IF | Take Care

Fotografie di Benedetta Ristori

In Italia la presenza di una migrazione femminile, proveniente principalmente dall’Est Europa, destinata a ricoprire mansioni quali la cura di anziani e/o pazienti gravi, è dettata dalla presenza di un welfare pubblico, che non può rispondere adeguatamente alla crescente domanda di assistenza. Il numero delle “care giver/badanti” nel territorio italiano corrisponde a circa 1,5 milioni.

Gli assistenti familiari non sono un fenomeno recente nella storia del nostro Paese: infatti, daglianni Settanta, il fenomeno migratorio legato al welfare privato è cresciuto in modo esponenziale, fino ad assumere una consistenza sempre più importante negli anni Novanta e infine attecchire nel 2000.

In concomitanza con la crescita dei lavoratori stranieri nel settore d’assistenza, sono diminuiti gli assistenti familiari di nazionalità italiana.

La migrazione femminile è caratterizzata da motivazioni diverse. Alcune donne migrano per ricongiungersi, dopo anni di separazione, con il fidanzato/compagno/marito. Alcune migrano per motivi legati allo studio, altri per necessità economiche: la ricerca del lavoro retribuito diventa fondamentale. Anche in questo caso le ragioni sono personali e varie: raggiungere l’indipendenza economica, accrescere il valore della propria presenza nella società di origine e nella famiglia, costruire un futuro per se stessi e soprattutto per i figli, che restano nelle campagne e nelle città dell’origine.

Il lavoro di “badante” è spesso uno dei lavori più immediati per le donne provenienti dall’Est Europa. Alcuni racconti personali mi narrano che la scarsa conoscenza della lingua italiana e la condizione di irregolarità portano spesso a considerare come unica alternativa l’occupazione nel settore del welfare privato. Inoltre, lavorare come assistente familiare può significare risparmi in termini di affitto e bollette se convivi con chi si deve aiutare.

Ma c’è di più: la possibilità di guadagnare e inviare sostegno economico diventa un percorso di emancipazione che ha i suoi effetti.

Oltre a vivere in un paese culturalmente diverso dal proprio, c’è una notevole difficoltà nella gestione della situazione familiare e sociale in un altro paese. Nonostante le donne migranti si affidino a figure di fiducia, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei propri figli, resta alta la volontà di rafforzare la loro capacità decisionale nei meccanismi familiari di cura e di educazione (a distanza).

Tra i primi acquisti fatti con lo stipendio, spesso ci sono articoli che sono acquistati solo per segnalare simbolicamente il successo del loro progetto di migrazione. I doni inviati diventano uno strumento per affermare lo status quo, ma anche il modo per “sovvertire la normalità”.

I vecchi equilibri sono rotti o modificati. Spicca la necessità di rinegoziare il proprio ruolo di donna/moglie/compagna/madre/figlia: ridefinire la propria autonomia.

Oltre al denaro, vengono inviati regali, soprattutto ai bambini. I regali diventano una testimonianza di affetto che rimane immutato e un simbolo di presenza costante, nonostante la distanza. Un modo per continuare ad essere madri anche se transnazionali.

Il progetto, creato tra il 2019 e il 2020, consiste in una serie di ritratti per rappresentare questo fenomeno in Italia.

Le donne fotografate convivono con le persone di cui si prendono cura e sono state fotografate in quelle case, quando possibile.