Fotografie di Fabio Mauro
Il Kirghizistan, una terra che giace nel cuore montagnoso di quella che un tempo era la Via della Seta, non è solo un paese di montagna ma anche di cavalli. I nomadi Kirghizi sono pastori che vivono in funzione dei loro animali, spostandosi a seconda della stagione. Secondo un antico proverbio “i cavalli sono le ali del popolo kirghiso.
Ho trascorso qualche giorno in un accampamento nomade in mezzo alla natura selvaggia e incontaminata; lontano dalla connessione internet, dove per riscaldarsi la sera si usava una stufa a legno e per lavarsi si scaldava l’acqua sul fuoco, dove il generatore dell’energia elettrica funzionava 4 ore al giorno e dove la vita scorre secondo i ritmi del giorno e della notte.
Originari della zona tra Siberia e Mongolia, i nomadi Kirghizi si trasferirono qui per scappare ai conflitti territoriali.
Campo nomade all’ alba
Considerato lo Shangri-La dell’Asia Centrale, il Kirghizistan è una piccola nazione priva di sbocchi sul mare il cui territorio è prevalentemente montuoso
I nomadi Kirghizi sono pastori che vivono in funzione dei loro animali, spostandosi a seconda della stagione.
Sin da piccoli ai figli dei nomadi vengono dati compiti da svolgere nel villaggio; tra i vari c’è quello di accompagnare i turisti che vogliono fare un’escursione a cavallo nella riserva zoologica Songköl.
La salvezza e la vita dei nomadi Kirghizi dipende ancora oggi dalla salute e dalla quantità dei loro animali, soprattutto dei cavalli, ai quali sono profondamente legati
I pascoli d’alta quota durante i mesi estivi si popolano di allevatori che dai villaggi, con le loro famiglie, si trasferiscono qui per pascolare il loro bestiame.
Nel Paese della Via della Seta il Kumis, probiotico ricavato dalla mungitura delle giumente, è alimento nazionale. La capitale, Bishkek, prende il nome dal recipiente usato per produrlo.
C’è un’altra cosa che è connessa profondamente alla vita nomade, qualcosa che ha assicurato la continuazione per millenni di questo stile di vita mentre altre civiltà cambiavano. La Yurta ha infatti permesso ai nomadi di sentirsi sempre a casa, non importava per quanto tempo e per quanti chilometri si spostassero.
Il Kirghizistan, una terra che giace nel cuore montagnoso di quella che un tempo era la Via della Seta. 200 mila chilometri quadrati, che definire aspri è un eufemismo, per appena 6,5 milioni di persone.
Il Kirghiso è parlato da circa tre milioni di persone. Si contano 2,45 milioni di locutori in Kirghizistan, 160.000 in Cina e 64.000 in Tagikistan. La lingua è attestata anche in Afghanistan, Kazakistan, Russia, Turchia e Uzbekistan.
Il nome Kirghizo è Boz ui che significa “casa grigia”. Anche se le Yurte di oggi sono finemente decorate, anticamente per essere coperte non veniva usato un feltro di alta qualità, generalmente veniva invece usata la lana delle pecore grigie e nere mentre la lana di quelle bianche e quella di migliore qualità veniva utilizzata per i vestiti.
In estate i nomadi portano gli animali nei Jailoo (alti pascoli) sulle montagne, in inverno tornano più in basso verso le valli per cercare protezione dal freddo e dalla neve.
Con la repressione dell’identità Kirghiza durante l’era Sovietica molte famiglie furono costrette a fermarsi nei villaggi ma dopo l’indipendenza pastori e allevatori ricominciarono a tornare nei pascoli estivi. Per loro tornare ai jailoo non è stato semplicemente tornare alle loro Yurte, ma più di tutto riconnettersi fortemente con le loro radici e la loro tradizione.
La leggenda dice che un giorno d’estate Dio chiamò a raccolta tutti i popoli per assegnare a ciascuno una terra in cui stabilirsi e prosperare. Tutti si accalcarono al cospetto di Dio per ottenere la terra da loro bramata, a parte i Kirghisi, il popolo nomade. Così arrivò l’inverno, i Kirghisi scesero a valle e trovarono tutti i terreni occupati da altri popoli. Costernati, si rivolsero a Dio per trovare una soluzione, e Dio disse: “poiché non vi siete accapigliati con gli altri popoli, ma vi siete dedicati al vostro duro lavoro, vi faccio un dono: vi offro la mia residenza estiva.”