Bovisa o del nessun luogo

Fotografie di Marco Merati


Il paesaggio industriale di Bovisa, le sue fabbriche, i gasometri e le case a corte, hanno rappresentato una fonte di ispirazione per artisti di tutte le discipline. Da Testori, a Luchino Visconti; da Ermanno Olmi a Le Corbusier, fino al pittore Mario Sironi, che ritrasse proprio quelle fabbriche come simboli di cultura del lavoro e lotte operaie. Le stesse che ora appaiono come luoghi senza nome, capannoni silenziosi, cancelli chiusi sul vuoto e muri di cinta innalzati sul nulla. Per molti anni questa zona di Milano ha rappresentato uno dei poli produttivi più importanti d’Italia. Una storia fatta di lavoro e progresso, ma anche di inquinamento, di lotte operaie, di immigrazione, di questioni sociali. Un angolo di Milano che offre sorprendenti contrasti urbanistici, un paesaggio cittadino unico. Un territorio sospeso tra memoria e riscatto, dove il tempo sembra scorrere in modo circolare. Un luogo costellato di non luoghi. Il progetto nasce con l’idea di cristallizzare le trasformazioni urbane di un quartiere milanese, attraverso una ricerca fotografica di luoghi e simboli, che consumiamo quotidianamente, senza però coglierne l’essenza sociale e il valore storico Negli ultimi trent’anni si è preferito cancellare un patrimonio, culturale, sociale ed architettonico unico. Nei luoghi dove si è fatta la storia del lavoro, ora resta il vuoto e con il vuoto si cancella la memoria. Il lentissimo processo di recupero edilizio di quelli che erano ampi insediamenti produttivi, iniziati con l’arrivo del Politecnico e negli ultimi anni di studi di creativi e designers, sta permettendo di aprire alla città un quartiere storicamente isolato dalle sue stesse infrastrutture.