BUONGIORNO DIRETTORE! con Lavinia Farnese

Buongiorno Direttore!
Una rubrica a cura di Mario Zanaria

Intervista di Sebastiano Leddi
Fotografie di Mario Zanaria

Con Lavinia Farnese, direttrice di Cosmopolitan e Marie Claire digital e eventi

Non conoscevo Lavinia Farnese di persona. Il suo numero era in rubrica sotto un altro nome, effetto collaterale di un vecchio errore di trascrizione durante una nostra iniziativa sul ritratto d’autore. Ci siamo incontrati al BASE, all’ingresso dell’openspace, seduti a un lungo tavolo a serpentina.
Lavinia dirige due delle principali testate femminili del gruppo Hearst: Cosmopolitan e Marie Claire (di quest’ultima è vicedirettrice del print e direttrice della parte digital e eventi). Questo doppio incarico mi ha subito colpito. Perché già il ruolo di Direttrice di una rivista implica un accesso privilegiato a certi mondi, a certe conversazioni. Lei ne abita due, e lo fa con uno sguardo ampio, curioso, trasversale.
Ne è nata una chiacchierata densa, aperta, piena di passaggi che raccontano non solo il presente dell’editoria, ma anche i modi in cui si può ancora tentare di trasformarla.

 

Lavinia, parto dalla mia curiosità principale: come fai a dirigere due testate così diverse come Cosmopolitan e Marie Claire? Come tieni distinte le identità?

In realtà per me è abbastanza naturale. Questa molteplicità è parte della mia storia personale prima ancora che professionale. Ho iniziato iscrivendomi a Medicina – un desiderio non mio – ma poi ho capito presto che nella vita volevo raccontare, non curare. O meglio: che io l’unico modo in cui avrei potuto curare qualcosa sarebbe stato scrivendone. In un’alba seguita a una notte atroce ho mollato tutto e sono finita all’unica facoltà di cui erano ancora aperte le iscrizioni: il DAMS a Roma, senza sapere bene cosa stessi facendo. Lì ho avuto la mia prima fortuna, dopo quella rivelazione. Incontrare Carlo Freccero, mio relatore di tesi, che mi disse: “Hai un talento per la scrittura, è raro. Non tradirlo”. Da lì ho iniziato a dire sì a tutto: Repubblica, TG5, il Senato, Novella 2000… tutto. Da assistente di un senatore al mattino compravo gemelli di diamanti da donare al presidente alla gioielleria del Pantheon e il pomeriggio per la direttrice che tutto il resto mi ha insegnato, Candida Morvillo, passavo dalla politica al sesso ai dietro le quinte più segreti del potere e dello spettacolo. Ho sempre mescolato piani diversi. E mescolare piani diversi spesso ti porta ad essere tutto e niente. Mentre conta sapere scegliere. Avere una posizione. Daniela Hamaui, storica prima direttrice donna dell’Espresso e fondatrice di D di Repubblica quando mi incontrò la prima volta lei fresca di incarico a Vanity Fair dove ho lavorato per 12 anni di fronte al mio raccontarmi insicuro, tentennando, mi disse: «Fammi capire: tu sei la Lavinia Farnese che leggevo con interesse quando il 7 del Corriere della Sera si chiamava Corriere della Sera Magazine?». E io: «Sì, ricordo le chiusure calde di atbajour li dopo avere vinto il premio Maria Grazia Cutuli che mi era valso un un’estate di redazione in via Solferino». E lei, per niente ammorbidita: «Mi aspettavo di trovare una giovane donna consapevole della sua caratura e invece mi trovo davanti una ragazza intimidita senza un perché. Non stai facendo un bel servizio né a te né alle giovani donne che da te dovrebbero trovare ispirazione. Ti aspetto quando avrai trovato la tua voce». E così è stato. Con Cosmo e Marie Claire che rispecchiano due registri che convivono in me da sempre.

Parafrasando De Andrè hai detto che ti innamori facilmente di tutto. È questo il tuo motore?

Sì. Io ancora sono sorpresa della meraviglia del mio lavoro che si intreccia cosi tanto con il bello. Una volta su una parete lessi una frase che diceva: “Scegli un lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno nella tua vita”. Ed è quello che vorremmo insegnare anche a Sveva, la mia bambina di 5 anni. L’incontro con le storie, con le persone e i personaggi, è ciò che mi appassiona di più. È lì che si crea quel ponte tra personale e universale: parli con Valeria Golino e ti rendi conto che le sue esperienze – l’amore, la separazione, il passare del tempo – ci toccano tutti. Questo accade sia in Cosmopolitan che in Marie Claire. L’essere umano è al centro, sempre.

Come hai trasformato Cosmopolitan?

Quando sono arrivata, era chiaro che non poteva più essere il “Sex and the City magazine”. Le ragazze non portavano più i tacchi. C’era bisogno di un cambiamento. Oggi Cosmopolitan è un sistema solare: fa eventi, presidia i festival, è riconosciuto dal mondo della musica e del cinema, è presente nei Pride, nelle piazze negli accordi nei firmacopie delle copertine a Sanremo. I brand non vogliono più la sola pagina pubblicitaria: vogliono costruire qualcosa di valore con te.

 

E Marie Claire?

È un mensile più sofisticato, un femminile trasversale di moda e cultura, con un’estetica alta, e un heritage che innamora . Insieme alla direttrice responsabile, Elena Mantaut, e alla direttrice Moda e Immagine, Ivana Spernicelli, stiamo iniziando un nuovo viaggio con una nuova visione creativa firmata da Macs Iotti. Il primo numero di questa nuova fase uscirà in concomitanza della fashion week a ottobre. Abbiamo aumentato i servizi fotografici, investito nel beauty, pensato in grande. È un progetto prezioso. Ma anche lì la trasformazione è viva: le Digital Cover Video che abbiamo lanciato raccontano il femminile con un linguaggio nuovo, corale, fatto da donne. Ogni mese scegliamo una parola e costruiamo attorno a quella un racconto – fotografico, testuale, video.

Quindi stai vivendo un momento in cui stai traghettando due testate nel presente?

Sì, e non solo sul digitale. Il paradosso è che molte delle cose che facciamo sono fisiche: eventi, tavole rotonde, performance. Ma la restituzione è digitale, arriva prima ancora del cartaceo. Siamo dentro un tempo in cui tutto è connesso. Il digitale non esclude la carta, ma ne riscrive il ruolo.

E come gestisci le due redazioni?

Ho due chat WhatsApp. Quella di Cosmopolitan è velocissima, tutta digitale, super fluida. Le ragazze ti scrivono che saltano una call del tardo pomeriggio perché c’è l’analista, e ti ricordano che c’è anche il tuo che ti sta aspettando, ed è tutto normale. Quella di Marie Claire è più strutturata, si lavora in redazione, si fanno le “stese” come una volta. Sono due mondi diversi, due generazioni diverse. Ma entrambi mi insegnano ogni giorno.

Parlando di target, come scegliete i personaggi?

Su Cosmopolitan mi affido molto al team. Loro intercettano prima di me le figure giuste per la Gen Z, sanno chi ha senso, chi ha numeri, chi ha una voce rilevante. Io do l’ultima parola, ma è a loro prima che a me che sono grata. Marie Claire invece ha un registro diverso, più riflessivo, più intimo, più costruito.

A proposito di nuove voci… secondo te perché non esiste più “Cioè”? Sarebbe da rilanciare domani.

Anche secondo me! È un’idea bellissima. La riporto al mio amministratore delegato, Giacomo Moletto, giuro. In Hearst abbiamo un portafoglio testate fortissimo, e una redazione con tanto entusiasmo. Chissà…

Ti faccio una domanda più ampia: stiamo parlando tanto di femminile. Ma sul maschile? Chi racconta davvero l’uomo oggi?

È vero, l’uomo sta affrontando una crisi di identità. Ma è anche una questione di abitudine: per secoli ha avuto tutto per default. Oggi deve imparare a confrontarsi. In azienda stiamo lavorando anche su questo: Esquire e Men’s Health stanno cambiando. Parlano a maschi nuovi, più diversi, dentro nuove consapevolezze. Men’s Health non è più palestra, è lifestyle culturale alto. Esquire fa copertine su temi dove attualità, arte e scienza si incontrano. L’uomo non è più uno solo: sono tanti. Ed è tempo che anche l’editoria impari a vederli tutti.

Grazie per questa bella chiacchierata, sarei andato avanti altre due ore. Alla prossima!