intervista a Silvia Tofani

 

Intervista di Alioscia Bisceglia
Fotografie di Francis Barion

 

 

 

Silvia Tofani, dietro cosa è davanti a cosa ti troviamo?

Ho impiegato diversi anni ed attacchi di panico per rendermi conto che il mio intento era stare dietro e non davanti a qualcosa.
Nasco come fotografa, il mezzo ideale per nascondersi, ma segretamente ho coltivato il mio primo amore, la musica, fino a diventare autrice per altri interpreti.

Ora mi trovi dietro ad un pezzo di carta, un memo vocale o una macchina fotografica, e spero in molto altro ancora.

 

 

Sei cresciuta in un certo circuito, quel contesto quanto ha influenzato la tua attitudine?

Ho sempre cercato di conoscere persone con le quali condividere ideali, ho partecipato a diverse manifestazioni e gruppi di protesta, ma ora sento che la vera protesta è la speranza.
Non sarei quella che sono se non avessi vissuto tutto quello che ho fatto, e lo devo anche alle persone che mi hanno accolto come una famiglia quando la mia mi aveva allontanato.
Ho imparato cosa significa credere davvero in qualcosa e impegnarsi per ottenerlo, senza dimenticare però l’umanità che abbiamo attorno dalla quale possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo.

 

 

All’inizio è stata la fotografia, tra Milano e i colli piacentini…

Il giorno stesso in cui misi piede nello studio di Alex Majoli diventai una sua assistente.

Vivevo tra Milano e la sua casa in campagna dispersa tra i colli piacentini, dopo un anno circa arrivarono altri ragazzi e con loro nacque Cesuralab, un collettivo di fotografi indipendenti. Fu un’esperienza formativa immensa ma sentivo che mi mancava qualcosa, avevo dei disastri familiari da gestire, una sorella in carcere, non mi bastava la fotografia per sfogare tutta quella roba.

Paradossalmente poi a Milano riuscivo a staccare molto di più. Quel caos mi distraeva.

 

 

Parole, immagini, musica, fotografia. Hai bisogno di raccontare e raccontarti.

Ci insegnano quanto sia importante specializzarsi in una cosa sola, ma il genere umano è terribilmente vario e ora più che mai lo sono anche i mezzi per esprimerlo.
Se racconto di qualcuno o qualcosa probabilmente è perché in parte risuona col mio vissuto, si tratta di un atto istintuale più che mentale.

Senza rendertene conto stai raccontando un po’ di te attraverso l’altro e viceversa. Meglio di uno psicanalista!

 

 

 

Sei andata via ad un certo punto, da cosa volevi staccarti ed il tuo ritorno da cosa è stato condizionato

Mi aspettavo che una città come Milano avesse una mentalità meno provinciale, ma ai miei occhi si stava rivelando fin troppo simile alla realtà da cui provenivo.
Le persone avevano la necessità di categorizzare tutto e tutti, inoltre in quegli anni avevo la sensazione che la città stesse diventando sempre meno vicina ai giovani, vennero chiusi diversi luoghi storici legati alla cultura e alla musica, la situazione era a dir poco decadente.

Decisi così di trasferirmi a Berlino, un luogo controverso con una storia dura, dove il concetto di libertà di espressione era eccezionalmente forte, ci rimasi per tre anni.
Volevo crescere individualmente lontano da proiezioni altrui, una volta intuito che Milano stava iniziando il suo Rinascimento e che avrei avuto la possibilità di applicare le mie esperienze lì ci tornai.

E poi mi mancava la nostra italianità e posso dire di averla ritrovata senza troppa fatica.

 

 

Milano, ha cambiato secondo te negli ultimi decenni la sua estetica? E la sua anima?

Sicuramente si sente un cambiamento dato anche dall’ arrivo di studenti e lavoratori, non solo extra regionali ma extra europei, che l’hanno resa più dinamica e competitiva. Cercando tutta questa innovazione però rischiamo di spersonalizzarne l’essenza, ma voglio essere fiduciosa in un genere umano più attento alla collettività e al suo ecosistema come sta già dimostrando in parte .

In fondo le città sono fatte di persone.

 

Questa è la tua città, forse amore ed insofferenza. Hai una storia che vorresti raccontare per Perimetro? Hai un tuo pezzo che parla di lei?

Ho passato la maggior parte della mia vita qui e irrimediabilmente c’è una parte di lei nei miei racconti.
Devo ammettere che mi è capitato di prendere ispirazione dalla città soprattutto durante delle coscritture.
Io e Mahmood ad esempio giochiamo sul fonderci l’uno col linguaggio dell’altro, lui come autore prende tantissimo dalla città e i quartieri e ho sempre amato questa sua caratteristica.

La città per me può assumere diverse sembianze, un mondo interiore che cambia e si evolve assieme a noi.