matteo stava sperimentando la possibilità di usare il plasma delle persone guarite verso i malati di Covid-19 in condizioni più gravi. Ho iniziato quindi a contattare tutti i colleghi che erano risultati positivi al tampone, chiedendo la loro disponibilità a donare il plasma. Mi sono messa poi in contatto con Gianluca Viarengo, medico del Centro Trasfusionale, che è rimasto subito molto entusiasta per la nostra proposta: all’oggi, 25 carabinieri hanno donato plasma iperimmune. Questa donazione ha significato l’opportunità, sia da cittadina, ma soprattutto da Carabiniere, di mettermi a disposizione della collettività, è stato un modo per sentirsi utili. So che la mia sacca di plasma non risolverà il problema del Covid-9 in Italia, ma aver messo quella piccola goccia, insieme ad altri, può essere una spinta positiva per il nostro Paese e per la nostra città. Un modo per provare ad uscirne insieme”.
Marco Pialorsi, 52 anni, geologo per il Comune di Milano
“Sono stato ricoverato per 18 giorni presso il reparto Covid-19 del San Matteo di Pavia. Il 18 marzo sono uscito dall’ospedale e il 23 marzo ho donato il plasma. Sono donatore AVIS dal 1986. Quando ho letto che stava partendo la sperimentazione, ho dato subito la mia disponibilità. Era il minimo che potessi fare. Da ragazzo giocavo a rugby, adesso gioco nella squadra Old a Pavia. Nei miei giorni in ospedale, tutti i compagni di squadra sono stati molto presenti, stando vicini alla mia famiglia e supportandomi con molti messaggi nella nostra chat”.
Vanessa Modica, 37 anni, infermiera San Matteo di Pavia (reparto Covid-19)
“Già come libero cittadino per me donare il sangue è una cosa importante, perché è gratis e lo si fa per qualcuno che non consoci. È un dono in sé. Per un sanitario è forse ancora più importante. Mi sono ritrovata a donare plasma iperimmune per aiutare quei malati che ho visto svegli, che ho visto soffrire, che ho visto intubati, che ho visto peggiorare, e questo gesto ha dato ancora di più un senso a quello che stavo facendo”.
Fausto Di Giovanni, 56 anni, calzolaio
“Il primo ad ammalarsi è stato mio padre Ercole Domenico. Nonostante i suoi 82 anni, era in perfetta forma e lavorava con me in negozio. Purtroppo, dopo una settimana di malattia, si è spento. Successivamente, ci siamo ammalati anche io, mia moglie e mia madre: quest’ultima completamente asintomatica; io e mia moglie abbiamo avuto invece sintomi molto seri. Io sono guarito in maniera spontanea, mia moglie invece è stata ricoverata. Due sono le immagini che, a 20 giorni l’una dall’altra, porterò per sempre con me di questa vicenda. La prima è quando l’ambulanza ha portato via mia moglie, davanti ai miei figli che avevano appena perso il nonno, sapendo di essere ancora tutti malati. È stato un momento davvero tremendo per me. L’immagine positiva è di quando mi hanno chiamato per dirmi, non solo che sia io che mia moglie eravamo entrambi guariti, ma che addirittura avevano bisogno del mio plasma perché avevo una bella “corazzata” di anticorpi. Questa donazione è stato un fatto nuovo e importante. È stata una bella sensazione pensare poter essere anche io utile a qualcuno”.
Marco Facchinotti, 65 anni, Sindaco di Mortara (PV)
“Ho provato una sensazione diversa da quando donavo semplicemente il sangue. Con il plasma sapevo che forse avrei potuto far guarire una persona. È stata una sensazione molto forte. Recentemente, in tv ho visto l’intervista ad un signore abbastanza anziano che era stato sottoposto alla terapia del plasma, che piangeva mentre raccontava cosa gli era successo. Mentre parlava, hanno inquadrato una sacca di plasma del gruppo sanguigno A+, che è il mio gruppo, e ho subito pensato che quella sacca che lo ha aiutato a stare meglio avrebbe potuto essere la mia”.
Giulia Smaldore, 26 anni, fisioterapista
“L’ospedale mi aveva già detto che ero una potenziale donatrice quindi, al terzo tampone negativo, mi sono messa a disposizione. L’esperienza di aver contratto il Covid-19 mi ha fatto capire che, inizialmente, avevo affrontato la situazione in maniera un po’ superficiale, perché pensavo che non sarebbe mai accaduto a me. Donare è stata una bella carica di energia positiva. Dopo la donazione, sono tornata a casa ed ero entusiasta. Non avevo mai donato, e da questo momento ho deciso che donerò ancora”.
Angelo Emilio Marioni, 61 anni, Direttore Marketing e Comunicazione Servizi Amministrativi Ospedalieri dell’Azienda Sociosanitaria territoriale di Pavia
“Non mi sono mai nemmeno posto il problema di non donare il plasma. È un gesto che serve per salvare altre persone e altri cittadini che magari hanno avuto un problema più serio del mio. Non penso che debba essere un gesto oggetto di grande stupore. Non la vedo come una cosa straordinaria, ma assolutamente normale… O meglio: dovrebbe essere un gesto normale per tutti quelli che possono farlo”.
Riccardo Comuni, 46 anni, Maresciallo Ordinario, Comandante della Sezione Radiomobile Carabinieri di Pavia
“L’arma dei carabinieri, sempre sensibile e sempre vicina alla collettività, ha iniziato le donazioni al San Matteo, per aiutare chi aveva contratto il virus in maniera più aggressiva rispetto a me e ai miei colleghi. Da quando sono guarito (sono rientrato al lavoro il 14 aprile), ho già donato ben tre volte il plasma, perché ho una percentuale di anticorpi verso il Covid-19 molto alta”.
Simone Molinari, 37 anni, infermiere del 118 Ospedale San Matteo di Pavia (AREU)
“Il volontariato è parte di me. Donare il plasma ha significato fare qualcosa di buono in questo periodo tremendo, in cui non si capiva se stessimo vivendo in un film o no. Quando si lavora in emergenza come me, e ci si ammala, ci si sente impotenti. Donare un pezzo di me è stato un gesto liberatorio”.
Pierangelo Cattaneo, 48 anni, socio in ditta per commercio salumi
“Dato che dopo la prima donazione sono rimasto spossato per tre giorni, avevo timore di fare la seconda, anche memore di tutto quello che avevo già passato con il Covid-19. Invece è andata meglio. Sapere di aver aiutato, e forse anche salvato, altre persone è la cosa che penso faccia piacere ad ogni essere umano. Vorrei donare ancora il mio plasma. Mi faranno sapere se sono ancora idoneo”.
Diodoro Cocca, 54 anni, Dirigente d’azienda
“Per me è stato un piacere donare. Quando sono andato in ospedale ho trovato la vera solidarietà. Adesso che l’emergenza è passata, è giusto fare riserva di plasma iperimmune, perché se dovesse ripresentarsi un’altra situazione di crisi almeno possiamo ridurre la mortalità, in attesa di un vaccino. Si fanno proclami dal mattino alla sera, ma poi alla fine è la gente normale che trova la strada del buonsenso. Io questo l’ho vissuto in ospedale. È stato un sollievo poter pensare che ci sia, nonostante tutto, qualcuno su cui poter contare. Il Dottor Perotti stesso è venuto ad assicurarsi che stessi bene dopo aver donato”.
Fausto Bernini, 53 anni, Dirigente Amministrativo, referente della Libera Professione del San Matteo di Pavia
“Io lavoro proprio di fronte al reparto trasfusionale. Sono da sempre in contatto con la struttura di immunoematologia SINT del San Matteo perché ho gestito l’acquisizione del sangue da parte dei centri AVIS. Ho contattato Perotti il giorno successivo al termine della quarantena. Ho fatto tutti gli esami e, avendo ancora un numero degli anticorpi molto alto, dopo due giorni sono andato a donare il plasma. Donare significa dare qualcosa agli altri, soprattutto in una fase molto molto complicata come quella della pandemia. Contribuire alla ricerca del Dottor Perotti e della sua squadra, non potendo essere di supporto ai miei colleghi perché a causa del Covid-19 ho dovuto stare forzatamente a casa, mi ha dato l’occasione di aver fatto la mia parte”.