Fotografie di Pier Costantini
Testo LA FINE DELL’ESTATE di Francesco Raganato
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Ci sono giorni che hanno valenza universale. Che hanno lo stesso significato e la stessa importanza per più persone. Anche sconosciute, anche lontanissime tra loro.
Per me ogni anno, durante alcuni di questi giorni si ripete un rito pagano, più personale che sociale: la fine dell’estate.
Sono quei giorni che scolorano, in cui si intravede la tregua alla canicola, quei giorni una volta carichi di pioggia e di foglie secche. Quelli che riportano alla realtà e alle città. Quelli curvi come le parentesi chiuse.
C’è solo un modo per dilatarli, quei giorni, per rimandarne la fine.
Rifugiarsi in una pineta, una pineta vera, di pini marittimi.
Lì il tempo è fuori, oltre le chiome alte e generose. Sotto è rifugio, frescura, pace.
Vicino casa mia ce n’è una. Casa mia è il luogo dove ho radici.
A proposito di radici, quelle della pineta ho imparato a conoscerle sin da bambino, le ho mappate più o meno tutte, con la mia schiena, con le ginocchia e con le piante dei piedi.
Prima del mare e prima della sabbia, la pineta così dolce e schiva, era l’ultima carezza fresca. Che poi a noi adolescenti le carezze piacevano poco, avremmo imparato ad apprezzarle molto dopo, quando sarebbe stato troppo tardi.
La pineta invece ci sapeva prendere. Era discreta al punto giusto, era l’ideale per il riposo, per il gioco, per l’amore.
Ogni volta che ci torno è sempre uguale, sono io che sono diverso. Ci vado quando non c’è nessuno, così i fantasmi possono manifestarsi liberamente.
La radiolona a cassette di una comitiva lontana, l’asciugamano pieno di sabbia, gli zoccoli di legno che quando sono bagnati si scivola, un ghiacciolo alla menta, la resina sulla tua pelle, gli sguardi, il sudore, le zanzare, le risate, i bagliori tra le fronde, gli aghi di pino tra i denti.
La mia pineta ha gli odori e le ombre di ciò che è stato, nelle cortecce costudisce giuramenti e amori eterni, che chissà se ancora durano o sono svaniti con la fine dell’estate.
Tutto nella pineta durava un istante, ma da ragazzini ci sembrava eterno.
Per noi la misura del tempo era un intervallo variabile e indefinito, tra l’inizio e la fine di un momento felice. Tra l’inizio e la fine dell’estate.