Fotografie di Matteo Vertua e Federico Gea
Testi di Alioscia Bisceglia
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Il mondo può cambiare, digitalizzare i nostri bisogni, comprare quello che di più intimo e sacro abbiamo per rivenderlo online o in pay per view ma non potrà mai soffocare quell’istinto che ci porta sin da bambini a prendere a calci una palla fatta di qualsiasi cosa a metterci di fronte ad un altro per impedirgli di varcare una soglia immaginaria, di cercare compagni con cui schierarsi ed organizzarsi per affrontare una sfida all’ultimo tiro.
Perimetro guarda, vede e legge il significato di questa aggregazione spontanea, che da vita a spazi dedicati o rubati come accadeva ieri e oggi ancora in una città in pieno cambiamento. Lascia che piova, che ci sia un sole che brucia, che sia una notte illuminata dalle luci dei lampioni e qualcuno si incazzi dalla finestra per il rumore, lascia che le giornate finiscano all’improvviso ma se la sfida non è finita non è finita, anche se i goal segnati da entrambe le parti sono in doppia cifra.
Il calcio, quello vero, dei ragazzi e oggi anche delle ragazze è istinto puro, dinamiche di un branco solidale, che mai come ora contrappone alla dote del singolo “campione androide”una forza collettiva di squadra e di cuore, dove il pallone è di nuovo d’oro per la magia che scatena non per i fatturati che produce.
Dalle strade e dai campetti sconnessi ai campi sintetici alle società sportive di provincia o periferia, questa è una passione che si vive outdoor e che rende vissuta una città. È un universo che ha dei principi e una funzione sociale che nel mondo dell’intrattenimento e della spettacolarizzazione si sono diluiti. La nuova società passa anche dalla spontaneità di chi prende instancabile a calci una palla, senza farsi troppe domande sul da dove arrivi, di che tendenza sessuale o ceto sociale sei.
La lunga falcata di un ragazzo di origine africana, i dribbling dei sud americani, la generosità agonistica dei magrebini e la visione di gioco degli italiani sembrano essere nell’insieme una rappresentazione di una comunità che può diventare una società del domani e ci piacerebbe vederli arrivare sotto la Scala del Calcio come ad affermare “ ricordatevi che il calcio vero siamo noi”
Il terzo kit dell’Inter e di Nike rappresenta e celebra l’uguaglianza contro ogni forma di discriminazione. I colori nerazzurri lasciano campo visivo ad un iride fluorescente che vuole raccontare e dichiarare uno stato d’animo, una visione ed una volontà nel portare avanti valori di inclusione che non possono non far parte del mondo del calcio resta ancora specchio di ciò che siamo.
La partita più memorabile che hai giocato?
Un torneo ero piccolo, giocavo in porta, poi mi hanno messo a giocare fuori, non mi sentivo all’altezza degli altri ragazzi. Ma alla fine ho fatto 5 goal in una partita. Io, che non giocavo mai fuori
Stadio, campetto o PlayStation?
Campetto. Lo stadio è da professionisti e ci sono troppi aspetti che hanno a che fare con il business, ma è un altro livello, la PlayStation ti isola, il campetto è il posto in cui vivi il calcio in prima persona e formi i tuoi ricordi
Il calciatore che apprezzi di più fuori dal campo?
Marcus Rashford del Man United, per l’impegno nel finanziare un progetto che porta il cibo nelle scuole ai ragazzi che non possono permetterselo.
Il posto più assurdo in cui hai giocato?
in Marocco, sulle strade, le porte fatte con i sassi, poi arrivavano le macchine che suonavano o facevano i fari e ti dovevi scansare al volo, levare i sassi e poi si ricominciava.
La partita più memorabile che hai giocato?
Due anni fa, giocavamo contro il Cimiano, era nel periodo di Natale e non mi ero allenato. Il mister mi ha messo in panchina e non voleva farmi giocare, perdevamo 1 a 0. Nel secondo tempo sono entrato e ho fatto due goal, figata, mi sono gasato.
Il posto più assurdo in cui hai giocato?
Milano, io arrivo da un paesino di montagna, non sono abituata a tutto questo. Una vita totalmente diversa, realtà che non immaginavo esistessero