Visual Thinkers – Intervista a Stefania Siani
a cura di Emilia Jacobacci
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Visual Thinkers è la nuova rubrica di Perimetro dedicata a interviste a personalità che operano nell’ambito dell’immagine. Per questa seconda occasione, abbiamo coinvolto Stefania Siani, presidente dell’Art Directors Club Italiano.
Stefania Siani, un percorso professionale in continua crescita nel mondo della comunicazione e della creatività: dalla direzione creativa in BBDO, a Chief Creative Officer e CEO di Serviceplan, il più grande gruppo di agenzie indipendenti d’Europa, alla presidenza dell’Art Directors Club Italiano, l’associazione più importante per la comunicazione pubblicitaria in Italia: da dove è iniziato tutto?
La mia è una formazione classica, ho studiato filosofia, mi sono specializzata in copywriting e ho iniziato il mio percorso nel marketing con un focus sulla strategia e sugli aspetti sistemici di questo lavoro. Ho avuto poi la possibilità di crescere professionalmente in tutti i vari passaggi da copywriter a direttore creativo, direttore creativo esecutivo fino a diventare CEO di Serviceplan Italia, la sede italiana del primo gruppo indipendente in Europa. Oggi ho anche l’onore di presiedere la nostra associazione di categoria più importante, l’ADCI Art Directors Club Italiano, che conta circa 600 soci che, per l’eterogeneità della loro estrazione, sono rappresentativi dell’intera industria. Molti di loro sono soci storici del Club che vengono dal mondo del copywriting e dell’art-direction ma abbiamo sempre più soci che vengono dal mondo del crafting, della regia della fotografia e che valorizziamo e celebriamo attraverso il premi dedicati alle eccellenze in questo campo con i nostri ADC Awards.
Impossibile non chiederti quale direzione vedi per la creatività dei prossimi anni?
Quello che noi vediamo è un futuro che sempre più si impoverisce di autorialità, per cui noi abbiamo assolutamente bisogno di recuperare uno sguardo autoriale. C’è stato un momento negli anni 80 e 90 in cui lo sguardo di alcuni grandi autori sui brand è stato determinante nella creazione del loro successo, mentre adesso, in un contesto di estrema moltiplicazione dei touchpoint si è creata una vera e proprie filiera di produzione di immagini – dall’e-commerce alla campagna vera e propria – simile ad catena di montaggio, per cui sempre meno vengono prodotte immagini ex novo e sempre più sono invece frutto di cannibalismo, di elaborazioni e rielaborazioni di reference. In questo grande gioco di eco, si fa fatica a ricostruire qual è lo sguardo: quindi quello che vediamo è proprio questa esigenza di autorialità e noi andiamo a cercare di mappare questi talenti. L’aspetto forse più interessante e più entusiasmante che sta venendo fuori è la volontà dei brand di editare il proprio posizionamento, per cui i brand internalizzano i propri content hub creando delle figure di riferimento interne per la creazione delle immagini per le trattazioni editoriali dei propri valori, cosa che apre dei grandissimi cantieri di lavoro sull’immagine.
Tra le varie iniziative di rilievo che hai promosso in questi anni c’è Equal, premio per l’inclusione e la parità di genere nella pubblicità fondato nel 2017: a distanza di cinque anni che aspetto ha la diversità?
Quando Equal è nato, nel 2017, il tema del ruolo dell’immaginario nella disuguaglianza di genere non era così a fuoco, è stato un progetto quasi pioneristico: facendo un totale cambio copernicano abbiamo scelto di non parlare del problema ma di dare un palcoscenico che celebrava tutti quei brand che stavano cambiando la narrativa nella diffusione della stereotipia. Il primo anno abbiamo premiato la campagna di Indesit “Do it together” che affrontava la disuguaglianza a partire dalle mura di casa promuovendo la condivisione e la responsabilità della genitorialità. Negli anni successivi abbiamo dato spazio alla rappresentazione della disabilità, premiando la campagna Coordown e Linkedin “The Hiring Chain” dedicata all’inclusione delle persone con sindrome di down nel mondo del lavoro, fino all’edizione più recente di Equal in cui si affronta la stereotipia nelle nuove generazioni con il Progetto di Wind 3 “Voce alle Gamer” dato che ci fa riflettere sul lavoro che dobbiamo continuare a fare a livello educativo, proponendo soluzioni positive e propositive, parlando con le aziende, con le scuole. Equal in questo senso è diventato un vero e proprio progetto culturale aperto a tutti che da quest’anno si è allargato ai progetti europei. Per la prima volta anche l’Art Directors Club europeo ha introdotto tra gli Awards la Equal Star.
The Hiring Chain – Coordown
Parlando di creativi e creatività: un artista, un libro e un luogo a cui non rinunciare?
L’artista e l’opera che mi viene in mente in modo estemporaneo è Louise Bourgeois, il suo ragno: mi piace molto il suo modo di figurare nel bene e nel male la femminilità che tanto può accogliere tanto può intrappolare. Per il libro scelgo Kitchen di Banana Yoshimoto, per la sua scrittura pulita e luminosa. Il luogo a cui tornare è Ravello: un posto di incredibile bellezza naturale, pervaso dalla qualità straordinaria di persone che lo hanno reso un luogo dallo spirito unico.
Tra le cose che hai imparato, quale pensi sia la più importante da consigliare ad un giovane creativo?
In questo mondo un po’ sedato, credo che sempre più abbiamo bisogno di intercettare il fuoco sacro, vedere la passione e l’energia. Ad un giovane che inizia raccomanderei quindi di nutrire in tutti i modi la capacità e la disciplina di essere coinvolti e ingaggiati al cento per cento in quello che si fa.