L’umiltà apre tutte le porte.
Non è una battuta tratta dal Gabbiano di Cechov.
È la battuta di un altro gabbiano, un gabbiano del Tevere, Vinicio Marchioni.
Io davvero credo che l’umiltà possa far breccia ovunque, me lo ha insegnato mia madre e cerco di ricordarmelo ogni giorno.
Mentre me lo dice a mezza bocca, si stringe nel bavero del cappotto.
L’umiltà. Forse è proprio questa qualità che accomuna Vinicio ad Anton Cechov, il suo autore teatrale preferito, una vera passione-ossessione dichiarata.
Proprio a causa di questa sua ossessione, Vinicio si è imbarcato in un lungo viaggio artistico e introspettivo che lo ha portato a riscrivere, mettere in scena e filmare un testo iconico di Cechov, Zio Vanja, in chiave contemporanea.
La scintilla che ha scatenato questo processo creativo arriva da luoghi inimmaginabili, luoghi dalle ferite ancora aperte, i territori del terremoto nelle Marche e in Abruzzo.
La grande sensibilità artistica di Vinicio, un attore che è una corda di violino tesa che vibra al soffio del vento, ha fatto il resto.
Visitando quei luoghi martoriati scopre che le persone che li abitano parlano con la stessa disillusione, lapidaria quasi, di un dramma di Cechov. Zio Vanja, appunto.
Il mio passato non c’è più. I miei ricordi sono sepolti sotto le macerie. Non c’è speranza per il mio futuro. Frasi reali che rispecchiano esistenze altrettanto reali, che diventano universali quando vengono raccontate dal teatro. Da qui la riscrittura, la messa in scena, le prove, la tournée. Uno Zio Vanja più che mai attuale.
Vinicio, per mettere fine ad un’ossessione o per alimentarla ulteriormente, ha sentito la necessità di andare in Russia, sui luoghi di Anton Checov. Indossava un cappotto, sempre quello, il suo costume di scena.
A Mosca l’inverno è rigido. Come il destino come non muta.