Sei una delle massime memorie storiche sull’underground nella nostra città. Qual è stato il momento più florido che ricordi per Milano in questo senso?
Sono nato e cresciuto a Milano, ma più che essere memoria, è dai primi anni ’80 che vivo costantemente in quello che, per comodità, ancora ci ostiniamo a etichettare come underground, tuttavia impegnarmi in prima persona per mantenere ‘vivo’ un passato, non rientra nelle mie priorità. Libri e articoli sulla Milano underground vengono continuamente scritti e basta googolare per venire a conoscenza di storie incredibili. Milano è una città florida e io cerco di immergermi costantemente nel ‘suo’ presente. Questa città, anche sotto pandemia, ogni giorno offre sorprese. Con tutti i miei limiti, mi ritengo fortunato di poterla godere e di trovarmi ancora oggi a 63 anni coinvolto nella sua effervescente nebulosa creativa e spesso, finalmente, anche solo come spettatore.
Esiste oggi una forma di underground autentica nell’Arte? oppure pensi che internet abbia svelato anche quello che stava “sotto terra”?
Qualsiasi espressione vitale che pulsa di luce propria è autentica e questa città è sul punto di esplodere tanta è la sua materia creativa! Dai No Text, a Guido Borso, da Hunter Record al Tempio del Futuro Perduto, da Bo 130 & Microbo a Marco Proserpio, dal Teatro Out Off a Inverno Muto, da Forma a Prospekt, da Taxi Zine a Orio Vergani, da Gabriella Giandelli a Frankenstein, da Bufer a Pongo, da Ghitto a Gigi Verità, da Afa a Legno, da Marina Spada a Left Loft, da Solo Macello a Santeria, dalla Ferragni a Radio Raheem, da Tantrika a Volume, da Solomostry a Lorenzo Senni, dalla Feltrinelli a B**k, da Riot a Soundohm e a chi vuoi tu… potrei continuare per diverso tempo a segnalare tutte le persone e/o luoghi e situazioni impegnate a dare un’immagine coesa di una Milano autentica. Anche se spesso questa ‘comunità’ artistica dichiara la propria indipendenza come soggetto singolo, è proprio l’attrito che si sviluppa da queste differenze (per quanto mi riguarda presunte) che rende Milano, la Milano del bizness in cui affogo quotidianamente di gioia!
Ritrovi da qualche parte quell’attitudine punk che c’era tra gli anni 70/90 o è andato tutto perduto?
Direi che Perimetro è la concreta prova, di una risposta punk all’interno del contesto cittadino. Punk, no cocaina!
C’è un quartiere nella Milano di oggi che ti sembra essere sopravvisuto alla gentrificazione degli ultimi anni?
Non ho mai creduto alla narrazione della gentrificazione della città. Milano muta costantemente come ogni grande centro urbano. Negli anni passati, ha inglobato dentro di se spazi che un tempo erano piccoli comuni limitrofi e sono sicuro che presto succederà ancora. Il destino di Milano è di diventare una vera metropoli. E per avallare questa mia percezione ti informo che Carugate al metroquadrato, costa come Milano.
Questi scatti sono stati realizzati qualche mese prima del casino in cui ci troviamo adesso. Qual è l’aspetto della tua vita che è cambiato di più nell’ultimo anno?
Quello fisico. Ci si tocca di meno. Non mi riferisco ai piccoli rapporti privati, ma agli scambi d’affetto quotidiano. Dalla stretta di mano, all’abbraccio, al consueto bacio scambiato prima di lasciarsi per poi ritrovarsi ancora.
Pensando alla nostra città, esprimi un desiderio per un prossimo domani.
Non ho dubbi in proposito, ma non è un vero desiderio, credo sia ormai una necessità. Questa città deve smettere di essere cementificata. Deve iniziare a costruire più spazi verdi anche molto piccoli. Spazi che possano essere vissuti anche solo come uno stacco visivo per permettere all’occhio di godersi il vuoto e di conseguenza il cielo. Abbiamo bisogno di luoghi ri/creativi, luoghi creati per un ‘probabile’ dialogo dinamico tra persone. Una piazza non è tale se la gente non la abita. Rimane esclusa dalla vita sociale. Penso che progettare uno spazio pubblico per il XXI secolo, debba prevedere la possibilità di mutare conformazione. Un percorso pedonale ad esempio intorno ad un giardino, deve essere dinamico. Quanti spazi verdi ci sono che poi la gente attraversa senza seguire la strada pre-progettata. Ormai è accertato che un luogo si trasforma in una “piazza”, solo quando la gente se ne appropria e ne modifica visibilmente la sua architettura. Noi dobbiamo sviluppare questa sensibilità trasformativa che è insita nell’uomo. In questo modo aiutiamo sia noi stessi che la città ad essere un corpo. Infine, stop totale alle auto e moto, sia a gas che a benzina. Va ripensata da subito una viabilità cittadina a dimensione della persona. Una città, passami il termine, ‘del tempo ritrovato’. È ora di dire basta al falso pensiero che il lavoro rende liberi.