Fotografie di Matteo Strocchia e Marco Servina
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Un progetto a sei mani ideato e realizzato da Cecilia Tosques, set designer e creativa, insieme a Matteo Strocchia e Marco Servina, fotografi e art director. Un reportage che vuole ritrarre l’artista fiorentina attraverso i suoi oggetti ed i suoi spazi e naturalmente la sua ultima opera d’arte creata durante il lockdown: un enorme uovo di cartapesta dipinto con pastelli ad olio, che raffigura scene quotidiane e ricordi che si fondono in un’atmosfera onirica e fantastica. Nascono così still life generati da oggetti trovati all’interno del suo studio in centro a Firenze e ritratti dentro e fuori la sua bellissima casa sulle colline. Ogni oggetto in ogni spazio della sua casa, anche il più piccolo ed apparentemente insignificante, riporta Ornella ad un ricordo vivido, ad un racconto appassionato. Anche nel suo studio, Ornella conserva con cura materiali di ogni tipo, in un caos poetico che la inspira a una sperimentazione costante.
Il progetto si completa con un mini-documentario in cui l’artista descrive la sua opera e racconta un aneddoto sulle difficoltà che le artiste donne avevano – e forse tuttora hanno – col mondo dell’arte. Ornella Baratti Bon appartiene a un gruppo di artisti che operano da tanti anni a Firenze, all’interno delle mura del Conventino, luogo che accoglie da tanti anni artisti e artigiani situato fra Piazza Tasso e Bellosguardo, in un’atmosfera assorta di particolare suggestione: gli studi dei pittori come le celle dei monaci, il grande orto chiuso del chiostro, gli antichi arnesi da lavoro, le tele negli angoli, le statue totem nei corridoi, le stufe. Ha esposto in numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Sta lavorando ad alcuni libri di incisioni su lastra e su pietra da sigillo cinese. Ha illustrato libri di poesia e copertine di dischi (la musica è, senza dubbio, una fonte decisiva per la sua ispirazione).
Recentemente, ha riprodotto una sua opera su un gigante uovo di struzzo, perché andasse a far parte di una collezione di uova “dipinte” da 250 artisti (l’idea è di un collezionista belga). Per inquadrare la sua arte, si cita alcuni passaggi di un saggio di Ernestina Pellegrini, Andar per sogni:
“Forse l’uovo è una superficie ideale per rendere e intensificare alcune caratteristiche elementari dei quadri di Ornella Baratti Bon: la natura convessa e circolare di certe immagini, l’idea del mondo racchiuso in sé stesso, la metafora dell’origine. La sua pittura non sembra assolutamente fine a sé stessa, quasi fosse la risultanza o la aspettativa di mondi o espressività ulteriori: Ex machina; I funamboli; Il teatro dei burattini; Teatri in blu; Il lampadario; Il grande spaccato. Il tempo, la riflessione sul tempo, il sentimento del tempo, è sicuramente un dato determinante della spinta a creare e ricreare certi mondi meravigliosi che suggeriscono il senso del già stato o del non ancora avvenuto: sono mondi trapassati o mondi non ancora nati. Come in un prima e in un dopo. Una pittura onirica che inquadra microuniversi paralleli sempre visti dall’alto, come schiacciati in una sorta di verticalità profonda (non è un caso che i pavimenti siano spesso i protagonisti di alcune tele). La consistenza di questa arte è quella del sogno, e come nei sogni, tutto risulta qui ipersignificante e nello stesso tempo indistinto. È come se lo spettatore/lettore si trovasse di fronte a una immagine carpita quasi per caso a un universo in perenne metamorfosi e fermentazione: un po’ è dettaglio, un po’ epifania. Ogni cosa o figura perde la propria legge di gravità, volteggia in aria o è carpita da vortici e correnti di vento, danza e volteggia sulla campitura di tele riempite fino all’inverosimile, crea bolle e cerchi in cui si ingravidano altri mondi minuscoli e affaccendati, con figurine impalpabili, panni stesi, tavole imbandite, letti, sedie, tappeti e scale. Tutto si declina, solo per fare due nomi, sugli spartiti fantastici di Chagall e di Bosch (il violinista; baraccone; scena notturna; la trottola). Le miniature irreali di Ornella Baratti Bon sembrano essere fatte della stessa pasta effimera ed eterna dei nostri ricordi più profondi e lontani, mettono radici in un inconscio collettivo popolato di fate e di fantasmi. La sensazione immediata ricorda quella che si prova, fra raccapriccio e stupore, quando si solleva un sasso e scopriamo che sotto c’è una vita brulicante di insetti affaccendati, un mondo segreto della terra, che immediatamente si sottrae alla nostra vista; Ma qui, nelle opere ora chiare, ora scure, ora rosse, ora azzurre, di Ornella Baratti Bon (e sono tutte maniere diverse di uno stesso inconfondibile stile) siamo di fronte alla vita quotidiana della gente comune, che balla, pranza, dorme, sogna, va a teatro, dandoci però l’impressione di una immensa, perturbante, irrimediabile lontananza. Uomini e donne, bambine e animali, oggetti e stelle, in intercambiabili ruoli, così come bambole, burattini, artisti del teatro e del circo, dove è difficile distinguere ciò che è animato da ciò che è inanimato, ciò che è vivo da ciò che è morto. Molte tele sono teatrini sghembi o stanze sovraffollate o camere metamorfiche o casette scoperchiate dove si può sbirciare la vita segreta di una umanità larvale e fantasmatica. Porte che si aprono, tende che fluttuano, lenzuola stese che disvelano mondi segreti. Stanze in soqquadro, letti disfatti, piccole apocalissi private, risse, parapiglia, tafferugli, atmosfere cariche di elettricità e di follia. Scene di danze, girotondi festosi, piccoli cortei, assembramenti vorticosi, strani riti, sabba infernali, dai quali spiccano, solitari e malinconici, menestrelli e violinisti assorti,sembra, in una musica che loro soli possono sentire e dalla quale si sprigionano altri mondi e spazi e controspazi che si intersecano e si sovrappongono, negando qualsiasi legge prospettica. È un universo animato da un continuo vagabondare, dove in parte si ritrova la flanerie sans but dei surrealisti. Dove c’è anche, non so quanto volontaria, un’aria di sospensione fantastica e di ironia allusiva che ritroviamo in alcune artiste surrealiste, da Leonor Fini a Leonora Carrington. È l’artista stessa a indicare come motore e come antitesi della propria arte il vuoto: “Se dipingo è perché non amo il vuoto, come chi scolpisce non ama il soverchio. Potrei parlare, anziché dipingere, e così riempire il vuoto con le parole. Invece lo riempio di segno e colore, perché questa è la mia lingua: vorrei che mi leggeste nella stessa lingua”. L’arte di Ornella Baratti Bon è decisamente poetica: è un gesto di eccentricità e di acrobazia. Ornella Baratti Bon chiama il pubblico ad assistere, tela dopo tela, al suo variopinto diorama, dove non ha senso cercare di distinguere ciò che è vero da ciò che è finto. Tutto appartiene alla sfera dell’immaginario e del sogno. La realtà è solo un alibi, un pretesto. Al centro di alcuni quadri sta un letto, dove si intravede una figurina di donna che sogna, mentre intorno svaporano mondi leggeri e vaganti come bolle di sapone. In altri quadri, al margine, c’è una minuscola pittrice che istoria la propria tela, quasi in un’autoreferenzialità metafigurativa che rimanda al momento stesso della concezione del soggetto rappresentato. Di questo mondo colorato e strapieno, di questo gioco illusivo, notturno e sinistro, l’artista diviene, senza neppure saperlo o volerlo, la regista e il cerimoniere.”
Team credits
Cecilia Tosques @ceciliatosques
Marco Servina @comevaconma
Matteo Strocchia @matteostrocchia
Testo a cura di Ernestina Pellegrini
“Se dipingo è perché non amo il vuoto, come chi scolpisce non ama il soverchio. Potrei parlare, anziché dipingere, e così riempire il vuoto con le parole. Invece lo riempio di segno e colore, perché questa è la mia lingua: vorrei che mi leggeste nella stessa lingua”
“Il tempo si confonde in questo spazio che racchiude tutto”
“Io ero una bambina che viveva tutta dentro di se, una vita intensissima, ma tutta dentro. Non mi accorgevo di quello che mi passava accanto…”
“evidentemente le guardavo con una certa diciamo profondita si capiva che non gardavo cosi ma cercavo di capire, vedere il particolare e anche studiare la tecnica”
Molte tele sono teatrini sghembi o stanze sovraffollate o camere metamorfiche o casette scoperchiate dove si può sbirciare la vita segreta di una umanità larvale e fantasmatica.
Lui dava per scontato che una donna non potesse altro che dipingere come un’altra donna, magari male!
Le miniature irreali di Ornella Baratti Bon sembrano essere fatte della stessa pasta effimera ed eterna dei nostri ricordi più profondi e lontani.
Di questo mondo colorato e strapieno, di questo gioco illusivo, notturno e sinistro, l’artista diviene, senza neppure saperlo o volerlo, la regista e il cerimoniere.”
“Forse l’uovo è una superficie ideale per rendere e intensificare alcune caratteristiche elementari dei quadri”